sabato 12 dicembre 2009

Un tram che si chiama capolavoro


L'eco del trionfo sulle scene newyorkesi della nuova produzione australiana di Un tram che si chiama desiderio mi ha sottilmente persuaso a rivedere la trasposizione cinematografica dell'opera di Tennessee Williams. Avevo visto il film di Elia Kazan (regista anche dell'allestimento originale) negli anni dell'Università e ricordo che mi aveva commosso, emozionato e turbato per la torbida sensualità delle atmosfere, per il linguaggio al tempo stesso lirico e realistico e, ovviamente, per la potenza delle performance. Sarà che sono passati circa una decina d'anni (sono così invecchiato?) e che all'epoca non potevo cogliere tutte le sfumature di un dramma tanto stratificato, complesso ed allusivo, ma la visione del film ieri sera mi ha letteralmente devastato.

Da un punto di vista espressivo e stilistico, il film è puro cinema pur conservando un impianto dichiaratamente teatrale. Il set claustrofobico di casa Kowalski (con alcune aperture all'esterno: la stazione, dai cui fumi emerge come un fantasma la spaesata figura di Blanche; la sala da gioco; il cortile) è gestito attraverso una precisa definizione dei piani che crea movimento in base alle relazioni fra i personaggi. E tutto ruota intorno agli attori, guidati da un maestro come Kazan a una recitazione di rara eccellenza. Kazan era un sostenitore del metodo Stanislavski: conosceva benissimo i suoi attori ed il materiale umano di esperienza ed emozioni che ciascuno poteva esprimere. Di conseguenza sapeva su cosa puntare per poter ottenere un determinato risultato. Il livello di complessità psicologica e naturalismo della recitazione è infatti impressionante.


La grandezza della piece, la poesia della parola di Williams prende così vita in tutta la sua densità e ricchezza: si veda la scena in cui Blanche seduce il giovane entrato in casa e gli sussurra "Non adora questi lunghi pomeriggi piovosi a New Orleans? ... quando un'ora non è solo un'ora... ma un piccolo pezzo di eternità gettato nelle nostre mani... e chissà cosa bisogna farci"; o quando, nel confronto con Mitch, ormai venuto a conoscenza del passato burrascoso e poco lusinghiero della donna, Blanche confessa di aver avuto molti incontri con uomini sconosciuti alla ricerca di protezione e conforto, ed urla disperata, feroce e ferita le sue celebri battute: "I don't want realism! I want magic!". "Pensavo rigassi dritto (I thought you were straight)" le dice Mitch. E Blanche commenta: "Dritto? Cos'è dritto? Una riga può essere dritta, o una strada... ma il cuore di un essere umano...". Tennessee Williams, attraverso il personaggio di Blanche e l'uso del termine straight, allude in questo scambio alla condizione omosessuale, difendendo le scelte del cuore a spada tratta con una potenza immaginifica ed un uso accorto e multistratificato del filtro dell'affabulazione drammaturgica che lascia ammirati. Kazan sapeva benissimo che c'era molto di Williams nel personaggio di Blanche.


Nel passare dallo stage allo schermo, tuttavia, la piece dovette subire alcuni cambiamenti, soprattutto nei riferimenti omosessuali. Nell'allestimento originale, il marito di Blanche si uccide perché incapace di superare la vergogna di essere stato scoperto con un altro uomo. Nella sceneggiatura del film, l'allusione è più sottile ed avviene attraverso il riferimento al carattere tenero, gentile e debole dell'uomo: è Blanche con i suoi insulti ed il suo disprezzo a spingere il marito al suicidio. Una serie di scene e battute vennero eliminate nella versione definitiva del montaggio, ma sono state reinserite in una recente edizione del film in dvd. Tra queste, la battuta di Stanley a Blanche "Forse non sarebbe male interferire con te" nel loro confronto finale, rende più esplicite le intenzioni dell'uomo, appena prima della violenza carnale (bellissima l'inquadratura dello specchio in frantumi) che segna il momento di non ritorno per la stabilità mentale della protagonista. E anche il finale fu modificato: nel film, Stella è sconvolta dalla partenza della sorella (che viene ricoverata in un ospedale psichiatrico) e decide di non tornare più dal selvaggio marito. Con la bambina stretta tra le braccia, sale le scale e si rifugia nell'appartamento della vicina di casa, mentre Stanley urla disperato il suo nome. Questo finale fu scelto per motivi di censura: Stanley viene così punito per la sua "crudeltà intenzionale" con l'abbandono da parte di Stella. Ma è evidente che la decisione di Stella di lasciarlo sembra non venire da nessun posto, tanto è affrettata e non in linea con il personaggio, totalmente (e credibilmente) affascinato e soggiogato dal potere fisico di Stanley (si veda la magnifica scena in cui Stella scende le scale verso Stanley come se fosse in trance: lui, maglietta strappata, volto supplichevole, implora il suo perdono per averla maltrattata. Come due magneti che si attraggono Stella non può stare lontana da lui e il momento dell'abbraccio, violento, appassionato ed animalesco, è una della scene più forti e sexy di tutto il cinema americano). A teatro il finale era molto più ambiguo: Stella rientrava in casa e riprendeva la sua vita, come era sempre stato e come avrebbe sempre dovuto essere.


Attori magnifici, si diceva. Vivien Leigh è civetta, fragile, ironica, intelligente, nevrotica e disperata, e ci accompagna passo dopo passo attraverso il progressivo scivolare nell'oblio di quest'anima confusa e sola con una passione per l'arte e un'adesione al carattere stupenda. Kim Hunter (Stella) e Karl Malden (Mitch) sono perfetti, ma la performance esplosiva (e l'unica che non solo non ottenne l'Oscar, ma non fu nemmeno candidata) è quella di Marlon Brando, in uno di quegli star-turn epocali che lasciano un segno indelebile. Pare che Elia Kazan avesse accettato di girare la trasposizione cinematografica della piece proprio per riequilibrare i rapporti fra i personaggi: a teatro Brando era talmente forte da oscurare gli altri attori col rischio che l'opera sembrasse incentrata su di sé piuttosto che su Blanche. Kazan sapeva che poteva ricorrere al cinema per rifocalizzare tutto sulla protagonista (anche per rispetto e fedeltà a Williams, che comunque era pazzo di Brando) attraverso l'uso del montaggio e delle inquadrature. Tuttavia se molte altre attrici hanno potuto calarsi nella parte di Blanche con risultati eccellenti (vedi post precedente), nessuno attore è mai riuscito a far dimenticare nè tantomeno ad avvicinarsi allo spessore e alla potenza della performance di Marlon Brando.

Voto: 9

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