lunedì 3 maggio 2010

Film che fanno male (2): Antichrist


Illuminazione del giorno dopo: il vero anticristo non è la donna-strega, tanto ignobilmente rappresentata in questo incubo confuso, predicatorio e autocompiaciuto. Un incubo attraversato da contraddizioni psicologiche di ogni sorta e da un immaginario erotico/satanico che si vorrebbe raffinato (la fotografia è lussuosa, lo scenario horror della baita nel bosco di sicuro effetto) ma rischia di essere soltanto ridicolo. No, il vero anticristo è il regista stesso.

Lontano dal melo' miracoloso de Le onde del destino (il suo film più puro?) e dal rigore spietato di Dogville, Lars Von Trier inscena ossessioni e turbe personalissime praticamente senza alcun filtro, tanto basica è l'elaborazione drammaturgica e il gioco dei rapporti tra i due protagonisti. E' come se noi spettatori avessimo direttamente accesso ai suoi pensieri e al suo cervello, ahimé, un po' disturbato, perlomeno riguardo al rapporto con l'altro sesso. Che la sua atroce misoginia nasconda un'omosessualità latente mai accettata?


Ovviamente scherzo, ma suggerirei al regista danese di andare in analisi o, nel caso ci andasse già, di cambiare psicanalista (o cambiare pusher...), piuttosto che rendere pubbliche le sue privatissime angosce imbastendo un raccontino pretestuoso il cui unico scopo è far aggirare Charlotte Gainsbourgh indemoniata in mezzo ad un bosco avvolto dalla nebbia (con in mano una pala, una chiave inglese, un paio di forbici e via precipitando).

Dopo i primi 10 minuti già avvertivo il fastidio di assistere ad uno scherzo travestito da film d'arte in cui non c'era nessuna possibilità di riconoscersi, identificarsi o tantomeno rintracciare non dico un messaggio (che brutta parola) ma almeno la possibilità di una trasfigurazione del delirio privato (leggi: piccolo, misero) di Von Trier in qualcosa di universalmente necessario. Il regista è invece interessato solo a scioccare lo spettatore con le sue brutture. Infarcisce il suo kammerspiel con un simbolismo d'accatto ed uno psicologismo sdentato e gioca nella maniera più subdola possibile con la morbosità stessa della spettatore. Che, ignaro di rendere un servizio al diavolo, resta a guardare il gioco al massacro tra marito e moglie per vedere non cosa accadrà alla fine, ma fino a che punto il direttore d'orchestra ha avuto il coraggio di spingersi. In questo Von Trier è diabolico e geniale, bisogna rendergliene atto. Ma per far leva sugli istinti voyeuristici e masochistici più bassi degli spettatori è ignobile ed immorale.


La storia in due parole: la difficile elaborazione del lutto del figlioletto (incidentalmente caduto dalla finestra mentre i genitori copulavano al ralenti in un sofisticatissimo bianco e nero) si trasforma in un'esplorazione della psiche contorta di mamma Charlotte Gainsbourgh (ammirevole, ma poverina: è caduta in depressione per due mesi dopo la fine delle riprese... qualcuno fermi Von Trier!!!). Papà Willem Dafoe (immoto come al solito) è, guarda caso, uno psicoterapeuta e decide di curare lui stesso la moglie, portandola nel luogo dove lei ha più paura di tornare: Eden, una baita in mezzo al bosco dove aveva trascorso l'estate precedente insieme al figlio mentre faceva le ricerche per la tesi. Ed è nella tesi la spiegazione dell'arcano: l'argomento è la persecuzione delle donne tacciate di stregoneria nel corso dei secoli. L'idea di partenza era quella di documentare l'innocenza di queste povere donne, ma più Charlotte si addentrava nei suoi studi avvolta dall'isolamento della baita, più iniziava a maturare la certezza della malignità della natura e della cattiveria insita nell'animo femminile. Insomma, queste streghe non erano affatto innocenti.


Dal momento in cui Dafoe fa due più due ed identifica la moglie con una strega, non c'è limite alla follia persecutoria della donna (letteralmente impazzita) e al vortice di orrore che Von Trier ci costringe a vedere. I momenti top sono in crescendo: la castrazione di lui, un atto masturbatorio che termina con una bella eiaculazione di sangue, l'automutilazione di lei (quest'ultima davvero insostenibile), fino all'epilogo in cui Dafoe uccide e brucia la Gainsbourgh legandola ad un palo proprio come si faceva con le streghe nel medioevo.

A poco vale il colpo di scena finale che svela le ragioni del terribile senso di colpa del personaggio di Charlotte. Con gli occhi pieni di orrore e di sdegno, c'è solo qualcosa che vorresti fare: tornare indietro nel tempo e scegliere un altro film. Oppure, meglio: rovesciare un secchio di acqua gelata su Von Trier e costringerlo a rivedere Le onde del destino. Sperando torni a fare film così.

voto: 4

Nessun commento:

Posta un commento