giovedì 8 ottobre 2009

Bernard & Doris, un amore bellissimo


Non mi capita spesso di vedere un film due volte di fila. In genere questo avviene quando il lavoro degli attori mi ha particolarmente entusiasmato e rivedendo alcune scene mi fermo a studiarne meglio lo stile, il ritmo delle battute, il lavoro sulle emozioni. Bernard & Doris è uno di questi casi: un piccolo film, realizzato con pochissimi soldi, diretto con grande finezza da Bob Balaban ed interpretato in maniera sublime da Susan Sarandon e Ralph Fiennes.

Prodotto dalla HBO e trasmesso negli Stati Uniti nel febbraio del 2008, il film, finalmente in Italia in dvd, è liberamente ispirato agli ultimi anni di vita dell’ereditiera del tabacco Doris Duke (morta nel 1993) e racconta la sua chiacchieratissima amicizia con il suo ultimo maggiordomo, Bernard Lafferty, che lei nominò nel testamento unico beneficiario e amministratore della sua immensa fortuna. Ricchissima e famosa lei, un autentico signor nessuno lui, per di più omosessuale, alcolizzato e non istruito. Nessuno poteva spiegarsi cosa ci trovasse in un uomo del genere la donna più ricca del mondo, amante dell’arte, del lusso e celebre per il carattere anticonformista e lo spirito umanitario. Vero è che alla morte della Duke fu aperta un’inchiesta su Lafferty: non solo, a quanto pare, male amministrò i beni della sua benefattrice nei mesi successivi alla sua morte, ma contro di lui fu anche formulata l’accusa di omicidio.

Il film di Balaban, tuttavia, non vuole condurre un’indagine sulla morte della Duke. Sebbene si apra e si chiuda con la silenziosissima, intima, privata scena in cui Lafferty somministra dei farmaci ad una Duke ormai invecchiata ed inferma ma pacificata e serena, subito dopo la scena d'apertura i titoli di testa floreali e jazzati stabiliscono il registro brillante e leggero della narrazione. Balaban ricostruisce e soprattutto immagina cosa abbia potuto legare due persone tanto differenti dal momento del loro primo incontro fino alla decisione finale. Una decisione su cui il film sorvola con grande garbo ed intelligenza senza tuttavia insinuare alcun dubbio sulla buona fede di Lafferty (e l’interpretazione limpida, disarmante, commovente di Fiennes ne è una prova ulteriore). Evitando in questo modo ogni ambiguità, Balaban si concentra sui caratteri e sulle situazioni e disegna un rapporto d’amicizia bellissimo e anticonvenzionale tra due persone agli antipodi ma legate dalla stessa solitudine e, per motivi differenti, da una simile tendenza all’autodistruzione e all’abuso di alcol. Senza vezzi né forzature, con una regia funzionale e calibratissima, una notevole attenzione ai dettagli psicologici e dialoghi sagaci, il film alterna sapientemente momenti spiritosi ad altri malinconici senza sfociare nel dramma. La trasformazione del personaggio di Fiennes, da grigio e goffo maggiordomo ad eccentrico “padrone di casa” è strepitosa e anche nel finale, quando i toni brillanti si stemperano, la pacatezza delle atmosfere, il rispetto umano, la delicatezza del tocco restano inalterati.

Ovviamente il risultato non sarebbe stato lo stesso senza due attori come Susan Sarandon e Ralph Fiennes che riescono a rendere credibile, sincero e profondo un rapporto d’amicizia e, in fondo, d’amore, apparentemente così bizzarro. E’ una gioia osservare e gustare i loro scambi, i loro tempi, la loro perfetta alchimia. Si veda la scena nel vivaio in cui Bernard rivela a Doris la propria omosessualità e la macchina da presa stringe per la prima volta il campo sui primissimi piani degli attori. O quella esilarante in cui, enormi occhiali da sole, voce e movimenti rallentati dalla febbre, Doris rimette insieme il puzzle della sera precedente, quando, fuggita dalla clinica, ha mescolato alcol e pastiglie.
La Sarandon sguazza in questo ruolo per la gioia di tutti noi, dimostrando di non aver perso un briciolo di quella sensualità, quell’ironia spesso disperata, quella verve comica, quell’intensità drammatica che avevamo amato in film come Atlantic City (1980), Bull Durham (1988), Calda emozione (1990), Thelma&Louise (1991), L’olio di Lorenzo (1992) e Il cliente (1994) e che costituiscono le qualità fondamentali del suo carisma. Certo, ci sono state altre bellissime prove ed altri grandi momenti di cinema: l’immatura Adele di Anywhere but here (1999), la madre tossicodipendente di Igby goes down e la dolente JoJo di Moonlight mile (entrambi del 2002) lo strepitoso monologo alla commemorazione del marito in Elizabethtown e la divertita partecipazione all’eccentrico musical di Turturro Romance & cigarettes (2005, esattamente 30 anni dopo l’altro musical, l’epocale, irrinunciabile The Rocky Horror Picture Show), fino allo struggente cameo di In the valley of Elah (2007). Ma quella di Doris Duke è probabilmente la sua performance migliore dai tempi dell’oscar sacrosanto per Dead Man Walking (1995) e giustamente è stata nominata agli Emmy, ai Golden Globes e agli Screen Actors Guild awards. Attendo adesso con ansia l’uscita di The Lovely bones anche per vedere con quale grinta e disperato senso della follia la Sarandon si è calata nella parte di nonna Lynn.

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