mercoledì 11 novembre 2009

La limpida trasparenza di Gilda


"Gilda, sei presentabile?" (Gilda, are you decent?)

Sono le parole di Ballin che introducono il personaggio di Gilda all'amico Johnny Farrel e allo spettatore. Segue un'inquadratura della stanza, che resta significativamente vuota per qualche decimo di secondo; un attimo dopo Gilda appare emergendo dal fondo dell'inquadratura. Tira indietro la testa scuotendo la chioma selvaggia e risponde sorridendo: "Io?" (Me?)

Il sorriso si stempera non appena riconosce al fianco del marito il suo vecchio amore, Johnny. La miccia si accende, inesorabile. Il passato ritorna, con tutto il peso delle delusioni, dei rimpianti e dell' amore spezzato. Gilda inizierà un disperato quanto pericoloso gioco delle parti in cui ad ogni costo cercherà di fare ingelosire Johnny con il suo attegiamento provocatorio ed il suo desiderio di libertà. Ballin, suo marito, non ha alcuna importanza: l'ha comprata, come ha comprato la fiducia e il lavoro di Johnny. C'è solo un uomo che ha sempre amato, e quell'uomo arriverà a vendicarsi di lei al punto da imporle di rinunciare per sempre non solo ad una vaga speranza di essere amata, ma anche alla sua libertà.

Ma cos'è l'inquadratura vuota che precede l'apparizione di Gilda? Un attimo prima, sulle scale, Ballin ha anticipato la reazione dell'amico nel sentire la voce di Gilda che intona Put The Blame On Mame commentando: "E' una sorpresa sentire cantare una donna nella mia casa, vero Johnny?" E quando l'aveva assunto si era assicurato che non ci fossero donne di mezzo.
"... Sembra una cosa e all'improvviso, sotto i tuoi occhi, ne diventa un'altra, completamente diversa": Johnny si riferisce al bastone di Ballin, apparentemente innocuo ma munito di una micidiale lama retrattile, ma sta parlando delle donne, e di una donna in particolare, Gilda.


E' incredibile come il cinema classico dominato dal severissimo Codice Hays riuscisse a far passare messaggi e sottotesti inaccettabili attraverso l'ambiguità dei dialoghi: pare che Glenn Ford (Johnny) e George Macready (Ballin) fossero perfettamente consapevoli di interpretare due omosessuali. Di questo nel film non c'è evidenza diretta, ma il rapporto fra i due personaggi ha profonde implicazioni omosessuali, così come battute e dialoghi sono carichi di una fortissima valenza psicanalitica. Il comportamento sadico di Johnny verso Gilda, i suoi tentativi di controllare la sua immagine, di contenere la fisicità prorompente della donna lo definiscono all'interno del testo filmico come protagonista instabile, precario ed inadeguato.
L'immagine della donna come oggetto sessuale, dannatrice e seduttrice ingannevole ed infedele è quindi il risultato della visione distorta e malata dello sguardo e del desiderio maschile. Nessun film fino ad allora aveva espresso in modo così chiaro la natura contraddittoria del desiderio maschile e le modalità che esso mette in atto per controllare e possedere l'immagine femminile.

L'inquadratura vuota dalla quale emerge Gilda è quindi la rappresentazione del vuoto del desiderio maschile un attimo prima che esso generi e crei il proprio oggetto sessuale.
Ma quella di Gilda non è solo la storia delle contraddittorie modalità di costruzione dell'immagine femminile nella Hollywood classica: mai come in questo film il personaggio femminile sembra volersi affrancare e svincolare dagli stereotipi e dai codici narrativi che, all'interno del noir e del melo', vogliono la donna come fatale, perversa, pericolosa e crudele. La modalità narrativa dell'indagine condotta sul personaggio femminile per valutarne l'onestà e la fedeltà assume in Gilda la forma emblematica di uno spogliarello: strato per strato, le maschere di Gilda cadono tutte, rivelando alla fine la sua innocenza.

Ma questo il pubblico lo sa fin dall'inizio. Il film è problematico non solo nella definizione della mascolinità del protagonista ma anche nella caratterizzazione di Gilda come presunta donna fatale. Numerosi sono i momenti intimi e privati che danno accesso all'interiorità del personaggio: il punto di vista di Gilda si impone all'interno del testo filmico con incisività e forza superiori alla prospettiva distorta del protagonista. E il suo atteggiamento trasgressivo non è che la conseguenza di un profondo conflitto interiore fra la sua realtà di donna infelicemente innamorata e la maschera peccatrice che gli altri, primo fra tutto Johnny, le hanno cucito addosso. Cantando Amado mio, Gilda esprime sé stessa rivelando la sua natura inguaribilmente romantica e malinconicamente masochistica, mentre in Put the Blame on Mame le basta sfilarsi solo un guanto per accendere le fantasie del pubblico e suggerire ancora una volta il sadismo e il voyeurismo del piacere maschile.


Nel ruolo della sua vita Rita Hayworth infiamma lo schermo oggi come sessant'anni fa con una sensualità, una passione, una disperazione assolutamente irresistibili. Nei numeri musicali fu doppiata da un'altra cantante, espediente che sottolinea ancora una volta l'idea di costruzione dell'immagine femminile, ma Rita sapeva cantare benissimo. C'è una scena in cui canta con la sua voce: accanto al fedele inserviente, intona una versione più dolente e nostalgica di Put the Blame on Mame accompagnandosi alla chitarra. Una voce morbida e calda, un momento intimo assolutamente commovente.
Gilda è un melo' semplicemente bellissimo, dai contenuti arditi e sorprendentemente moderni e dallo stile visivo fiammeggiante. Da una parte personaggi maschili ambigui ed irrisolti, aggrovigliati nei loro involuti desideri, dall'altra la limpida trasparenza di Gilda: il sogno del cinema che si incarna e prende vita.

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