domenica 7 febbraio 2010

Un'educazione al dolore


"Mi sento vecchia, ma non molto saggia", dice la piccola Jenny verso la fine del film, e non ha ancora 18 anni. Uscendo dal tracciato indicato dagli adulti e bruciando le tappe, Jenny smarrisce se stessa: quasi mai la strada più breve e facile da percorrere è quella giusta per essere felici. In genere è quella più irta di trappole. Ma non è mai troppo tardi per imparare a vivere. E' il racconto di un'educazione al dolore a alle menzogne (degli altri) il film che la regista danese Lone Scherfig, su sceneggiatura di Nick Hornby, ha tratto dal romanzo autobiografico di Lynn Barber. Un piccolo film che non racconta niente che già non sappiamo, ma lo fa con grazia.

Periferia di Londra, inizio anni '60. Jenny (Carey Mulligan) è una sedicenne intelligente e talentuosa: studia violoncello, è appassionata di cultura e di musica francese, e sogna di essere ammessa alla facoltà di lettere a Oxford. La sua vita è grigia e tranquilla, fino a quando non conosce David (Peter Saarsgard), un trentenne affascinante, abile con le parole e raffinato nei modi, capace di conquistare persino la fiducia dell'irreprensibile padre di Jenny (Alfred Molina, bravissimo). Perché continuare a studiare quando David la introduce al bel mondo, la porta ai concerti, nei night-club, alle aste di quadri pre-raffaelliti, a Parigi? Jenny non crede ai suoi occhi: ha finalmente tutto quello che ha sempre sognato e a nulla servono le raccomandazioni della professoressa di lettere e della preside, che la mettono in guardia dai pericoli di un legame troppo prematuro ("Hai talento, non sprecare la tua vita", si sente ripetere in continuazione).


Il film parte come una commedia, sfocia nel dramma (trattenuto e denso di implicazioni psicologiche non scontate: soprattutto quando sottolinea le responsabilità individuali dei personaggi, non ultime quelle dei genitori) e si chiude in maniera un po' troppo semplicistica (c'è un tempo per tutto, per Jenny è il tempo di continuare a studiare). In mezzo, la sceneggiatura suggerisce problematiche spigolose ma è fin troppo cauta per affrontarle a fondo: Jenny ha la testa sulle spalle, sembra già troppo matura ed in gamba per la sua età eppure si lascia travolgere dalla maschera da viveur di David. Non solo: quando scopre la sua vera attività, Jenny accetta la sua disonestà e sceglie comunque di restare con lui. Perché? E' forse troppo innamorata? O, semplicemente, non è innocente neanche lei, anzi, è fin troppo intelligente da capire che se vuole quel tipo di vita deve scendere a compromessi? David può offrirle tutto quello che vuole. Può essere felice senza sforzo, senza fatica. Ma la maschera di David nasconde ombre ancora più grandi ed impossibili da sostenere.


Il film è la storia di Jenny, ma vorremmo sapere di più di quest'homme fatale bugiardo, tenero ed infantile. David vive nella menzogna ma la recitazione di Saarsgard è così sottile che avvertiamo il dolore del personaggio: sembra che David creda davvero alla storia con Jenny, mentendo a se stesso ancor prima che alla ragazza. Quanto a Jenny, la sua precocità la spinge incontro al dolore e alla delusione prima del tempo, ma non dubitiamo per un istante che possa non farcela.


Il tocco della regista è leggero, garbato e sensibile, ed il tono del racconto sincero ed ispirato. Carey Mulligan ha uno splendido primo piano: bellissimi i suoi sguardi (furbi? maliziosi? innocenti?) nella scena del primo incontro sotto la pioggia, o nella sequenza al night-club. Davvero molto brava.

Voto: 7

3 commenti:

  1. Sulla bravura della Mulligan non discuto. Sul film purtroppo si e devo dire che si tratta di una cocente delusione per me. Mi aspettavo meglio, molto meglio. Non mi ha emozionato, non mi ha coinvolto, non mi ha trasmesso tutto lo stupore della novità e della scoperta della Vita che ha Jenny. I suoi occhioni brillano e si entusiasmano, ma a me spettatore non è arrivato niente. La regia mi è parsa senza guizzi, molto piatta, così come tutta l'atmosfera. Hornby cosa c'entra? L'inizio sembrava promettere bene, poi mi è sembrato che si spegnesse tutto troppo presto. Ad esempio, il rapporto di Jenny con l'insegnante è proprio tirato via, così come il dileguarsi finale del suo "amico". Il finale appunto: triste. La frase che chiude il film l'ho sentita come una sconfitta per Jenny e devo essere sincero ci sono proprio rimasto male. Come adesso ci rimango male a vedere An education tra i 10 film dell'anno. Dico no.

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  2. An Education è sicuramente stato sopravvalutato e probabilmente non merita la nomination a miglior film dell'anno, ma non vuole essere più di quello che è: un piccolo racconto di formazione. E' vero, la sceneggiatura ha qualche buco ed alcuni passaggi non sono perfettamente convincenti. Se il film non emoziona è perché lo sguardo registico è distaccato e maturo, e non si identifica con lo sguardo fresco di Jenny. Non è necessariamente un errore, quanto una scelta. Ecco perché il film non trasmette "lo stupore della scoperta della vita" come dici tu. Ho trovato la regia della Scherfig senza pretese ed onesta. Anche se, per emozionarci di più, forse ci voleva una Sofia Coppola per una storia così... Come tramite per farsi coinvolgere dal racconto resta il volto della Mulligan. E, comunque, è un bello spettacolo.

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  3. Senza pretese appunto lo leggo in senso "negativo", per me ha significato piatta, ciò non toglie che sia un film gradevole ma che, come dire, mi è scivolato via... Forse avevo sentito troppi elogi e letto troppe esaltazioni in giro :)

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