lunedì 3 maggio 2010

Dench vs Blanchett: scontro di regine in "Diario di uno scandalo"


E' un grande film Diario di uno scandalo e non solo per le incredibili performance di Judi Dench e Cate Blanchett. Richard Eyre realizza un thriller d'autore di notevole complessità psicologica, stringato e senza sbavature nei suoi 90 minuti di durata, immerso in un'atmosfera livida e claustrofobica (gli esterni grigi e piovosi, il seminterrato) ed impreziosito dalla colonna sonora liquida di Philip Glass. Il film non inizia: scorre come un fiume e lo spettatore ci finisce immediatamente dentro, travolto dal vortice manipolatorio di Barbara. Dall'alto della sua facoltà di controllare il racconto attraverso la scrittura del suo diario, la protagonista impone immediatamente la sua prospettiva interiore come focalizzazione narrativa principale:

"Tutti mi hanno sempre affidato i loro segreti. Ma io a chi posso affidare i miei? A te. Soltanto a te"

Così dichiara in apertura la voce fuori campo di Barbara mentre sfoglia le pagine di un diario ancora immacolato. Ma ci vuole poco per intuire che si tratta di una prospettiva instabile, parziale, non condivisibile fino in fondo. Barbara non è solo una vecchia insegnante cinica e severa: è molto di più ed anche molto peggio. Dalle pagine del suo diario emerge la sua natura sprezzante e presuntuosa. Una presunzione che ha profonde radici nel suo isolamento, nella sua solitudine e nell'assenza d'amore. Si difende Barbara. Si trincera dietro una glaciale rigidità. Si sente respinta, rifiutata, sessualmente ignorata e questo la trasforma in un essere spregevole e pericoloso. La sua idea di superiorità rispetto agli altri si traduce in parole di disprezzo per chiunque e sfocia in una pericolosa ansia di controllo e possesso attraverso metodiche, puntigliose strategie manipolatorie.


Nei primi 10 minuti il regista pone le basi della fascinazione di Barbara per Sheba Hart, la nuova insegnante di arte. Pochi sono gli accenni all'omosessualità di Barbara: la dolce impertinenza della sorella, che le chiede se "c'è qualcun'altra", o il ricordo costante di una vecchia amica del cuore di cui si sono perse le tracce. Nelle parole di Barbara, Sheba potrebbe essere la "fatina" giunta a rimpiazzare quel posto rimasto vacante per tanto tempo. E' sincera nel suo diario, Barbara. E' davvero felice quando Sheba la invita a pranzo dalla sua famiglia e lei si lustra a festa per fare bella figura: "Oh beatitudine! Una bandiera gioiosa sventola sul deserto artico del mio calendario". Ma è ipocrita e doppia: davanti è tutta sorrisi, disponibilità ed affetto. Ascolta le confessioni dell'incauta Sheba e si compiace di esserne la confidente.

"E' una caratteristica tipica dei privilegiati, abbandonarsi a confidenze immediate ed incaute [...] Sheba fu di una sincerità assoluta. Una novizia che si confessa alla madre superiora".

Ma alle spalle (sul diario ed in voce fuori campo) non lesina in commenti terribili sul marito e sui figli. E' falsa Barbara, forse soltanto poco più di tutti quanti noi. Finiamo col provare vergogna, persino imbarazzo per la sua spietata sincerità. "Non si leggono i diari degli altri", dirà alla fine.


Dal canto suo, Sheba è inquieta e confusa, insoddisfatta della vita di madre ed incerta sulla sua vocazione di insegnante. Crede fondamentalmente di essere "una buona a nulla", e forse è così. Di certo è un'istintiva, se si abbandona alla passione per l'alunno quindicenne Steven Connolly con tale leggerezza e noncuranza delle conseguenze.

"Mio padre diceva sempre - Ricordati Sheba, non devi perderti !- Non lo so. E' che c'è una distanza tra la vita che uno sogna di avere e la vita che ha".

Mentre dà queste battute lo sguardo di Cate Blanchett si perde chissà dove e le labbra accennano un lieve sorriso. A differenza del personaggio di Barbara, non abbiamo accesso all'interiorità di Sheba. Questo rende il suo carattere arduo da interpretare e da raccontare al pubblico, soprattutto attraverso il filtro della voce di Barbara, ma la Blanchett riesce a rendere miracolosamente credibili le scelte di Sheba senza imporre nessun giudizio.

"Mi sono sempre comportata bene. Sono stata una buona moglie, una discreta madre. Questa voce dentro di me continuava a ripetere - Perché non potresti essere cattiva almeno una volta, perché non dovresti trasgredire? Te lo sei guadagnata".

Sheba è una debole, e come tale si lascia travolgere dagli eventi. E si fida degli altri. La Blanchett è strepitosa nel rendere la sua incoscienza, e disarmante quando si sforza di trovare una giustificazione al suo comportamento (ma attenzione: se si giustifica, è solo per le orecchie di Barbara). Finita nella trappola dell'anziana collega, che dopo aver scoperto la tresca compra l'amicizia della giovane in cambio del suo silenzio, Sheba commette un altro errore, ancora più grave della pedofilia (il giovane, sfrontato e bugiardo Steven è tutt'altro che innocente e lo sguardo del regista sulla questione è brillantemente scevro da qualsiasi moralismo). Anche Sheba, in fondo, crede di poter manipolare Barbara, fingendosi sua amica soltanto per tenerla al suo posto. Praticamente si mentono a vicenda. Qui ruota il centro nevralgico delle tensioni del film: un'autentica tragedia dei sentimenti, una fotografia della loro svalutazione e mercificazione.


"Avevo davanti un'occasione superba: se agivo con astuzia potevo assicurarmi la preda rendendola mia debitrice in eterno. Potevo ottenere tutto... senza fare nulla".

Barbara ha dalla sua parte anni ed anni di reclusione interiore che l'hanno trasformata in un vampiro. Quando scopre che Sheba sta ancora frequentando lo studente nonostante il suo veto di porre fine alla liason, la situazione precipita. Barbara ancora una volta è persino sincera nel voler mettere in guardia Sheba dai rischi che sta correndo.

"Credi che lui ricambi le tue attenzioni sdolcinate? Oh certo! Sarà affascinato dagli squallidi appetiti di una matura signora borghese con problemi coniugali! Non sai quanto siano crudeli gli adolescenti. Io li conosco. Quando sarà sazio ti butterà come uno straccio vecchio! Non sei più una ragazzina."

A partire da questo momento la donna si autoconvince che il suo rapporto con Sheba sia una specie di platonica storia d'amore. Una visione completamente distorta della realtà, un'enorme menzogna che non può non ritorcersi contro con effetti catastrofici. Quando la giovane si trova costretta a scegliere tra l'amica e la sua famiglia, la vendetta scatta subdola ed inesorabile. La scena in cui Barbara circuisce il collega ed accende la miccia dello scandalo semplicemente insinuando il sospetto della relazione illegale, è un trionfo attoriale. Judi Dench è micidiale ed implacabile, un cervello astuto che afferra immediatamente la possibilità di una vendetta e porta il suo interlocutore lì dove lei vuole che arrivi. Nel passaggio successivo c'è tutto il dolore e il rancore del personaggio.

"Le persone come Sheba sono convinte di sapere cosa significhi essere soli. Ma della tortura del lento sgocciolio della vera, infinita solitudine non sanno niente".


E Cate? Quando la verità sulla manipolazione viene a galla, le due donne si affrontano in una stupefacente scena madre e noi spettatori assistiamo con la bava alla bocca ad uno dei duelli più intensi degli ultimi anni. Sheba finalmente sputa il rospo e vomita addosso alla sua carnefice tutto quello che pensa veramente di lei. Poi si dà in pasto ai giornalisti urlando con tutta la rabbia e la disperazione che ha in corpo. Di solito controllatissima, Cate Blanchett qui molla le redini e si lascia andare. Il momento dell'urlo è di una potenza dilaniante ed è probabilmente la scena più toccante del film.

voto: 8

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