domenica 7 febbraio 2010

The Hurt Locker e il meccanismo della suspence


Un film inattaccabile: costruito su una sceneggiatura esemplare, The Hurt Locker non è solo un film di guerra, ma un eccellente esercizio registico sulla suspence cinematografica. Una squadra di artificieri dell'esercito americano in missione in Iraq ha il compito di disinnescare gli ordigni esplosivi nascosti nel territorio. Sotto il sole cocente del deserto iracheno o in mezzo a città distrutte dal conflitto, dove il nemico è nascosto ovunque ed ogni oggetto può rivelarsi una bomba, il Sergente James (Jeremy Renner), il Sergente Senborn (Anthony Mackie) e lo specialista Owen (Brian Geraghty) devono convivere ogni giorno con la paura della morte.

Un thriller perfetto. Alla Bigelow basta pochissimo per innescare un congegno narrativo elementare che lavora sui meccanismi della tensione e tiene incollati gli spettatori dall'inizio alla fine: c'è una bomba che potrebbe esplodere da un momento all'altro e l'eroe deve riuscire a neutralizzarla se non vuole saltare in aria insieme alla sua squadra. Variano le circostanze ambientali e temporali, lo stato emotivo dei personaggi e il grado di pericolosità della situazione (che aumenta di volta in volta), ma questo scenario si ripete per tutto il corso del film, identico eppure nuovo ogni volta. In questo percorso ad ostacoli, in questa caccia al topo sempre più rischiosa, la sceneggiatura imprime al racconto una progressione narrativa stringente e la regia della Bigelow è così acuta e sofisticata da trovare nella definizione degli ambienti e nell'uso del montaggio (stupenda la sequenza centrale dell'attacco nel deserto, tutta costruita sulla dilatazione temporale) le variabili che tengono sempre altissimo l'interesse e la tensione del pubblico.



Ma il film è folgorante anche visivamente. L'iconografia di queste città-fantasma devastate dalla guerra, con mucchi di spazzatura ai lati delle strade e occhi indiscreti che scrutano dai balconi o dietro le tende, è difficile da dimenticare. Così come l'immagine del soldato americano che si avvicina all'ordigno chiuso nello scafandro militare: tutt'intorno vuoto e desolazione, ed in sottofondo il respiro ed il battito del suo cuore. E' l'immagine centrale del film, incisiva e potente, quasi surreale: un uomo in una tuta spaziale che sfida la morte, circondato da un inferno accecante. Un inferno tutto terreno.

La Bigelow usa i suoi attori come corpi contrapposti, piuttosto che come interpreti, e ne ricava una recitazione essenziale, trattenuta ed interiormente esplosiva, perfettamente conforme al film. I caratteri dei personaggi si rivelano attraverso le azioni e i dialoghi sono ridotti all'osso, ma non per questo ci troviamo di fronte a psicologie affrettate. I personaggi risultano immediatamente presenti e gli attori sono abbastanza bravi da riempire le scene con il loro sottotesto. La performance di Renner è asciutta e senza sbavature, lontana dagli standard classici dell'Academy (che preferisce spesso un tipo di recitazione più esibita): fa piacere vederlo fra i candidati come migliore attore. E anche Mackie meritava la nomination.


Cinema maschio e muscolare, ma anche profondamente umano ed emozionante. Fisico e di testa al tempo stesso. Ineccepibile il controllo della tensione attraverso un uso sofisticatissimo del mezzo cinematografico. Un film che è (giustamente) già un classico.

Voto: 8

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