mercoledì 24 febbraio 2010

Ottima musica e un grande Bridges, ma Crazy Heart delude


Diciamolo subito: Crazy Heart non è un gran film, né la migliore interpretazione della gloriosa (ma finora sottovalutata) carriera di Jeff Bridges (Il Grande Lebowski resta inarrivabile). Poteva essere una sorta di The Wrestler, ma Scott Cooper non ha il talento fiammeggiante di Darren Aronofsky. La storia della difficile redenzione del country-singer Bad Blake da una vita sregolata fatta di alcol, fumo e matrimoni falliti, ha il passo lento di una ballata rock che entra a poco a poco sottopelle anche per merito di una colonna sonora coi fiocchi, ma le dinamiche narrative che muovono il film sono fin troppo convenzionali. E la carica struggente ed il crepuscolarismo cui Crazy Heart aspira restano come intrappolati sulla carta ma non prendono il volo sullo schermo.

Soprattutto la storia d'amore, che sarebbe il motore della rinascita del protagonista, risulta l'elemento più debole e meno convincente del racconto, anche perché il personaggio di Jean (la giornalista cui Blake rilascia un'intervista e con cui instaura una relazione telefonata dal primo scambio di sguardi) è scritto come una mera funzione del protagonista piuttosto che come un carattere a sé stante. Il suo sottotesto è ridotto ai minimi termini (ragazza madre dolce e sfortunata con adorato figlio sulle spalle e un'innata inclinazione a perdere la testa per gli uomini sbagliati) e la pur brava Maggie Gyllenhaal ha un gran da fare per rendere credibile l' immediato innamoramento e i successivi (schematici e scontati) sviluppi del rapporto. Persino il finale amaro e apparentemente non convenzionale non funziona come dovrebbe: non c'è autentico conflitto in questo amore e l'unico motivo drammatico (riguardante il figlio di Jean) suona come un semplice pretesto narrativo.

Appesantito, alcolizzato ed indolente Jeff Bridges è grandioso, ma il film lascia l'amara sensazione che con un attore così (ed uno script migliore) si sarebbe potuto fare molto di più. In fin dei conti Bridges interpreta Blake esattamente come ti aspetteresti. Sembra di rivedere molti dei suoi vecchi personaggi, il Drugo de Il Grande Lebowski su tutti: stessa soave leggerezza e stralunata ironia, unite ad un senso del dramma talmente scolpito nel corpo e sulle rughe del volto (e della voce) che non ha bisogno di scene madri per esprimersi al massimo. E Bridges è perfetto nel rendere lo straziante percorso interiore del personaggio, all'inizio parecchio sgradevole, poi sempre più umano mentre si trascina in fondo al baratro alla ricerca di un appiglio per risalire.

Che Bridges avesse stoffa come cantante e musicista lo sapevamo già dai tempi de I Favolosi Baker: Crazy Heart è un film tutto costruito su di lui, inquadratura dopo inquadratura, ed i momenti migliori sono proprio i live dei concerti, oppure i silenziosi primi piani che registrano le devastazioni dell'alcolismo o la solitudine dell'artista che compone alla chitarra. Tuttavia non siamo dalle parti del miracolo o della performance sorprendente, against the type, per intenderci. Colin Firth in A Single Man è molto più emozionante e meriterebbe di vincere lui l'Oscar se Hollywood non avesse deciso che è finalmente giunto il tempo di onorare Jeff Bridges. Quasi a prescindere dalla sua pur ottima interpretazione.

voto: 6

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