sabato 6 febbraio 2010

Lourdes, un miracolo di equilibrio


Il 2009 sarà felicemente ricordato come l'anno delle registe: Kathryn Bigelow entrerà nella storia dell'Academy il prossimo mese (in quella del cinema è già entrata nel 1995 con Strange Days), Lone Scherfig si è affermata con An Education, Jane Campion è tornata con Bright Star. Non ultima, l'austriaca Jessica Hausner ha raccolto larghi consensi alla 66° Mostra del Cinema di Venezia con il suo terzo film, Lourdes, nelle sale dal prossimo 11 febbraio, aggiudicandosi a furor di popolo il titolo di vincitrice morale del festival.

Ci sono molti motivi per cui Lourdes è un film da non perdere: innanzitutto il pudore dello sguardo su un argomento tanto delicato, il controllo millimetrico sugli elementi dell'immagine e l'assoluto rigore della messinscena. La Hausner predilige lunghe inquadrature fisse, all'interno delle quali orchestra ed organizza in modo preciso i movimenti degli attori come coreografie di un corpo di ballo (un'immagine perfettamente calzante e suggerita dalla regista stessa). Ma è l'equilibrio del racconto a lasciar folgorati. Un equilibrio tale che, siate credenti o no, troverete nella lettura del film una conferma alle vostre idee, insieme a mille spunti di riflessione. Il film si presta a molteplici letture proprio perché mostra e racconta senza fornire risposte definitive e, pur partendo da una chiara posizione laica, non impone nulla e non ha la pretesa di smuovere le posizioni di nessuno.

La storia è tanto semplice, quanto è complesso il risultato finale. Durante un viaggio organizzato a Lourdes, una ragazza ammalata di sclerosi multipla viene miracolosamente guarita. La Hausner segue la protagonista nei vari momenti che scandiscono il programma del viaggio, organizzato come un menu turistico: le colazioni, gli spostamenti in gruppo, i rituali religiosi (le benedizioni e i bagni con l'acqua sacra), le visite ai santuari. Registra gli incontri della protagonista con gli altri visitatori (l'anziana compagna di stanza, silenziosa e devota, le due signore borghesi pettegole ed ipocrite), il rapporto con i volontari (tra cui l'affascinante Kuno) e con le suore dell'Ordine di Malta (guidate dalll'austera Cécile) che gestiscono il gruppo di pellegrini.

I dialoghi sono parchi e misurati: sappiamo che Christine frequenta spesso luoghi di pellegrinaggio, altrimenti non uscirebbe mai di casa, ma preferisce Roma a Lourdes, perché è "più culturale", mentre "qui è un po' turistico". A volte è invidiosa della felicità e delle possibilità concesse agli altri: costretta su una sedia a rotelle, non può fare tutto quello che vuole. E' sola, e per di più, non è molto credente. Sembra quasi capitata per caso in un posto come Lourdes. Eppure proprio a lei toccherà il miracolo. "Spero di essere la persona giusta", dice sorridendo. Atto straordinario o miglioramento temporaneo delle condizioni fisiche? Christine può alzarsi dalla sedia a rotelle e camminare da sola, ma non sapremo mai se è effettivamente guarita e, soprattutto, per quale motivo. Disegno divino o arbitrarietà del caso?

In breve tempo il miracolo perde ogni aura eccezionale e diventa qualcosa di banale ed ordinario: per essere riconosciuta come miracolata, Christine deve sottoporsi all'esame dell'autorità ufficiali e ad una visita medica di controllo. Il Sistema che organizza la comunità di Lourdes è il primo responsabile della de-sacralizzazione del miracolo stesso e di quella mercificazione della spiritualità che la Hausner registra lucidamente come un dato di fatto.

Se l'idea del soggetto è stata ispirata da Ordet di Dreyer, e lo stile scarno e realistico è mutuato da Bresson, il sottile umorismo deriva da Jacques Tati, mentre i toni grotteschi nella rappresentazione del bigottismo dei fedeli sono tipicamente bunueliani.

Alla Hausner interessa l'aspetto filosofico della questione: il miracolo diventa allora metafora di una nuova possibilità di vivere la propria vita pienamente, senza più vincoli e limitazioni (le catene della malattia). Se la guarigione in sé resta inspiegabile, è il senso dell'esistenza la domanda ultima, e l'unica fede possibile è la presa di coscienza della propria finitezza e transitorietà.

Un film che si lascia vedere tutto d'un fiato, come un documentaristico thriller dello spirito. La regista lancia i suoi dadi. Agli spettatori il compito di tirare le fila e trovare le proprie risposte.

Voto: 8+

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