giovedì 4 marzo 2010

Il Profeta e l'educazione al male


Fresco trionfatore ai Césars, dove ha fatto piazza pulita di tutti i premi più prestigiosi (9 statuette in tutto: film, regia, sceneggiatura, montaggio, scenografia, fotografia, attore protagonista e rivelazione al magnifico Tahar Rahim e attore non protagonista), dallo scorso Festival di Cannes Il Profeta si contende con Il nastro bianco il titolo di miglior film europeo dell'anno. Ed è davvero una bella sfida, perchè il film di Jacques Audiard è stupendo, durissimo, spietato e profondamente morale.


L'educazione al contrario che il giovane arabo Malik subisce in carcere (condannato a sei anni per un reato minore, Malik è analfabeta ed apparentemente fragile e vulnerabile: preso di mira dal leader di una gang còrsa che detta legge dietro le sbarre, diventa il suo sicario in una serie di missioni e si conquista la sua protezione, imparando alla svelta come sopravvivere e come costruirsi un posto di rilievo nel mondo) assume i connotati eroici di un'odissea disperata e brutale, una tragica, ineluttabile discesa negli inferi del comportamento umano.

Sopraffazione e potere, servilismo e calcolo: Malik sprofonda in questo baratro trascinato dalla realtà che lo circonda, dimostrando una straordinaria capacità di adattamento al male. All'inizio cerca solo di salvarsi la pelle ma a poco a poco si rende conto che può sfruttare la situazione a suo vantaggio, migliorare la sua condizione e accrescere il suo potere. La sua lucidità e la sua coscienza non vengono mai meno. E' sveglio, Malik. In un mondo di mostri, non perde nemmeno la purezza dello sguardo. Anzi, è come se nel male arrivasse a conoscere un senso di leggerezza e libertà fino ad allora mai provati.


Lavorando all'interno del prison movie ma evitando ogni facile cliché, Audiard orchestra un dramma potente, lucido ed emozionante. La focalizzazione narrativa è tutta sul giovane protagonista con la faccia d'angelo e la partecipazione dello spettatore non può che essere totale e devastante. In questa discesa verso gli abissi che, per contrasto, è anche una risalita alla luce e alla scoperta di una identità (quella del Profeta, appunto) Audiard puntella la narrazione con momenti di pura visionarietà che tolgono il fiato. Ma soprattutto costruisce il film sul corpo e sul volto di un attore in stato di grazia, che sembra aver dato l'anima (e la carne) per questo ruolo. Una performance che sfiora l'immenso.

Voto: 9

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