lunedì 25 gennaio 2010

Marie Antoinette alla corte dei balocchi


E' quasi un film muto l'opera terza di Sofia Coppola ispirata alla biografia su Maria Antonietta scritta da Antonia Fraser. I dialoghi sono quasi esclusivamente ridotti in forma di vacuo, sterile, costante chiacchiericcio di sottofondo che serpeggia lungo le pareti affrescate di Versailles. Ma la componente sonora non potrebbe essere meglio servita dalla "duplicità" dell'accompagnamento musicale, genialmente in bilico tra passato e presente.

Alternando senza soluzione di continuità musica classica e rock contemporaneo a commento delle immagini e delle emozioni della protagonista, Sofia Coppola suggerisce il divario insanabile tra esterno ed interno, fra le imposizioni sociali da una parte e le aspirazioni intime dall'altra. Ed è questo contrasto tra la freschezza dell'età e le schiaccianti responsabilità di un ruolo che la delfina di Francia è chiamata troppo presto a ricoprire che costituisce il cuore sanguinante di Marie Antoinette. La musica dell'epoca fa da contrappunto alle costrizioni di un cerimoniale pubblico spesso ridicolo e soffocante, mentre il rock-pop diventa la voce della regina nei suoi momenti privati, espressione del suo desiderio di ribellione e della sua ricerca di libertà.


Le scelte musicali imprimono al racconto una modernità travolgente. Ma è anche lo sguardo registico ad essere moderno, nel senso di fresco, originale e innocente. Proprio come lo sguardo puro di Maria Antonietta che, rinchiusa in una scatola troppo bella e troppo grande, vede spezzarsi per sempre la sua fanciullezza. La limpidezza delle immagini non deriva solo dallo splendore dell'apparato scenografico e dalla magnificenza dei costumi ma dalla nitidezza dello sguardo "virginale" di Sofia Coppola, che si fa tutt'uno con quello di Maria Antonietta, assumendone completamente la prospettiva. La prospettiva di una bambina cui vengono dati balocchi e gioielli ma a cui al tempo stesso viene richiesto di soddisfare aspettative immense; una "spia austriaca", come veniva apostrofata, in un mondo di parrucconi corrotti e crudeli, addobbati a maschere orrende che scrutano e criticano ogni sua mossa; una giovane donna costretta ad un matrimonio di stato e destinata ad annegare nel gioco d'azzardo e nel vizio l'infelicità di un'unione con un uomo ancora più immaturo di lei.


Ha occhio Sofia Coppola nel comporre le sue inquadrature di dolente desolazione in mezzo alla grandezza e allo sfarzo più sfrenati. Maria Antonietta è spesso inquadrata da sola in spazi (interni o esterni) enormi e vuoti: catturata la sua figura al centro del campo visivo, la macchina da presa si allontana lentamente accentuando il senso di spaesamento della protagonista che appare sempre più piccola e sola, schiacciata dall'architettura e oppressa dalla fitta trama dei damaschi.

Bellissima la sequenza bucolica al Trianon: sospesa nella natura e dedita ai piaceri della vita contadina, la regina sembra ritrovare una dimensione autentica e recuperare l'innocenza irrimediabilmente persa a corte. E in profondo contatto con se stessa scopre l'amore e la passione fra le braccia del conte Fersen.


La Coppola registra il tempo che passa e l'avvicinarsi dell'inesorabile declino riproponendo l'inquadratura fissa (e muta) di Maria Antonietta e Luigi XVI seduti alla stessa tavola, fantocci prigionieri di loro stessi e di una stoica e stolta idea di sovranità. All'esterno avanza la folla in rivolta come un brusio indistinto di voci. La separazione tra nobiltà e popolo è totale, e tardivo risulta qualsiasi tentativo di cercare l'approvazione della folla urlante (come nella scena in cui la regina si inchina davanti al suo popolo: un momento di grandissimo cinema).

Il racconto procede per ellissi agghiaccianti e scorre rapidamente verso il suo epilogo, un'inquadratura fissa della stanza da letto dei sovrani saccheggiata dopo il passaggio della folla. L'accelerarsi dei tempi narrativi suggerisce quanto veloce ed inattesa fu la caduta di Versailles vissuta dall'interno, tanto avulsa dalla realtà era diventata la vita di corte.

Perfetta incarnazione della visione dell'autrice, Kirsten Dunst è una Maria Antonietta stupenda, cristallizzata in un'eterna, perduta giovinezza.

Voto: 9

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