domenica 28 febbraio 2010

Susan Sarandon a Roma!


Per i miei lettori ecco un lungo e dettagliato resoconto dell'incontro con il pubblico che ieri sera la mitica Susan Sarandon ha tenuto all'Auditorium Parco della Musica a Roma per il primo appuntamento di Viaggio nel cinema americano, rassegna curata da Mario Sesti ed Antonio Monda. Occasione imperdibile per ripercorrere i (primi) 40 anni della carriera favolosamente atipica di una donna eccezionale. Saltate al post successivo e buona lettura!

The Lovely Susan


Mario Sesti la presenta ricordando la celebre descrizione che di lei fece qualche anno fa un giornalista americano: “gli occhi più penetranti e le battute più pungenti di Hollywood dai tempi di Bette Davis”. Lei si presenta sorridente e stupenda in un nero finto-casual (pantaloni, camicia elegante e stivali rigorosamente senza tacco), saluta il pubblico che nel frattempo si spertica per applaudire ed infonderle calore (quello che urla in maniera più forsennata e sconveniente sono ovviamente io) e si siede al centro delle tre poltrone allestite sul palco. Susan Sarandon è il primo ospite di Viaggio nel cinema americano, una serie di incontri all’Auditorium realizzati dalla Fondazione Cinema per Roma.

Per prima cosa Susan saluta la sua famiglia italiana presente in sala (le sue radici sono ragusane). Altro applauso scrosciante. Subito dopo inizia l’intervista e la Sarandon è meravigliosa in tutti i sensi: anti-diva per eccellenza, nessun vezzo da star, naturalissima, brillante, ironica, intelligente e bellissima, nei suoi incredibili, impossibili 63 anni. Risponde alle domande con lo stesso acume e la stessa leggerezza che le hanno permesso di attraversare 40 anni di cinema americano apparendo in una miriade di film e almeno in cinque cult-movie: The Rocky Horror Picture Show, Atlantic City, Bull Duhram, Thelma&Louise e Dead Man Walking.

C’è differenza rispetto all’approccio verso la recitazione tra cineasti americani ed europei?
No. L’unica differenza è che alcuni registi ti rivolgono la parola ed altri no, a prescindere dalla loro provenienza (risate del pubblico). Alcuni sono più interessati al personaggio, altri all’azione ed altri ancora non sono interessati a niente (risate). La vera differenza la fanno i produttori che investono i soldi. I cliché stabiliscono che i film americani abbiano grandi esplosioni e i film europei siano molto dialogati, pieni di nudo e lenti (risate). Ma ci sono anche tantissimi film lenti, con scene di nudo, che vengono realizzati in America e che non trovano una distribuzione. Molti film interessanti oggi vengono realizzati per la HBO o altri canali televisivi che non hanno il problema distributivo di dover raggiungere per forza un vasto pubblico, ma possono rivolgersi a determinate fette di pubblico.

Preferisce quando i registi le parlano molto o quando non le danno alcuna indicazione?
Ad essere onesta sono pochissimi i registi che ti parlano o che danno consigli sulla recitazione. Il 90% del loro lavoro consiste nel fare un buon casting e nel creare la giusta atmosfera che consenta ad un attore di sentirsi sicuro. Louis Malle praticamente non parlava con nessuno. Le cose variano da regista a regista: con Luis Mandoki, ad esempio, comunicavamo molto, con altri quasi per nulla… Io poi sono una a cui piace sentirsi dare dei consigli.


In Thelma & Louise come combaciava la prospettiva femminile della sceneggiatrice e delle protagoniste con quella maschile di Ridley Scott? C’erano delle differenze?
Ridley ha fatto qualcosa di estremamente brillante. Pur non dandoci alcun consiglio sulla recitazione ha girato il film in modo che il racconto acquistasse una valenza molto più grande, ampia ed eroica di quanto noi ci rendessimo conto. Quando mi propose il ruolo ero indecisa se accettare perché non volevo fare un revenge movie alla Charles Bronson. Abbiamo quindi cambiato molte cose della sceneggiatura nel corso delle riprese.

La scena dell’omicidio, ad esempio, era descritta come un’esecuzione, con Louise che si mette in posizione con l’intenzione di sparare, distanziando i piedi e tenendo la pistola con tutte e due le mani. Secondo me, anche in base alla battuta finale (“Watch your mouth, buddy!”), Louise vuole solo zittire Arlan, non si rende neanche conto di avere la pistola in mano. E dopo averlo ucciso si sente in colpa e avverte che dovrà pagare un prezzo per quello che ha fatto, un sentimento assente nei revenge movie.

Altri cambiamenti furono inseriti nella scena in cui facciamo saltare il camion. Secondo la sceneggiatura avremmo dovuto danzare intorno al camion dopo l’esplosione, ma io ritenevo che Louise non fosse vendicativa: lei cerca soltanto di capire perché gli uomini si comportano in un determinato modo o parlano in una certa maniera. Per questo motivo abbiamo aggiunto alcune battute (ad esempio quando chiedono al camionista se ha un sorella) che sono atipiche in un revenge movie con protagonisti maschili.
Anche il finale fu modificato. Lo girammo proprio al termine delle riprese. Il sole stava tramontando e non c’era stato praticamente tempo per parlarne. Nella sceneggiatura non era previsto il bacio, ma io ho afferrato Geena Davis e l’ho baciata. Il bacio a quel punto funzionava, mi sembrava giusto. Era l’ultimo giorno di riprese e non potevano più toglierlo (risate).

Cosa succede quando rivedi i tuoi film dopo tanto tempo?
In realtà non li guardo nemmeno la prima volta (risate). La cosa strana è che quando ti capita di vederli ti rendi conto che sono state tagliate tante scene e modificate così tante cose che nella visione sei distratto dal ricordo di ciò che hai effettivamente girato. Per questo cerco di trarre soddisfazione dalla recitazione nel momento in cui sono sul set e non mi preoccupo del risultato finale. E’ questo il motivo per cui il teatro fa molta più paura ma dà molta più soddisfazione, perché tu sei direttamente responsabile di quello che il pubblico vede in quel momento.



The Rocky Horror Picure Show la ha dato una popolarità enorme. Le capita ancora di essere fermata da persone che la riconoscono per quel film?
Il Rocky Horror in realtà era rimasto per due anni senza distribuzione: alla Fox proprio non sapevano cosa farsene, in che modo distribuirlo e a quale pubblico mostrarlo. Il budget era stato così basso che non valeva la pena di investire in una vera distribuzione. Solo ad un certo punto decisero di proiettarlo nei campus, nei cinema gay e nei circuiti d’essay, e divenne un film di culto.
Parte della mia fan mail è nata proprio col Rocky Horror: molte persone mi hanno raccontato di essere rimaste colpite e toccate da questo film. In fondo il messaggio è “Don’t dream it, be it” (Non sognatelo, siatelo), un invito a seguire i propri sogni, chiunque tu sia ed ovunque ti trovi. E Thelma & Louise invita invece a muoversi, ad andare via, a non adagiarsi. Da una parte la necessità di essere, di trasformare il sogno in realtà, e dall’altra un invito all’azione. E’ interessante notare come i messaggi di questi due film possano essere visti in connessione: riguardano persone che si trovano dall’altra parte e ruotano entrambi intorno alla scoperta di sé.

Ci sono dei ruoli che avrebbe voluto interpretare?
Ci sono moltissimi bravi attori a cui non vengono offerti buoni ruoli. Quando hai l’opportunità di recitare in un bel ruolo ed il film funziona, te ne viene offerto subito un altro ed in questo modo continui a lavorare. Ci sono molti ruoli che ho fatto che avrebbero potuto essere interpretati in maniera diversa ma ugualmente bene da altre attrici. Credo che a tutte piacerebbe interpretare qualsiasi ruolo che oggi viene offerto a Meryl Streep. E’ difficile trovare del buon materiale su cui lavorare o addirittura avere l’opportunità di farlo. Una strada alternativa è quella di cercare del materiale da sviluppare in prima persona per potersi ricavare un buon ruolo, come ho fatto per Dead Man Walking.
Ci sono anche molti ruoli maschili interessanti… Non voglio dire che mi piacerebbe interpretare Lawrence D’Arabia o Gandhi, non voglio fare l’uomo (risate). Ma generalmente nel film l’uomo fa tutto e la donna riesce soltanto a dire: “Ma è fantastico!” (risate). Se leggiamo i giornali ci sono tante storie interessanti da narrare e i protagonisti non sono necessariamente sempre e soltanto uomini bianchi eterosessuali. E’ necessario trovare autori che sappiano raccontare storie e registi che abbiano delle idee in proposito. Ron Shelton era al suo primo film con Bull Duhram ma la sceneggiatura che aveva scritto era ottima e lui era molto preparato. Queste cose purtroppo non capitano spesso.

Riguardo alla recente evoluzione del 3D e degli effetti speciali, cosa significa per un attore recitare spesso di fronte al blue screen?
A volte un blue screen è più facile dell’attore con cui stai recitando (risate). Oggi le tecnologie dell’home video permettono di vedere a casa film in ottima qualità, sul televisore o sul pc. Se si spendono 15 dollari per andare al cinema deve essere per qualche cosa che non può essere visto se non sul grande schermo. Ne deve valere la pena. Quindi prevedo in futuro sempre più 3D e film come Avatar. Ma ci sono anche piccoli film incentrati sui personaggi che non trovano distribuzione perché in America la stragrande maggioranza delle sale è di proprietà delle grosse major e gli esercenti indipendenti sono oramai scomparsi. Per questo motivo i festival sono sempre più importanti: danno visibilità ai piccoli film che in questo modo possono ottenere l’attenzione necessaria e trovare qualcuno che li distribuisca.
Penso poi che un conto sia vedere un film al cinema e un conto sia vederlo sul piccolo schermo. E’ un peccato che venga a mancare l’esperienza collettiva della visione sul grande schermo, l’idea di un gruppo di persone che fa un’esperienza a luci spente nello stesso posto.



Come si prepara per affrontare un personaggio? C’è un film o un personaggio al quale è legata particolarmente?
E’ una domanda stile La scelta di Sophie questa (risate)! Ho trovato interessanti tutti i personaggi che ho fatto anche perché mi permettevano di esprimere sentimenti diversi dai miei. La cosa bella dell’essere attore è potersi calare nei panni di persone diverse da te. Hai la possibilità di vivere e fare cose che non avresti mai sognato di fare e, dovendoti avvicinare al personaggio, sviluppi un grande senso di compassione e comprensione per gli altri.
Il segreto sta nell’abbandonarsi e nell’arrendersi, nell’essere rilassati. In alcuni casi puoi fare riferimento a molti elementi specifici nel costruire un personaggio, soprattutto quando interpreti una persona realmente esistita, anche se in questo caso hai anche una maggiore responsabilità. Altre volte devi ricorrere alla tua immaginazione.
Mi imbarazza dirlo ma non ho mai studiato recitazione, ho imparato lavorando sul campo, ma la linea di fondo è cedere ed arrendersi al personaggio. Poi devi anche concentrarti sul servizio che come attore devi rendere al film nel suo insieme: l’attore è uno strumento e come tale deve essere funzionale. Non c’è una cosa giusta o sbagliata da fare, bisogna solo chiedersi se una determinata cosa funziona o meno in rapporto al quadro generale del film.

Quale è stato il segreto per diventare Susan Sarandon?
Sono qua perché sono falliti tutti i piani che avevo fatto (risate e applausi). Ai miei figli dico spesso che il loro compito è quello di sbagliare. Soprattutto adesso, visto il mondo in cui viviamo, la cosa migliore che si possa fare è adattarsi, essere flessibili e restare svegli. Soltanto facendo degli errori si può imparare e capire.


Le piacerebbe tornare ad interpretare un musical?
E’ strano che io abbia dovuto cantare in così tanti film, dal momento che canto così male (risate)! Anche in Dead Man Walking mi è toccato cantare! E’ la cosa che mi piace meno in assoluto, proprio perché non mi sento affatto preparata. La ragione per cui feci il Rocky Horror aveva a che fare col mio ego, era per dimostrare che anch’io ero in grado di cantare almeno un po’. Pensavo che se qualcuno mentre giravamo mi avesse dato della droga o qualunque cosa per vincere la mia fobia di cantare, cosa che non è avvenuta, avrei potuto farcela (risate)!

Nella sua galleria di personaggi, ce n’è qualcuno dal quale è stato difficile staccarsi alla fine delle riprese?
Quando varchi la soglia di casa ed hai dei figli non c’è più spazio per il personaggio. Ma devo dire che Sister Helen è forse quello che più di ogni altro mi ha esaurita e prosciugata. In genere, però, sono i ruoli per i quali credi di non aver fatto un buon lavoro che continuano a perseguitarti, come dei brutti sogni. E’ difficile uscire da un personaggio quando non sei soddisfatta e pensi che avresti potuto fare di meglio.

Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro del cinema, sempre più film come Avatar?
La cosa importante è che ci siano belle storie da raccontare e persone in grado di farlo al meglio. Non vorrei che si producessero solo film che sfruttino e ripetano il successo di altri film per fare soldi, come funziona l’industria oggi. In fondo dipende da come voi deciderete di spendere i vostri soldi. Dovete chiedere ed osare.


Amen. L’intervista è finita, Susan si concede all’abbraccio della folla, firma autografi e stringe la mano al sottoscritto. Una mano ora benedetta da quella che considero da vent’anni una delle mie attrici preferite in assoluto. Ed una delle più grandi della storia del cinema. Lasciate ad ognuno le divinità che si merita. Io ho scelto le mie.

sabato 27 febbraio 2010

Tennessee Williams tra ironia, elegia e cupi simbolismi


Loudvision.it ha pubblicato altri due titoli della mia retrospettiva sul cinema tratto da Tennessee Williams: La notte dell'iguana, simbolico (e sottilmente ironico) dramma diretto da John Huston nel 1964 con il trio di star Burton-Kerr-Gardner e il bellissimo Questa ragazza è di tutti di Sidney Pollack, con Robert Redford ed una straziante Nathalie Wood.


I link sono i seguenti:
http://www.loudvision.it/cinema-film-la-notte-dell-iguana--945.html
http://www.loudvision.it/cinema-film-questa-ragazza-e-di-tutti--948.html

Alice in Wonderland: la vera magia la fanno gli attori


Una cosa è certa: fin quando gli effetti speciali saranno utilizzati in modo funzionale per arricchire il risultato finale di una performance possiamo dormire sonni tranquilli. E' il miracolo (forse l'unico) in cui riesce Alice in Wonderland di Tim Burton: le caratterizzazioni del Cappellaio Matto e della Regina Rossa sono ispessite dal ricorso al trucco e agli effetti visivi, e la straordinaria bravura, l'espressività e la stilizzazione recitativa di Johnny Depp e di Helena Bonham-Carter restano perfettamente riconoscibili ed apprezzabili in tutta la loro efficacia. Potete darci tutti i 3D che volete, ma la vera magia al cinema la fanno sempre gli attori (e lo sguardo del regista).


Potete ben intuire che alla proiezione stampa dell'attesissimo film di Tim Burton ho lasciato la sala con un po' di amarezza e disappunto, in parte mitigati dalle elettrizzanti interpretazioni del cast, su tutti un toccante Johnny Depp (formidabile Cappellaio Matto: in più momenti emerge vivissimo e struggente il ricordo dell'altra immensa creazione del duo Burton-Depp, Edward Mani di Forbice) e una Helena Bonham-Carter assolutamente irresistibile e perfida nei panni dell'iraconda, dispotica ed infantile Regina Rossa. Anche Anne Hathaway lascia il segno, iniettando nella Regina Bianca Mirana, sorella minore di Iracebeth, una sottile dose di ironia ed oscurità, sotto l'apparente candore. E Mia Wasikowska funziona, col suo viso luminoso spesso corrucciato e cupo, così come tutti gli altri folli ed eccentrici personaggi di Sottomondo: dal fantasmagorico Stregatto al Brucaliffo, dal Bianconiglio alla topolina Mally.


Cos'è che non convince allora di Alice in Wonderland? Il mix di live action e performance capture non è tecnicamente avanzato come in Avatar ed anche il 3D sembra avere una resa inferiore. Alcune sequenze dinamiche (soprattutto i movimenti del Fante di Cuori) sono tutt'altro che impeccabili ma sono difetti che si possono perdonare, dal momento che stiamo parlando di tecnologie in fase di sperimentazione e continuo sviluppo. Il disappunto principale nasce a livello poetico e narrativo: Burton torna dopo anni a lavorare con la Disney in una super produzione e si ha la sensazione che abbia dovuto tenere a bada il suo talento visionario. Lo splendore degli scenari c'è, eccome, ma manca quell'aspetto profondamente dark, sinistro e maledetto che ha fatto la grandezza di Burton.

Da un punto di vista narrativo, la sceneggiatura mescola situazioni e personaggi da "Alice nel paese delle meraviglie" e "Attraverso lo specchio" di Lewis Carroll ed ha l'intuizione di spostare la storia in avanti nel tempo, raccontando di un'Alice ormai diciannovenne che sta per diventare adulta. Il ritorno nel paese delle meraviglie che aveva visitato da bambina e che aveva rimosso dalla sua memoria non solo sarà occasione di nuove avventure ma costituirà un vero e proprio rito di passaggio al termine del quale la giovane Alice prenderà in mano la sua vita ed il suo destino.


L'idea è buona ma lo sviluppo è convenzionale e normativo e il racconto procede prevedibile verso il climax della battaglia finale in cui si affrontano gli eserciti delle due regine rivali, mentre Alice, come previsto dalla profezia dell'Oraculum, dovrà riuscire a sconfiggere il terribile, mostruoso Ciciarampa.

Il divertimento è comunque assicurato e il film farà sfracelli al botteghino. Che io abbia perso la capacità di meravigliarmi? Da un regista come Burton è giusto aspettarsi di più, soprattutto quando gli ultimi Sweeney Todd e La sposa cadavere erano dei capolavori.

voto: 7

mercoledì 24 febbraio 2010

Ottima musica e un grande Bridges, ma Crazy Heart delude


Diciamolo subito: Crazy Heart non è un gran film, né la migliore interpretazione della gloriosa (ma finora sottovalutata) carriera di Jeff Bridges (Il Grande Lebowski resta inarrivabile). Poteva essere una sorta di The Wrestler, ma Scott Cooper non ha il talento fiammeggiante di Darren Aronofsky. La storia della difficile redenzione del country-singer Bad Blake da una vita sregolata fatta di alcol, fumo e matrimoni falliti, ha il passo lento di una ballata rock che entra a poco a poco sottopelle anche per merito di una colonna sonora coi fiocchi, ma le dinamiche narrative che muovono il film sono fin troppo convenzionali. E la carica struggente ed il crepuscolarismo cui Crazy Heart aspira restano come intrappolati sulla carta ma non prendono il volo sullo schermo.

Soprattutto la storia d'amore, che sarebbe il motore della rinascita del protagonista, risulta l'elemento più debole e meno convincente del racconto, anche perché il personaggio di Jean (la giornalista cui Blake rilascia un'intervista e con cui instaura una relazione telefonata dal primo scambio di sguardi) è scritto come una mera funzione del protagonista piuttosto che come un carattere a sé stante. Il suo sottotesto è ridotto ai minimi termini (ragazza madre dolce e sfortunata con adorato figlio sulle spalle e un'innata inclinazione a perdere la testa per gli uomini sbagliati) e la pur brava Maggie Gyllenhaal ha un gran da fare per rendere credibile l' immediato innamoramento e i successivi (schematici e scontati) sviluppi del rapporto. Persino il finale amaro e apparentemente non convenzionale non funziona come dovrebbe: non c'è autentico conflitto in questo amore e l'unico motivo drammatico (riguardante il figlio di Jean) suona come un semplice pretesto narrativo.

Appesantito, alcolizzato ed indolente Jeff Bridges è grandioso, ma il film lascia l'amara sensazione che con un attore così (ed uno script migliore) si sarebbe potuto fare molto di più. In fin dei conti Bridges interpreta Blake esattamente come ti aspetteresti. Sembra di rivedere molti dei suoi vecchi personaggi, il Drugo de Il Grande Lebowski su tutti: stessa soave leggerezza e stralunata ironia, unite ad un senso del dramma talmente scolpito nel corpo e sulle rughe del volto (e della voce) che non ha bisogno di scene madri per esprimersi al massimo. E Bridges è perfetto nel rendere lo straziante percorso interiore del personaggio, all'inizio parecchio sgradevole, poi sempre più umano mentre si trascina in fondo al baratro alla ricerca di un appiglio per risalire.

Che Bridges avesse stoffa come cantante e musicista lo sapevamo già dai tempi de I Favolosi Baker: Crazy Heart è un film tutto costruito su di lui, inquadratura dopo inquadratura, ed i momenti migliori sono proprio i live dei concerti, oppure i silenziosi primi piani che registrano le devastazioni dell'alcolismo o la solitudine dell'artista che compone alla chitarra. Tuttavia non siamo dalle parti del miracolo o della performance sorprendente, against the type, per intenderci. Colin Firth in A Single Man è molto più emozionante e meriterebbe di vincere lui l'Oscar se Hollywood non avesse deciso che è finalmente giunto il tempo di onorare Jeff Bridges. Quasi a prescindere dalla sua pur ottima interpretazione.

voto: 6

lunedì 22 febbraio 2010

BAFTA 2010: foto vincitori


Raggiante, Kathryn Bigelow riceve dalle mani di Clive Owen il BAFTA Award come miglior regista. Ci credete che questa donna ha 58 anni? Quando si dice girl power!


Colin Firth, miglior attore, si gode il meritato trionfo assieme ad una Kate Winslet pronta a tuffarsi nel tortuoso melo' di Mildred Pierce. E se il 7 Marzo vincesse lui e non il già annunciato Jeff Bridges? Quasi impossibile.



A Star is born. Carey Mulligan stringe a sé la statuetta e si prenota per futuri successi. Il prossimo film importante è Wall Street 2 di Oliver Stone. L'aspettiamo al varco.

Bafta 2010: trionfa The Hurt Locker


L'Oscar è alle porte e, dopo i Golden Globe e i SAG, i BAFTA continuano a segnare per il film di Kathryn Bigelow una strada lastricata di gloria. Sei statuette per The Hurt Locker: miglior film, regia, sceneggiatura originale, montaggio, fotografia e sonoro. Un autentico trionfo.

Sconfitti Avatar, che porta a casa solo i premi per gli effetti speciali e le scenografie, e An Education, che segna comunque l'unica vittoria stagionale come miglior attrice per la lanciatissima Carey Mulligan. Miglior attore a furor di popolo è il magnifico Colin Firth di A Single Man, che difficilmente riuscirà a replicare questo meritatissimo exploit alla notte degli Oscar.

Nessuna sorpresa tra gli attori non protagonisti: Christoph Waltz di Bastardi senza gloria e Mo'nique di Precious hanno vinto anche ieri sera e, praticamente, hanno già l'Oscar in tasca.
Tra le nuvole vince per la sceneggiatura non originale e Up per la miglior colonna sonora, firmata da Michael Giacchino, oltre che come miglior film d'animazione.

Fish Tank batte An Education come miglior film inglese e Un Profeta di Jacques Audiard viene preferito a Il nastro bianco di Michael Haneke come miglior film straniero. Miglior debutto il fantascientico Moon di Duncan James. Titolo da recuperare, visto i consensi straordinari che sta ricevendo.

Quanto agli Oscar, il conto alla rovescia è già iniziato. Ed io spero ancora che Meryl Streep possa spuntarla su Sandra Bullock. Come è giusto che sia.

Chiude Berlino. Teddy Award a "The Kids Are All Right"

Cala il sipario sul Festival di Berlino 2010. L'Orso d'oro è stato assegnato al film Honey/Bal del regista turco Semih Kaplanogu, mentre Roman Polanski ha vinto il premio per la miglior regia per The Ghost Writer. L'Orso d'argento è invece andato al film rumeno If I Want To Whistle, I Whistle di Florin Serban.


Presentato fuori concorso il 17 febbraio, The Kids Are All Right di Lisa Cholodenko ha replicato il grandissimo successo di pubblico e critica del Sundance. Il film è stato premiato con il Teddy Award, l'equivalente del Queer Lion che viene assegnato a Venezia al miglior film del festival a tematica omosessuale.


Ecco alcune foto con la divina Julianne Moore e la regista sul red carpet. Dopo Lontano dal paradiso, The Hours, Savage Grace e A Single Man, qualcuno ha ancora qualche dubbio su chi sia l'unica vera icona gay del cinema d'autore del decennio?

giovedì 18 febbraio 2010

Scorsese & DiCaprio, perfect match





8 febbraio 2010, Hotel Hassler, Roma. La folla è quella delle grandi occasioni: Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio presentano alla stampa italiana Shutter Island, 6 giorni prima della proiezione al Festival di Berlino. Nonostante l'emozione di trovarmi di fronte al più grande regista vivente, sono riuscito a scattare qualche foto decente (anche se nelle foto 3 e 4 Martin sembra vittima di una delle allucinazioni del film!).
Trovate tutto sulla conferenza stampa al link:

Chi ha (ancora) paura dell'Uomo Lupo?


Uscito venerdì scorso sul mercato americano, il Wolfman di Benicio del Toro, nuovo adattamento della leggenda dell'Uomo Lupo, si è classificato al terzo posto al box office, dietro la commedia romantica Appuntamento con l'amore e al fantasy simil-Harry Potter Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo. 37 milioni di dollari l'incasso nella prima settimana, un dato tutto sommato buono ma non esaltante. La critica è stata decisamente meno favorevole del pubblico pagante, con un 32% di recensioni positive calcolate a oggi su Rottentomatoes. Vedremo come gli spettatori italiani accoglierenno il film: Wolfman è l'uscita più importante del week end e dovrebbe finalmente scalzare dal podio l'incrollabile Avatar, schiacciando senza problemi gli altri film in uscita (Il figlio più piccolo di Pupi Avati, la commedia con Hugh Grant e Carrie Bradshaw e l'interessante La bocca del lupo).



Ma com'è questo Wolfman? Tutto sommato lo si guarda e piacerà agli amanti dell'action-splatter-gore... Purtroppo Joe Johnston si aggrappa fin troppo agli effetti della computer graphic e si conferma un regista mediocre, senza idee e senza personalità.
La mia recensione è su loudvision al link



Emily Blunt è comunque bellissima e intensa. Brillante ed intelligente. Alla conferenza stampa sono riuscito a strapparle un autografo. Avrei voluto si trasformasse per un istante nella perfida assistente Emily de Il diavolo veste Prada, uno dei comic-turn più riusciti del cinema degli ultimi anni. Anche Benicio del Toro trasuda fascino, self-confidence e intelligenza. Decisamente una delle conferenze stampa più piacevoli cui abbia finora assistito.
L'articolo è al link:

mercoledì 17 febbraio 2010

Carrie on?


Carrie on. Geniale lancio pubblicitario. Speriamo che lo script lo sia alttrettanto ma, considerato il primo episodio, è lecito non aspettarsi nulla di stratosferico. Il passaggio al cinema non ha di certo giovato alle scoppiettanti avventure di Carrie, Samantha, Charlotte e Miranda, troppo legate ad un situazionismo da breve durata televisiva. Ai portafogli di Sarah Jessica Parker e dei produttori, invece, ha giovato, eccome: Sex & The City 1 è stato un enorme successo commerciale, tale da giustificare la messa in cantiere del secondo episodio.


Ed ecco che il 28 maggio arriva finalmente nelle sale l'atteso seguito Sex & The City 2. Obiettivo? Eternare ulteriormente il successo del glorioso serial (col rischio, però, di offuscarne la memoria: alla lunga le vecchie formule stancano).

La trama è ancora top secret, ma speriamo che gli autori siano riusciti a risolvere almeno i problemi principali del primo capitolo: la struttura episodica e l'eccessiva lunghezza. Quanto alla sostanza, inutile pretenderne: certo, il serial non era così sfacciatamente frivolo e vacuo come il primo adattamento cinematografico, ma meglio non aspettarsi nulla che vada oltre la patina glamour e scintillante, al limite del pubblicitario, cui Carrie Bradshaw ci ha abituati. Solo in questo modo potremmo essere felicemente sorpresi dal film e continuare ad amare questi quattro personaggi femminili così camp e kitsch, sfrontati ed eccentrici, da essere stati giustamente (velenosamente?) descritti come "quattro gay travestiti da donne".


Nel frattempo, i fan di Carrie, mmm... voglio dire, di Sarah Jessica Parker, potranno ingannare l'attesa godendosi la commedia Che fine hanno fatto i Morgan? in uscita venerdì 19. In coppia con uno spentissimo Hugh Grant, la Parker ruba la scena in continuazione, il che non è sempre un bene. Marc Lawrence è il regista-sceneggiatore di fiducia di Grant (hanno già lavorato insieme in Due settimane per innamorarmi e Scrivimi una canzone), ma qui lascia troppo il campo libero alla Parker e scrive per l'attore inglese un personaggio a dir poco penoso. Non che quello della Parker si salvi...
La mia recensione è su loudvision al seguente link:
http://www.loudvision.it/cinema-film-che-fine-hanno-fatto-i-morgan--943.html

martedì 16 febbraio 2010

Best Confidential Awards: prime candidature provvisorie


Prima dell'estate best-actress-confidential assegnerà i suoi Best Confidential Awards, i premi ai migliori film e alle migliori performance della stagione 2009-2010. In generale i film usciti dopo il Festival di Cannes cadranno nella stagione successiva, 2010-2011. Tuttavia, per una maggiore corrispondenza con la stagione americana, non prenderò in considerazione i film americani prodotti nel 2010: titoli come Shutter Island, Alice in Wonderland (in uscita a marzo) e Wall Street 2 (aprile) rientreranno nel prossimo anno, mentre quelli prodotti nel 2009 e ancora in attesa di distribuzione italiana (Crazy Heart, E' complicato, Invictus, A Prophet, The Blind Side, Precious, Fantastic Mr Fox, Bright Star, The Road, The Messenger) potranno concorrere ai BCAwards 2009-2010 se l'uscita avverrà prima dell'estate. Analogamente inserisco The Hurt Locker nella stagione in corso, nonostante sia stato distribuito in Italia nell'autunno del 2008. E per poter completare la lista delle condidature devo ancora recuperare Antichrist, District 9 e Up.

Le categorie extra e quelle principali sono in fase di progettazione. Una delle più importanti sarà best my-heart confidential: la cinquinda dei titoli non necessariamente più belli in assoluto, ma ai quali mi sono legato affettivamente di più. In base ai film visti finora e in attesa di recuperi e tardive visioni, le candidature provvisorie sono le seguenti (quelle superiori a cinque titoli saranno ridotte, quelle con posti vacanti dovrebbero essere riempite):

best movie
Avatar / Il nastro bianco / Bastardi senza gloria / Coraline / A Serious Man / Nemico pubblico / Lourdes / The Hurt Locker / A Single Man / Two Lovers /

best director
James Cameron / Quentin Tarantino / Michael Mann / Joel & Ethan Coen / Michael Haneke / Kathryn Bigelow /

best actress
Michelle Pfeiffer, Cheri / Meryl Streep, Julie & Julia / Saoirse Ronan, Amabili resti / Helen Mirren, The Last Station/ - /

best actor
Johnny Depp, Nemico pubblico/ Colin Firth, A Single Man/ Michael Stuhlbarg, A Serious Man / George Clooney, Tra le nuvole / Joaquin Phoenix, Two Lovers / Steve Evets, Il mio amico Eric /

best supporting actress
Marion Cotillard, Nine / Kathy Bates, Cheri / Julianne Moore, A Single Man / Vera Farmiga, Tra le nuvole / Susan Sarandon, Amabili resti /

best supporting actor
Christoph Waltz, Bastardi senza gloria / Stanley Tucci, Amabili resti / - / - / - /

best italian movie
Vincere / La doppia ora / La prima cosa bella / - / - /

best italian act
Giovanna Mezzogiorno, Vincere / Filippo Timi, Vincere / Xenia Rappaport, La doppia ora / Valerio Mastandrea, La prima cosa bella / Stefania Sandrelli, La prima cosa bella / Angela Finocchiaro, Io, loro e Lara /

best my-heart confidential
Coraline / Cheri / A Single Man / Amabili resti / -/

domenica 14 febbraio 2010

Impareggiabile Suspence


Ancora vittima delle vertigini procuratemi da Shutter Island, sono andato alla ricerca di altri titoli legati al tema della follia e ho recuperato Suspence, un classico del gotico che, chissà per quale oscura ragione, mi era finora sfuggito.
Ma non è mai troppo tardi per colmare (imperdonabili) lacune ed assegnare immediatamente al film di Jack Clayton un posto di assoluto rilievo nella classifica dei miei film preferiti. Seminale horror psicologico tratto da Giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James, Suspence (molto più azzeccato il titolo originale, The Innocents) è uno di quei film che non smette di darti brividi lungo la schiena ben oltre lo scorrere dei titoli di coda. Con un equilibrio che toglie il fiato Clayton riesce miracolosamente a conservare l'ambiguità del testo originale e realizza un'opera magistrale carica di suggestioni spaventose e di terribili, irrisolti sottintesi psicanalitici.


L'immagine iniziale (la stessa che torna alla fine) impone già il tono oscuro e dannato del film: due mani giunte in preghiera, un volto di donna dallo sguardo ora supplichevole, ora smarrito, ora posseduto, e una voce che dice: "Tutto quello che ho sempre voluto era aiutare i bambini, non far loro del male".

"Più di ogni altra cosa io amo i bambini"

Nonostante la mancanza di esperienza, Miss Giddens (Deborah Kerr) viene assunta come istitutrice dei piccoli Flora e Miles. Lo zio non ha tempo per occuparsi di loro e, dopo la morte della precedente maestra, è ansioso di trovare una sostituta che se ne assuma la piena responsabilità. Giunta a Bry, splendida ed isolata magione, Miss Giddens conosce la vivace Flora e il precocissimo Miles, espulso dal collegio per la sua "cattiva" influenza sugli altri compagni. Miss Giddens è conquistata da entrambi ma è allo stesso tempo lusingata e turbata dai modi galanti (quasi da uomo maturo) che Miles ha nei suoi confronti.

Col passare dei giorni strani eventi iniziano a verificarsi: voci e risate indistinte percorrono il giardino e risuonano attraverso i muri, la sagoma di un uomo appare per un istante accanto alla torre, la figura di una donna vestita di nero attraversa il corridoio e i bambini si comportano come se nascondessero qualcosa. A poco a poco, Miss Giddens viene a conoscenza di una terribile storia legata al passato della casa: i due bambini erano fortemente legati l'uno al guardiacaccia Quint e l'altra alla vecchia istitutrice, Miss Jessel. La relazione perversa tra Quint e Miss Jessel non era un segreto per nessuno: lui abusava di lei "come un demonio" e, più la umiliava e la percuoteva, più lei lo adorava, divorata da una malsana febbre d'amore. "Si comportavano in casa come se fossero in mezzo al bosco", racconta la placida governante Mrs Groce, alludendo al fatto che i bambini avrebbero benissimo potuto assistere ai loro scandalosi atteggiamenti sessuali. Un giorno, Quint venne trovato morto sulle scale della magione (fu proprio il piccolo Miles a vedere per primo il corpo): Miss Jessel cadde in una profonda depressione e si suicidò gettandosi nel lago.


Il racconto sconvolge profondamente Miss Giddens: da questo momento in poi si convince che i bambini siano invasati dagli spiriti dei due amanti defunti, che in questo modo possono continuare a vedersi e a congiungersi anche dopo la morte, prolungando all'infinito i loro atti aberranti e moralmente riprovevoli. Come liberare i poveri "innocenti" da una simile oscenità? Miss Giddens non ha dubbi: i bambini devono confessare di vedere i fantasmi di Quint e Miss Jessel, ammettendo così di esserne succubi. "I bambini sanno, i bambini vedono", dice Miss Giddens. Lei stessa arriva più volte a dubitare della propria sanità mentale ma quando lo spirito di Miss Jessel lascia una vera lacrima sulla cattedra dello studiolo ogni dubbio è dissipato.

Apparentemente ci troviamo di fronte ad un classico racconto di fantasmi ambientato in epoca vittoriana, ma la messinscena, sospesa tra realtà ed allucinazione, suggerisce che tutto potrebbe essere frutto della mente instabile della protagonista. Le apparizioni di Peter Quint avvengono sempre dietro ad una vetrata (il cadavere fu ritrovato all'esterno della casa) e sono legate alle presenza di Miles (dettaglio non trascurabile: Miss Giddens vede distintamente il volto del guardiacaccia solo dopo essersi incidentalmente imbattuta in una foto che lo ritrae), mentre quelle di Miss Jessel hanno luogo nello studiolo o sul lago, dove Flora si rifugia "quando vuole stare sola" e dove l'istitutrice fu rinvenuta morta.

Dotata di una grande immaginazione, Miss Giddens è istruita, gentile, amorevole ma è anche sessualmente repressa (è figlia di un pastore anglicano): in una delle scene più sconvolgenti, quando Miles le dà un appassionato bacio della buona notte, il dettaglio delle labbra tremanti della donna e il suo sguardo violentemente scosso rivelano una terribile attrazione, un desiderio imperdonabile. Come giustificare questo desiderio tanto sconveniente, osceno ed inconfessabile verso il piccolo Miles? Ecco che allora la sua fantasia partorisce la storia della possessione demoniaca: è lo spirito del selvaggio Quint che si è impadronito di Miles a far sembrare il bambino tanto desiderabile ai suoi occhi, come se fosse un uomo adulto. O forse gli spiriti ci sono davvero e le apparizioni sono reali. Il confine tra realtà ed immaginazione resta incerto e il finale, agghiacciante, sublime, non esaurisce le risposte. Anzi, moltiplica le domande.



Grandissimo film. La tensione è evocata negli spettatori ad un livello profondissimo, lavorando sull'inconscio e sull'immaginazione, con una sottigliezza impareggiabile. Clayton non ricorre al solito campionario di effetti sonori e visivi che vanno tanto in voga oggi, ma crea il terrore lavorando sull'illuminazione, sui dettagli, sulle atmosfere e sul pittoricismo delle apparizioni demoniache.

L'impavida Deborah Kerr affronta il ruolo da vera maestra del non detto e si prodiga in una delle performance più prodigiose della storia del cinema. Dietro la facciata di rispettabilità legata alla sua figura istituzionale, la Kerr insinua progressivamente il dubbio sulla sanità mentale del suo personaggio e, ad un livello ancora più sotterraneo, sulla sua moralità. Con una misura strabiliante.

Alejandro Amenabar si è ispirato non poco alle atmosfere impalpabili e angoscianti di Suspence per il suo pregevole The Others. Ma la misura e l'ambiguità del film di Clayton non ha eguali. E di fronte ad un'attrice come Deborah Kerr non c'è Kidman che tenga.

Voto: 10

sabato 13 febbraio 2010

A look at Mark Ruffalo


Ebbene sì, ammetto di essere (già) ossessionato da Shutter Island. Il film di Scorsese viene ufficialmente presentato oggi al Festival di Berlino: quale sarà la reazione della stampa internazionale? Nell'attesa mi sembrava doveroso dedicare una pagina ad un altro dei co-protagonisti, Mark Ruffalo, uno degli attori più bravi ed importanti emersi nel cinema americano nell'ultimo decennio. Il ruolo che lo ha rivelato è stato quello del fratello di Laura Linney nell'intima commedia You can count on me (2000, di Kenneth Lonergan): recitazione più vera del vero, grande alchimia con la Linney, film assolutamente da recuperare (in Italia non lo ha visto praticamente nessuno). Ma è con In the cut che i miei occhi si sono posati per la prima volta su di lui: lacerante (e sottovalutatissimo) thriller di Jane Campion in cui Ruffalo è il detective Malloy. Performance esplosiva e trattenuta, perfetta incarnazione della sensualità maschile in equilibrio tra potere, dominazione e protezione.

Subito dopo è brillante nel cult Eternal Sunshine of the Spotless Mind e cede alle commedie hollywoodiane con Vizi di famiglia e Se solo fosse vero. Con Zodiac torna al thriller d'autore e fa di nuovo centro, ma i successivi Reservation Road (con Phoenix e la Connelly) e il cupissimo Blindness (di Mereilles, con Julianne Moore) si rivelano fallimentari. Lui, però, è sempre bravissimo: mai una sbavatura, grande presenza, sempre credibile.


Nel 2010 non lo vedremo solo nel film di Scorsese ma anche in The Kids Are All Right (l'uscita in America del gay dramedy, come è stato definito, è fissata per il 7 luglio), dove sembra rubi la scena ad Annette Bening e Julianne Moore. Ed ha persino avuto il tempo di debuttare alla regia con Simpathy for delicious, starring Laura Linney, Orlando Bloom e Juliette Lewis, e vincitore del premio speciale della giuria al Sundance. Un'ascesa inarrestabile.

Rivisitando i classici


E' finalmente ufficiale: Todd Haynes dirigirà Kate Winslet in una miniserie televisiva di 4 ore prodotta dalla HBO e tratta dal romanzo di James M. Caine Mildred Pierce. L'opera di Caine aveva già ispirato un adattamento cinematografico diretto da Michael Curtiz nel 1945, Il romanzo di Mildred (Mildred Pierce), mix esplosivo di noir e melo' a tinte fosche con Joan Crawford vincitrice dell'Oscar. Riuscirà la Winslet a confrontarsi col fantasma della grande Joan? Non ne dubito affatto. Haynes è sulla carta l'autore perfetto per questo progetto: in Lontano dal paradiso ha già dimostrato un tocco eccezionale nella rivisitazione del cinema classico. Sono già aperte le scommesse per un probabile Emmy alla Winslet nel 2011. Le riprese iniziano in aprile a New York.


Dopo innumerevoli, gustose partecipazioni in tanti film, sembra che Susan Sarandon abbia afferrato il suo ruolo migliore da molti anni a questa parte: l'adattamento per il grande schermo de La grande vallata, serie televisiva western con la gigantesca Barbara Stanwick andata in onda dal 1965 al 1969. Devo ammettere che sono elettrizzato. L'inizio delle riprese è previsto in maggio. La Sarandon ha in uscita Solitary Man con Michael Douglas, Leaves of grass con Edward Norton , Wall Street 2 e l'attesissimo You don't know Jack, tv movie con Al Pacino diretto da Barry Levinson. La grande vallata potrebbe essere il veicolo giusto per ritornare alla notte degli Oscar.

Rimanendo in ambito western avrete già sentito che i fratelli Coen rifanno Il Grinta con Jeff Bridges nel ruolo di John Wayne? Registi e star de Il grande Lebowski di nuovo insieme: bingo! Un altro progetto che lascia ben sperare.

giovedì 11 febbraio 2010

Cinema e censura: Tennessee Williams continua


Prosegue su Loudvision.it la mia retrospettiva sul cinema tratto dalle opere di Tennessee Williams. Da oggi è online il mio approfondimento su La gatta sul tetto che scotta, drammone (in senso buono) del 1958, sforbiciatissimo dalla censura, diretto da Richard Brooks e starring Liz Taylor e un tormentato (e bellissimo) Paul Newman. Lo trovate al link:


Gli altri titoli della retrospettiva già pubblicati sono La dolce ala della giovinezza, sempre con Newman e una bravissima Geraldine Page, e il cult movie Improvvisamente l'estate scorsa, "una delle più contraddittorie rappresentazioni dell'omosessualità nella Hollywood degli anni '50". Un corpus di opere assolutamente da recuperare.



Buona lettura e al prossimo (grande) film.

mercoledì 10 febbraio 2010

A look at Michelle Williams


Della fortunatissima serie televisiva Dawson's Creek, andata in onda dal 1998 al 2003, Michelle Williams è, finora, l'unica interprete che rischia di guadagnarsi un posto fisso nella storia di Hollywood. Certo, parlare di storia è davvero presto ma questa ragazza del Montana, classe 1980, si sta lentamente costruendo una carriera rispettabilissima, dimostrando grande gusto ed intelligenza nella scelta dei film (cinema indipendente e d'autore) oltre ad un notevole talento drammatico.


Forse l'unico passo falso è stato il thriller Deception (2008) con Hugh Jackman e Ewan McGregor, ma glielo si può perdonare. Dal 2004 ad oggi, la Williams ha lavorato con autori del calibro di Wim Wenders (La terra dell'abbondanza, 2004), Todd Haynes (Io non sono qui, 2007), Charlie Kaufman (Synecdoche, New York, 2008). La sua interpretazione più famosa e celebrata è quella della silenziosa e dolente Alva nel capolavoro di Ang Lee Brokeback Mountain, che le è valsa nominations all'Oscar, ai Golden Globe, ai SAG e ai BAFTA. Che dire dell'unione col compianto Heath Ledger trasformatasi in matrimonio anche nella vita reale? Al momento della morte dell'ormai leggendario attore australiano la coppia si era già separata, ma traumi di questo genere creano sacche di dolore impossibili da elaborare. Per fortuna arriva l'arte ad esprimere, incanalare, sublimare le ferite.


Dopo la performance nel film indipendente Wendy e Lucy (2008, come il film di Kaufman mai distribuito in Italia ma assolutamente da recuperare, se non altro per la stupenda prova dell'attrice) il 2010 potrebbe (dovrebbe) essere l'anno di Michelle Williams. In coppia con Ryan Gosling in Blue Valentine Michelle fa faville e in Shutter Island, che il 13 febbraio al Festival di Berlino sconvolgerà il mondo e la storia, incendia lo schermo con la sua commovente vulnerabilità. Una manciata di scene impossibili da dimenticare.

Il Quarto Mondo delle Creature del cielo


Venerdì 12 esce finalmente Amabili resti. La mia recensione è già nell'elenco degli screenings 2009-2010. Con Amabili resti Peter Jackson torna a percorrere un territorio a lui familiare e molto affine: la storia di un atroce delitto immersa in una narrazione che fonde realtà e fantasia. Il regista neozelandese aveva già trattato una storia simile in Creature del cielo: negli anni '50 a Christchurch in Nuova Zelanda, l'intensa amicizia tra Pauline e Juliet si trasforma in un legame morboso che sfocia in febbrile delirio matricida. Da due settimane fremevo per rivedere questo film del 1994, passato alla storia anche per il folgorante debutto di Kate Winslet. Il film è davvero una perla oscura , un autentico tuffo nell'incubo, ed ho trovato la visione ancora più disturbante di 15 anni fa. Considerata la filmografia successiva di Jackson, Creature del cielo è probabilmente il suo capolavoro.

"Oggi abbiamo scoperto la chiave del Quarto Mondo (...) Abbiamo visto un cancello tra le nuvole. Tutto era carico di pace e di beatitudine".

Partendo dai diari tenuti da Pauline tra il 1953 e il 1954, Jackson ricostruisce l'universo biografico/realistico e quello visionario/fantastico in cui si muovono le due protagoniste. Costrette ad un'educazione repressiva e vittime di una cieca autorità familiare (troppo rigida la famiglia proletaria di Pauline, troppo assente quella borghese di Juliet) le due brillanti studentesse (l'una introversa e razionale, l'altra espansiva ed emotiva) si incontrano fra i banchi dell'austero istituto femminile e mettono insieme il loro fervido potere immaginativo al servizio della creazione di un mondo fantastico in cui trovare rifugio dal grigiore della realtà. E' il Quarto Mondo, il Regno di Borovnia, che dalle pagine del romanzo scritto a quattro mani prende magicamente vita sotto forma di visioni e nuove identità (Juliet diventa la principessa Debora, Pauline è prima Charles, suo amante, poi Gina, la bella gitana).


E' un paradiso di musica, arte e godimento puro, consacrato al culto del tenore Mario Lanza e di James Mason, e popolato dalle statue di plastilina che incarnano i personaggi del romanzo medievale frutto del loro genio. La dimensione fantastica è ansia di libertà e desiderio di fuga, ma anche droga pericolosa: in questo nuovo spazio dalle possibilità illimitate Pauline e Juliet si muovono spensierate ed incontrastate. Più le rispettive famiglie cercano di restaurare una parvenza di autorità e si sforzano di separare le due ragazze (la loro amicizia diventa ogni giorno più "malsana" e va incontro all'inevitabile diagnosi di "disordine mentale" ed "omosessualità" pronunciata dal dottore, altro grottesco esponente di un'istituzione vuota ed inerte), più il loro mondo fantastico prende piede e si sovrappone alla realtà fino a sostituirsi ad essa. I confini vacillano, il contatto con la realtà inizia ad annebbiarsi, la separazione si fa totale. Con conseguenze devastanti.

"Abbiamo concluso che per la gente è molto triste non poter apprezzare il nostro genio".

La regia vorticosa ed allucinata di Jackson traduce magistralmente il delirio di onnipotenza delle protagoniste, registrando lo scivolamento senza più ritorno dalla dimensione reale a quella fantastica (fino all'omicidio, il momento "della fine di tutto", come presagisce consapevolemente Pauline nel suo diario). Il racconto procede inarrestabile ed esala un senso di malata inquietudine che è difficile scrollarsi di dosso: a differenza di Pauline e Juliet, la narrazione non perde mai il contatto con la realtà e l'orrore del delitto è restituito in tutto il suo crudo, sconvolgente realismo.
Voto: 9

lunedì 8 febbraio 2010

Shutter Island embargo


Stamane ho assistito alla proiezione per la stampa di Shutter Island, il misteriosissimo film di Martin Scorsese, già previsto per lo scorso autunno e poi rimosso perché ritenuto inadeguato allo spirito pre-vacanziero del novembre americano (pare anche che la distribuzione avesse altri film più leggeri e "vendibili" da sostenere nella corsa agli Oscar). La collocazione ad inizio anno potrebbe rivelarsi felice e favorire la crescita graduale del film a cult movie. Shutter Island esce il 18 febbraio praticamente ovunque, ma per l'Italia bisognerà attendere il 5 marzo. Del film non posso dire nulla: c'è l'embargo fino al 13 febbraio (data della presentazione ufficiale fuori concorso al Festival di Berlino), pena il trasferimento al manicomio criminale di Shutter Island...


Meglio così: devo far sedimentare immagini ed emozioni. Adesso userei solo superlativi ed iperboli ingenue. E sarebbero comunque inadeguati alla grandezza del film. Ho già detto troppo?
Che il buon Martin sia (sempre) con noi!