lunedì 11 gennaio 2010

La fluidità sessuale di Orlando


"Poiché non v'è dubbio sul suo sesso, malgrado il delicato aspetto femmineo cui di questi tempi ogni giovin signore aspira..."

Inizia così, proprio come il romanzo di Virginia Woolf, l'elegante, ermetico, pittorico film che Sally Potter ha tratto dal capolavoro della scrittrice inglese nel 1992. Orlando non è tuttavia un semplice adattamento cinematografico: nella sua struttura in capitoli, nell'austera perfezione delle immagini, nell'abbondanza e nello splendore degli ambienti e dei costumi, nell'evocazione dei passaggi temporali e nella suggestiva fluidità di un'impossibile e simbolica cavalcata attraverso i secoli e i sessi, il film aspira in ogni inquadratura all'opera d'arte. Ed in alcune sequenze centra in pieno il bersaglio.

Tutta la prima parte è come congelata in un gusto da tableux vivant stile Peter Greeneway: l'andamento catatonico e le atmosfera sospese rischiano in ogni momento lo sterile esercizio intellettuale. Ma il gioco sopraffino delle ondivaghe identità sessuali moltiplica i significati: l'androgina Tilda Swinton s'impone sin dall'inizio come corpo/volto sublime che racchiude in sé maschile e femminile, mentre Quentin Crisp dà forma decadente alla sontuosa vecchiaia della Regina Elisabetta I. Un omosessuale nel ruolo di una donna (per giunta vergine) e una donna in quello di un uomo (semi-asessuato): c'è materiale per un intero trattato sul travestitismo e sulla fluidità sessuale. Ma Orlando è anche un film sulla bellezza, sulla doppiezza della poesia, sull'immortalità, sulla solitudine dell'esistenza e sulla conquista/costruzione dell'identità.

Il giovane aspirante poeta Orlando entra a sedici anni nelle grazie della regina Elisabetta I diventandone il favorito. Ad una condizione: "Non appassire, non inaridire, non invecchiare". Queste parole risuonano dalla voce della regina come una benedizione, un incantesimo, una profezia. Ricevuto in dono un patrimonio immenso, Orlando scopre la sofferenza e la "slealtà" delle donne quando si innamora, non ricambiato, della giovane russa Sasha. Incantato dal piacere della poesia, si fa mecenate di un volgare e scaltro poeta, ma è tradito nelle sue sincere velleità artistiche quando il mantenuto giudica ingenuo e senza valore il suo manoscritto. Deluso dall'amore prima e dalla poesia poi, si dedica alla politica e nel 1700 diventa ambasciatore dell'impero britannico in Oriente. Qui scopre l'amicizia virile, l'orrore della guerra e la spietata conferma della sua inadeguatezza al ruolo "maschile".
Tanto il suo animo è delicato e sensibile che una mattina si risveglia donna. Magnifica la sequenza della "trasformazione": dopo sette giorni a letto, Orlando riapre gli occhi e nella lentezza solenne dei movimenti e nella profondità dello sguardo sappiamo già che qualcosa è successo. Ma in realtà nulla è cambiato. Sotto un faro di luce che rende l'atmosfera magica e sognante, si bagna il volto e si guarda allo specchio: la bellezza preraffaelita della Swinton si dona all'obiettivo della cinepresa in tutto il suo fulgore. Il primo piano misterioso dell'attrice si colora di un lieve sorriso carico di regale dignità.
"Stessa persona. Nulla che sia mutato. Solo il sesso è diverso"


Ritorna in Inghilterra e riprende possesso delle sue proprietà. E si dà alla vita mondana, constatando con rammarico lo scarso rispetto e la debole stima dei poeti verso il genere femminile. "L'intelletto è un luogo solitario, dunque terreno inadeguato per le femmine, che scoprono la loro natura guidate dal padre o dal marito", le viene detto. "E se è sola?", chiede Lady Orlando. "Allora, per quanto incantevole sia, è persa".

Il viaggio di Orlando attraverso i secoli, in questa nuova dimensione/prospettiva femminile, diventa così la conquista della propria indipendenza e il raggiungimento della consapevolezza della propria solitudine. In un'altra sequenza memorabile, Lady Orlando, pur rischiando di perdere la propria fortuna per motivi legali a causa del cambiamento di sesso, rifiuta una proposta di matrimonio. "Orlando voi per me foste e sarete sempre, uomo o donna che sia, il fiore, la perla e la perfezione del vostro sesso", le dice l'Arciduca inglese disposto a sposarla per salvarla dalla rovina. Di fronte alla smania di possesso maschile che non ammette rifiuti sulla base della superiorità sessuale, Lady Orlando vede in pericolo la propria libertà di essere umano. E comprende l'arroganza dell'amore maschile: adorare qualcuno non è sufficiente perché questo qualcuno ci appartenga di diritto. "Morirai zitella, spossessata e sola!" le intima l'Arciduca. E Lady Orlando fugge attraverso il labirinto degli anni: la macchina da presa finalmente prende il volo e il film conquista quella suggestiva fluidità cui aspira.


"Natura Natura, io sono la tua Sposa. Prendimi".

Orlando sussurra queste parole alla terra al termine della stupenda scena del labirinto. Si ritrova nobildonna decaduta nel 1850 e conosce finalmente il sesso e la felicità dell'amore nella forma selvaggia e appassionata dell'avventuriero Shemardine (Billy Zane). Il film si avvampa e acquista calore ed umanità. Stupendo il dialogo sui ruoli di maschile e femminile fissati dalla società e dalla cultura e sulla possibilità di scelta di un destino alternativo.

"Avete combattuto in battaglia come un uomo?"
"Ho combattuto"
"Sangue?"
"Se necessario sì. La libertà va presa. La libertà va conquistata"
"Se io fossi uomo forse non sceglierei di rischiare la mia vita per una causa incerta. Potrei pensare che la libertà conquistata con la morte non sia meritevole"
"Voi potreste scegliere di non essere un vero uomo. Se io fossi donna potrei scegliere di non sacrificare la mia vita alla cura dei miei figli, o dei figli dei miei figli, né di annegare anonimo nel latte della bontà femminile. Potrei andare all'estero.. in quel caso sarei..."
"...una vera donna"

Ma le scelte appartengono agli uomini. Lady Orlando non può scegliere di fuggire via in America con Shemardine, inseguendo un sogno di impossibile libertà. Lui non vuole sposarla e per Orlando è tempo di pensare al presente, ad un futuro che non inizi in un ipotetico domani, ma che parta qui ed ora. Si lasciano senza rimpianti, mentre soffia una vento formidabile e la pioggia si confonde con le lacrime che bagnano il volto.

Scoppia la guerra ed Orlando, incinta, fugge sotto i bombardamenti, in un'altra sequenza simbolico-impressionistica di grande effetto. Ed arriviamo ai giorni nostri. Orlando è madre due volte: ha dato alla luce una bambina ed un manoscritto che racconta la sua vita. Nell'ultima scena la ritroviamo sotto lo stesso albero dove all'inizio, 400 anni prima, ripeteva i versi da intonare a memoria per la regina Elisabetta. "Sono felice", dice alla figlia che corre sul prato e la riprende con una videocamera. In alto, un angelo dorato canta per loro. La dignità della maturità e della consapevolezza della propria storia si dipinge sullo sguardo aperto e carico di speranza di Tilda Swinton. Il film non sarebbe lo stesso senza l'ironia dei suoi sguardi in macchina, senza la sua enigmatica, trascendentale presenza. Una performanca antinaturalistica di inestimabile valore.

Voto: 8

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