lunedì 18 gennaio 2010

Il gusto del bello in A Single Man


E' una gemma rara il debutto alla regia del fashion designer Tom Ford. Un film che vale tanto per i suoi innumerevoli pregi quanto per i difetti, primo fra tutti quell'eccesso di generosità tipico delle opere prime e dei lavori fin troppo sentiti e personali. Adattando il seminale romanzo gay di Christopher Isherwood del 1964, Ford realizza un melodramma luttuoso ed emozionante nei contenuti, quanto estetizzante e seducente nella forma. Non ha paura di rischiare e di eccedere in una continua ricerca del bello, dell'associazione poetica fra le immagini, dell'eleganza formale. Ma soprattutto si autoproduce e, libero da qualsiasi condizionamento dell'industria, il bel Tom realizza il film più gay che si sia mai visto sugli schermi negli ultimi anni. Ancor più di Brokeback Mountain: laddove il film di Ang Lee poggiava su una struttura classica, Ford aspira coraggiosamente al lirismo più sfrenato ed ingenuo. Con risultati commoventi.


Partendo da uno script di estrema compattezza e densità, A Single Man racconta una giornata come tante nella vita di George Falconer (Colin Firth), professore universitario inglese trapiantato a Los Angeles nel 1962. Ma in realtà non è un giorno come gli altri. Il suo compagno Jim (Matthew Goode) è morto da quasi un anno in un incidente stradale e George trascina da troppo tempo la sua esistenza come un'ombra, senza gioia e senza futuro. Ecco allora che si affaccia la decisione estrema: questo giorno sarà diverso, in questo giorno rimetterà le cose a posto e potrà finalmente ricongiungersi a Jim in un bacio eterno. L'incontro con Kenny (Nicholas Hoult), studente affascinato dalle sue lezioni sull'odio e sulla paura per le "minoranze invisibili", la cena con Charley (Julianne Moore) sua vecchia fiamma e grande amica che annega solitudine e frustrazione in una bottiglia di gin, le parole di Carlos (Jon Kortajarena), ragazzo che vende sé stesso in un parcheggio infuocato dal tramonto e gli dice che "anche le cose più terribili hanno una loro bellezza": sono stazioni di un viaggio lungo un giorno al termine del quale lui raggiungerà Jim. Incontri, contatti, momenti in cui stabilisce una connessione con qualcuno, un legame intimo e trascendentale che per un istante lo mette in relazione con la vita. E potrebbero farlo desistere dall'idea del suicidio (assente nel romanzo e perfettamente integrata nella narrazione come motivo di tensione sotterranea che percorre il film).


Checché ne dica Tom Ford sull'universalità dell'amore come tema centrale, A Single Man è un film apertamente gay. Ma non solo è gay per la storia che racconta: sono l'estetica ed il gusto dell'immagine ad essere totalmente queer. La spudorata adorazione della bellezza maschile, colta nei volti e nei corpi mozzafiato di Nicholas Hoult, Matthew Goode e Jon Kortajarena, e l'attrazione per l'iperfemminilità fascinosa e decadente di Julianne Moore, sono ricalcati su una modalità di rappresentazione che cita Andy Warhol e l'estetica glamour degli anni '60. Mentre le suggestioni cinematografiche pescano a piene mani da Hitchcok (citato nel manifesto di Psycho), Almodovar e soprattutto Wong Kar Wai (nell'uso contrappuntistico della musica).


Ma è il dettaglio emotivo (che sia il taglio di un occhio, la forma di un sorriso, il colore di una rosa o il profumo di un cane) su cui si ferma lo sguardo spento del protagonista e della cinepresa che crea tensione poetica. Sottolineati da un accompagnamento musicale ininterrotto e da un uso del colore che dalle tonalità grigie vibra su toni accesi e vivi nei momenti in cui il professor Falconer stabilisce un contatto e vede/sente la bellezza che lo circonda, questi dettagli/momenti sono esempio perfetto dell'approccio visivo estetizzante di Ford. Tuttavia, ripetendo più volte la stessa soluzione linguistica, il gioco perde forza e spessore. Cio' non toglie che il risultato sia estremamente bello da guardare, anche perché Ford riesce comunque a suggerire nella sovrabbondanza stilistica e nel gioco dei colori un'idea di progressione drammatica.


Anche l'incessante ricorso ad una musica struggente se da una parte rivela l'aspirazione di Ford all'opera lirica, dall'altra rischia sin dall'inizio di far annegare la narrazione in un maelstrom di tristezza in cui i violini finiscono col dominare le immagini. Tanto che in qualche momento si ha la sensazione di assistere ad uno stupendo videoclip in cui le immagini sono montate sulla musica e non viceversa.

Ma c'è un altro interessante motivo di tensione e contraddizione che serpeggia all'interno del film e gli regala una magnifica doppiezza: se da una parte il film è un'elegia sull'amore e sulla coppia omosessuale (e i flashback sulla relazione tra George e il suo compagno Jim sono di una tenerezza infinita), proprio nel momento in cui George non riesce ad elaborare il lutto e realizza di non voler più vivere da solo, ecco che il suo sguardo e le sue emozioni sono abbagliati e travolti da immagini di bellezza fisica, carnale, sensuale cui è difficile resistere. I tennisti a torso nudo che giocano al campus, gli occhi e le labbra di Kenny, il volto stupefacente di Carlos: troppo belli per essere veri, quasi usciti da un catalogo di moda. Ma tanta bellezza ha qui un valore strumentale, non è fine a sé stessa: queste immagini di erotismo maschile non rappresentano solo occasioni sessuali (e in quanto tali la cinepresa ci si attacca letteralmente, con desiderio quasi vampiristico) ma funzioni narrative di un viaggio attraverso cui George deve recuperare fiducia e speranza nelle possibilità della vita.


Lo stile visivo rigoglioso e solo in apparenza glamour (ma, come abbiamo visto, doppio, stratificato e significante) è tuttavia sostenuto da un nucleo emotivo saldo e vibrante che non perde mai di vista il personaggio centrale di George e non teme l'esplosione fiammeggiante del melo'. La scena dell'abbordaggio al parcheggio o quella della nuotata notturna sono momenti in cui Ford punta all'emozione pura, aiutato dalla partitura di Abel Korzeniowski e Shigeru Umebayashi. Le immagini del corpo nudo di Colin Firth che si muove sott'acqua, trascinato dalla corrente, sono una stupenda metafora del naufragio della sua esistenza e del suo desiderio di oblio. E ancora una volta è la bellezza scultorea del corpo maschile (inquadrato come una statua greca) che si dà allo sguardo come fulgido richiamo alla vita.


Nel cuore del film si colloca poi la strepitosa scena della cena con Charley: in una manciata di minuti Firth e Moore riescono a suggerire tutto il passato dei loro personaggi e danno vita ad un duetto memorabile, ricco di sfumature e livelli emotivi differenti, perfettamente modulato. La Charley di Julianne Moore è sempre ad un passo dall'abisso: ride, balla e naufraga nell'alcol per sopravvivere ad un'esistenza fallita e ad una bellezza che inesorabilmente sfiorisce. L'amore per George è quasi pari al disprezzo per l'omosessualità di lui e alla commiserazione che prova per sé stessa. C'è una tensione emotiva insostenibile nella frivolezza triste della sua performance. Davvero un ritratto in punta di pennello.


Quanto a Colin Firth, il merito della riuscita del film è anche suo. Un'interpretazione monumentale che domina ogni inquadratura del film con un equilibrio, un rigore ed un'intensità che merita l'applauso. E meriterebbe anche l'Oscar. E Matthew Goode è talmente bello, dolce e sexy da giustificare qualsiasi volontà suicida.


Distribuito in poche copie da venerdì scorso in contemporanea con Avatar e La prima cosa bella, A Single Man rischia di non trovare lo spazio che merita. Una collocazione più adeguata sarebbe
stata a cavallo delle candidature all'Oscar (che sicuramente verranno) o immediatamente dopo il Festival di Venezia, dove Colin Firth ha trionfato come miglior attore.

Voto: 8

1 commento:

  1. Mi è proprio tanto piaciuto e, dal mio punto di vista, scongiurata la paura del film distaccato, tutto immagine patinata e niente cuore.
    Il rischio c'era, ma la storia di Isherwood (devo leggere il libro), l'aiuto di un cast strepitoso e soprattutto di una colonna sonora puntuale e incisiva evitano qualsiasi freddezza. Che però non manca, ma è voluta: la fotografia è livida, le scene desaturate, quasi vicine al bianco e nero, spente. E' la vita di un uomo senza quello che è stato il suo compagno per 16 anni, sono i giorni che non passano mai, le lancette così lente, le mattinate infinite e la battaglia con sè stessi per arrivare a fine giornata. Ce la puoi fare. La stessa fotografia che poi risplende e si illumina di colori caldi e brillanti, finalmente vivi, ad ogni palpito di esistenza, ad ogni ricordo. Un odore, un vestito, un vinile, uno sguardo, un'amica, un rumore. Le piccole cose del presente che, non è una novità, risutano poi le più importanti. Tutta una giornata per ripercorrere una vita spezzata, una sera per farla finita o magari ricominciare. L'attenzione per i dettagli di Ford è maniacale e colpisce fin da subito. Mi ha incuriosito, non allontanato.
    Momenti da ricordare: la telefonata rivelatoria al professor Falconer, una sigaretta sotto Janet Leigh e tutto il duetto Firth-Moore. Meraviglioso, e la risata di gusto della Julianne riempie lo schermo.

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