venerdì 30 aprile 2010

To Pfeiffer on her 52 birthday
















Grazie a Jose su thefilmexperience.net per avermi ricordato che ieri, 29 aprile, Michelle Pfeiffer ha compiuto 52 anni. Una svista imperdonabile, da parte mia, da sempre devoto discepolo della divina. Mi prostro ai suoi piedi e rinnovo la dichiarazione di imperituro amore. Ancora nessun nuovo progetto in arrivo. Dall'alto del suo semi-ritiro post Chéri, Michelle ha probabilmente scelto la famiglia e la vita. Nuova Greta Garbo. Noi attendiamo un cenno, uno sguardo, un ritorno, consapevoli che quello che ha fatto è (comunque) tanto, forse troppo. Nessuna (più) come lei. Buon compleanno Michelle.

giovedì 29 aprile 2010

Blanchett sfinge enigmatica in "Intrigo a Berlino"

Subito dopo l'Oscar come miglior attrice non protagonista per The Aviator, Cate Blanchett ha continuato a macinare generi e ruoli diversissimi tra loro con la costanza di una macchina da guerra infaticabile. Le sue interpretazioni tra il 2006 e il 2007 danno un'ulteriore prova della sua versatilità e della sua capacità di scomparire nei personaggi, modificando aspetto, fisicità, timbro della voce, accento e persino (la cosa più difficile) ritmo e tempi interiori. Se il punto più alto della sua arte è finora rappresentato dalla performance di Bob Dylan in Io non sono qui (grado massimo di perfezione tecnica) e dall'appassionata Sheba Hart di Diario di uno scandalo (grado massimo di abbandono emotivo), nel 2006 la Blanchett è apparsa anche in Babel e nel curioso The Good German - Intrigo a Berlino di Steven Soderbergh.

Ed è su questo film che vorrei soffermarmi, a prescindere dal suo risultato semi-fallimentare. Nel ruolo della misteriosa Lena Brandt, ebrea sposata al matematico nazista Emil Brandt in fuga nella Berlino post bellica, la Blanchett trascende il film stesso con la sua magnetica bellezza, risollevando l'attenzione dello spettatore in ogni fotogramma in cui appare. Ed anche se Soderbergh, in pieno mood da gelido studente di cinema tutto cervello e niente cuore, usa il personaggio (e di conseguenza l'interprete) come una mera funzione narrativa ed iconografica attraverso cui ricalcare gli stilemi del noir classico, Cate è l'unica a salvarsi dal naufragio del film, assieme alla strepitosa fotografia in bianco e nero.


Tratto dal romanzo di Joseph Kanon, Intrigo a Berlino offre a Soderbergh l'occasione per sfoderare la sua cinefilia rivisitando il cinema noir; operazione sulla carta molto affascinante, ma che sullo schermo si risolve in uno sterile esercizio di stile. Soderbergh non gira un semplice omaggio, ma un vero e proprio calco, recuperando, anzi, imitando stilemi ed inquadrature degli anni '40. La fotografia contrastata di taglio espressionista è assolutamente magnifica ed a volte si ha davvero l'impressione di vedere un film di quel periodo. Ma se l'involucro abbaglia, il contenuto non ha un briciolo della profondità, del simbolismo e della visionarietà del noir classico. La trama è inutilmente involuta, gli aggiornamenti riguardo alla rappresentazione della sessualità e della violenza non stabiliscono nessun ponte con la contemporaneità e persino il finale alla Casablanca suona finto e forzato. Tra l'enciclopedia del cinema che fu e l'esperimento fine a se stesso di un regista che si crede il primo della classe ma è incapace di infondere vita alle sue marionette, Intrigo a Berlino è irritante e pretenzioso, e non va oltre il fascino decadente di un vecchio giocattolo restaurato.


E gli attori? Clooney, anche quando gioca apertamente a fare il moderno Cary Grant, è sempre e soltanto Clooney, mentre Tobey McGuire si cimenta in un ruolo negativo ben oltre le sue possibilità. La Blanchett merita un discorso a parte, essendo l'unica completamente a proprio agio nell'universo cinematografico di modelli e riferimenti evocati da Soderbergh con tanta maniacale perizia. Nel momento in cui appare sullo schermo Cate Blanchett/Lena Brandt sembra davvero emergere da un film degli anni '40, vestita, pettinata, illuminata ed inquadrata come un vera dark lady del passato.


Da un punto di vista narrativo e visivo il personaggio di Lena è una fotocopia letterale dello stereotipo della donna fatale: infida, ingannevole, incredibilmente bella e pericolosa. Soprattutto inconoscibile: quali sono i suoi segreti? Quali i suoi scopi? Quando mente e quando è sincera?
Mora e tentatrice, volto immobile e sguardo da sfinge, voce calda e sensuale ed un inconfondibile accento tedesco, la Lena di Cate Blanchett è chiaramente costruita sul fascino enigmatico di Marlene Dietrich e sulla Ilsa di Ingrid Bergman in Casablanca, ed è un altro perfetto esempio del trasformismo dell'attice. Questa volta non è chiamata a mimetizzarsi nei panni di un personaggio realmente esistito, come Katherine Hepburn o Bob Dylan, ma ad incarnare un'idea stessa di femminilità, uno stereotipo portato sullo schermo migliaia di volte. Come tale deve essere immediatamente riconoscibile e, trattandosi di un film che ne omaggia mille altri, anche il suo calco deve essere la summa di tutte le dark lady possibili.



L'attrice fa ancora una volta centro: modella look e tempi recitativi sull'aplomb glaciale della Dietrich, ed arriva a fondersi perfettamente non solo con l'ambiente storico ma con il tessuto stesso del film. Diventa pura materia di cinema sulla cui superficie traslucida convivono passato e presente in un vertiginoso corto circuito postmoderno. Così facendo Cate mette a fuoco l'obiettivo finale del regista: resuscitare fantasmi. Ed è la sola che ci riesce.

Voto: 5 (al film, ma 8 alla Blanchett)

"You Don't Know Jack": Al Pacino e il diritto di morire


Prodotto dalla HBO e diretto da Barry Levinson, You don't know Jack è andato in onda negli USA sabato 24 aprile e già si parla di nomination ai prossimi Emmy per il suo protagonista, il grandissimo Al Pacino. L'attore ha già vinto un Golden Globe e un Emmy award come attore drammatico di una miniserie televisiva per Angels in America nel 2003, e una nuova valanga di premi potrebbe arrivare per la sua interpretazione di Jack Kevorkian nel nuovo biopic HBO.
Noto anche come Dottor Morte, Kevorkian ha praticato l'eutanasia su oltre 130 pazienti affetti da patologie allo stato terminale, sostenendo il diritto di ogni paziente a morire attraverso il suicidio assistito. Dopo aver scontato otto anni di carcere con l'accusa di omicidio di secondo grado, è stato rilasciato nel 2007 per buona condotta.


Tra gli altri interpreti del film, accolto dall'entusiasmo generale della critica statunitense, anche Susan Sarandon e John Goodman. Chissà perché ma ho la sensazione che, con un soggetto del genere, non vedremo mai questo film in Italia...

mercoledì 28 aprile 2010

In "Heaven" con Cate e Ribisi


Diretto da Tom Tykwer dopo il successo internazionale di Run, Lola, Run, e basato su una sceneggiatura di Kieslowki (primo capitolo di una trilogia che avrebbe dovuto comprendere anche Hell e Purgatory), Heaven è un film irrisolto e misconosciuto, ma assolutamente affascinante. E, dato non trascurabile, si avvale di una delle più sensazionali performance di Cate Blanchett, qui al suo massimo grado di purezza, accompagnata da un Giovanni Ribisi meraviglioso per intensità e candore. Il plot è quantomeno bizzarro ed insolito, e mescola crime story, thriller, dramma e romance con tale leggerezza (se non ingenuità) e sprezzo della verosimiglianza che risulta subito chiaro quanto la trama sia metaforica, un semplice pretesto per riflettere su qualcos'altro: la natura umana e temi universali quali la vendetta, la colpa, la redenzione e l'amore. In questo senso Heaven è un film filosofico, coraggioso, forse addirittura sbagliato (all'uscita fu un fiasco clamoroso), ma unico nel suo genere. Merito dell'abbagliante stile visivo di Tykwer, che disegna spazi ed inquadrature di una limpidezza straniante ed imprime all'azione un ritmo lento, sospeso, carico di tensione non solo psicologica, ma addirittura metafisica, grazie al supporto della stupenda fotografia di Frank Griebe.


Interamente girato in Italia tra Torino e Montepulciano, con attori impegnati a recitare sia in inglese che in italiano, Heaven racconta la storia di Philippa, un'insegnante inglese che, dopo aver inutilmente segnalato alla polizia il coinvolgimento di un uomo nella morte per overdose di suo marito, decide di farsi giustizia da sola. Il suo piano però fallisce miseramente: nello scoppio della bomba da lei stessa fabbricata perdono la vita quattro persone innocenti e Philippa viene accusata di associazione terroristica. Filippo, il giovane, silenzioso carabiniere che fa da traduttore nel corso dell'interrogatorio, si innamora di lei e l'aiuta ad evadere. Insieme attraverseranno l'Italia e troveranno rifugio nelle campagne toscane. Ma sarà quasi impossibile sfuggire alle ricerche dei carabinieri...


Dimenticate la trama e lasciatevi incantare dalla magia delle immagini e dalle atmosfere ovattate e celestiali; celestiali, però, non in senso iconografico (a parte il magnifico finale, con la corsa sulla collina, l'amore ai piedi del grande albero e la fuga verso il cielo... da brivido), ma in termini di dilatazione spazio-temporale, con effetti di irrealtà avvolgente. Tykwer trasforma un'assurda storia thriller in un poetico inno alla vita e alla libertà, ma il risultato non sarebbe lo stesso senza Blanchett e Ribisi: la loro alchimia è semplicemente commovente, il loro progressivo avvicinamento psicologico e fisico sconvolgente e naturalissimo. Nell'ultima parte, in cerca di riparo e redenzione nell'abbraccio della natura, i due protagonisti indossano lo stesso costume neutro (jeans e maglietta bianca), si rasano a zero i capelli, adottando un look che annulla ogni differenza e li rende identici, quasi fratelli (non a caso hanno lo stesso nome). A poco a poco, diventano, per amore, una cosa sola: esseri umani liberi e puri. Così umani, senza maschere, senza trucchi, senza orpelli, da rappresentare l'umanità al grado zero, primordiale. Così umani... da sembrare alieni: indifesi, innocenti nonostante la colpa, ma felici.


Rasata eppur bellissima, Cate Blanchett sfodera nella tenuta del primo piano e nella luminosità dello sguardo un'intensità ed un abbandono lontani dai tecnicismi e dagli istrionismi mimetici di cui è assoluta maestra. L'essere umano primordiale al quale Philippa e Filippo ritornano nel finale è anche l'Attore al grado massimo di neutralità e disponibilità di fronte al personaggio, all'azione e alle emozioni: nudo, naturale, aperto. Una pagina bianca pronta ad accogliere qualsiasi sentimento e psicologia. I personaggi/attori si annullano per poter essere universali ed esprimere tutta l'unicità e la molteplicità della vita nel loro corpo/sguardo. Guidati dalla mano ispirata di Tykwer, Blanchett e Ribisi accettano la sfida e volano verso il cielo. Quasi impossibile separare le due prove attoriali: sono un'unica, miracolosa performance.

Voto: 7

martedì 27 aprile 2010

Celebrating Blanchett


Countdown per l'uscita di Robin Hood il prossimo 12 maggio. Per celebrare il ritorno sul grande schermo di Cate The Great in arrivo una serie di post dedicati alle sue migliori performance. Fan della Blanchett, tenete pronte le vostre classifiche!

Chi ha paura di Anjelica Huston?


All'inizio degli anni '90 era al massimo della forma e al culmine della carriera. Aveva già conquistato l'Oscar come non protagonista per la sexy e vendicativa Maerose de L'onore dei Prizzi (oltre ad una seconda nomination per Nemici, una storia d'amore di Mazursky) e brillato di dolente intensità in The Dead, film testamento del padre John tratto da Joyce. Negli anni successivi avrebbe anche ottenuto uno straordinario successo al box office in quello che resta il suo ruolo più popolare e riconoscibile, la nerissima Morticia de La Famiglia Addams (una parte cucita addosso al suo imponente carisma, interpretata con gusto e stile sublimi). Ma il 1990 fu decisamente il suo anno: Stephen Frears le regala la parte della vita in The Grifters (la tragica, agghiacciante Lilly) e Nicolas Roeg la trasforma definitivamente in strega in The Witches (Chi ha paura delle streghe?). E non in una strega qualsiasi ma nella Strega Suprema, la più terribile di tutte.


Rincorrevo da anni questa piccola gemma del 1990, tratta dal bel racconto di Roal Dahl (lo stesso di Fantastic Mr Fox) e diretta con grande ironia, sottile inquietudine e travolgente gusto fantasy da Roeg. Si tratta di una gustosissima favola horror non solo rivolta ai bambini: il complotto delle streghe, decise a trasformare in piccoli ratti tutti i bambini d'Inghilterra, è una stringente metafora della crudeltà degli adulti verso i più innocenti. Bellissimo il prologo gotico in cui la nonna spiega al piccolo protagonista come riconoscere una strega e gli racconta la storia di una bambina rapita da una vicina di casa e da allora per sempre intrappolata in un dipinto. Perché le streghe sono orribili megere calve, perfide e gracchianti, ma si vestono da donne rispettabili indossando maschere e parrucche per aggirarsi inosservate in mezzo alla gente e continuare ad uccidere bambini.

Dopo la tragica morte dei genitori, il piccolo Luke va in vacanza in Inghilterra con la nonna. Ma l'albergo dove alloggiano ospita anche la riunione annuale della congregazione delle streghe, guidate dall'altezzosa Eva Ernst, la cui maschera di algida, regale bellezza nasconde l'orrendo volto della Strega Suprema. Luke si trova quindi nella tana del lupo e sarà facile preda delle affamate signore, ma dopo rocambolesche avventure riuscirà a sventare il loro piano diabolico. In bizzarro equilibrio tra grottesco, fiaba ed horror, il film mantiene fino alla fine un sottile sottotesto disturbante nonostante il posticcio happy end imposto dalla produzione.


Naturalmente il valore aggiunto del film è la presenza di una Anjelica Huston sfolgorante nel ruolo della Strega Suprema: una performance di stilizzata, sciocca perfidia, tutta giocata su irresistibili espressioni del viso, statuarie pose da vamp ed enfasi teatrale. La camera la inquadra spesso dal basso, per accentuarne l'imponenza fisica e la Huston si impadronisce della scena da vera regina del male. Se in questo film è deliziosamente sopra le righe, ne La famiglia Addams conserverà la statuaria, sensuale imperiosità della strega asciugando tutta l'enfasi in elettrizzante immobilità e sotterranea ironia. In entrambi i casi due geniali performance cartoonesche che solo un'altra grande strega dello schermo è riuscita a superare: Glenn Close - Crudelia de Mon ne La carica dei 101.

Voto: 7

Dal nuovo Soldini volevamo di più


Cosa voglio di più? Magari non il solito film italiano sulla crisi economica, sulle famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, sulle avventure extraconiugali vissute come valvola di sfogo e fuga (impossibile) da una vita grigia fatta di conti e pannolini, sulla passione che scoppia improvvisa quando e dove meno te l'aspetti, sull'amore che (finalmente) arriva ma è (quasi) sempre il momento sbagliato, sull'amore che ti costringe a mettere in dubbio le tue strutture, le tue certezze, la tua vita e gli affetti delle persone a te più care. Fino a che punto posso chiedere di più dalla mia vita ed aspirare ad essere più "felice" di come si suppone che io sia senza fare del male agli altri?

Provate a pensare a quante altre volte abbiamo visto, letto, sentito una storia del genere. Il soggetto è quanto di più trito si possa immaginare, e non basta l'idea di ambientare una passione clandestina (da un punto di vista letterario legata soprattutto ad un contesto borghese) fra personaggi di bassa estrazione sociale (sarebbe questo l'elemento di presunta novità?) per tener desto l'interesse dopo i primi 15 minuti. Per fortuna la sceneggiatura e soprattutto la regia di Silvio Soldini sono attente ai dettagli ed alle sfumature nascoste fra le pieghe dei dialoghi, nei silenzi e negli sguardi dei personaggi. Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher sono molto bravi nel mettere in scena con sincerità e generosità il tipico gioco delle parti ed alcuni personaggi di contorno sono ben schizzati (anche se il casting di Battiston in coppia con la Rohrwacher stride un po' troppo sin dall'inizio). Molto bello ed intenso il finale aperto, ma lancio una preghiera a regista e sceneggiatori: la prossima volta non fermatevi alla prima idea che vi viene in mente quando dovete scrivere un film...

voto: 6

venerdì 23 aprile 2010

Tutti in piazza per "Agora"


L'attesa è terminata. Da oggi il bellissimo ed importante Agora di Alejandro Amenabar (con una stupenda Rachel Weisz) invade le sale italiane in 238 copie: un atto di fede nel potere e nella funzione culturale del cinema. La mia recensione è su Loudvision al link:
http://www.loudvision.it/cinema-film-agora--1028.html

Mentre a questa pagina trovate una rubrica di approfondimento sulle libertà romanzesche del film rispetto alla verità storica:
http://www.loudvision.it/rubriche-agora-tra-storia-e-rielaborazione-romanzesca--754.html




Tutti al cinema, questo week end. E' (quasi) un obbligo morale.

mercoledì 21 aprile 2010

Modern Divas: addicted to Glenn Close (and Damages)


In occasione venerdì 23 della messa in onda su AXN del primo episodio della terza stagione di Damages, Loudvision pubblica un mio zoom sul serial già ampiamente sviscerato - e venerato - su queste pagine. L'ultima puntata è stata trasmessa in America il 10 aprile e subito dopo si è diffusa la notizia che la serie potrebbe essere cancellata, visto gli ascolti tutt'altro che esaltanti. Critica, invece, universalmente unanime come (troppo) spesso accade per i prodotti di alta qualità.


Sempre su Loudvision un profilo di Glenn Close apre la mia nuova rubrica Modern Divas, una galleria di ritratti dedicata alle più grandi attrici degli ultimi anni. Prossimi appuntamenti con Cate Blanchett (in vista dell'uscita di Robin Hood) e Meryl Streep.

http://www.loudvision.it/rubriche-damages-legal-thriller-dalla-geniale-costruzione-temporale--746.html

http://www.loudvision.it/rubriche-modern-divas-glenn-close-carisma-ferale--750.html

lunedì 19 aprile 2010

Gotico polanskiano


Lo scrittore inglese Ewan McGregor (giustamente il suo personaggio non ha nome, è un signor Nessuno) è assunto (per 250mila dollari) come ghostwriter dell'ex premier britannico Adam Lang (Tony Blair?), che ha il volto televisivo sorridente e plastificato di Pierce Brosnan. Deve rivedere e correggere l'autobiografia del politico, praticamente già scritta dal suo predecessore, trovato morto sulla spiaggia in circostanze misteriose. Suicidio o omicidio? Il giorno stesso in cui Ewan raggiunge in America la villa-bunker sull'isola al largo della costa atlantica dove Lang vive assieme alla moglie Ruth (Olivia Williams), all'amante-segretaria Amanda Bly (Kim Cattrall) e al suo staff, il politico viene accusato dal tribunale internazionale dell'Aia di crimini di guerra: ha illegalmente rapito e passato alla Cia dei (potenziali) terroristi e li ha fatti torturare. Il povero scrittore non farà in tempo a pentirsi di aver accettato l'incarico che finisce coinvolto in un intrigo ben al di là della sua portata.

Roman Polanski in zona Frantic sforna un thriller eccellente, anti-americano e anti-politico, con uno sguardo al classicismo, tra suspence hitchcockiana, atmosfere gotiche (la casa sull'isola, la pioggia battente) e convenzioni noir (l'uomo comune travolto da eventi straordinari, la donna infida), e uno sguardo (di un pessimismo senza speranza) alla Storia attuale. Film geometrico nella struttura e nel design, cupo ed allarmante (fotografia livida e colonna sonora alla Bernard Hermann di Desplat), in cui McGregor si conferma un perfetto James Stewart del nostro tempo ed Olivia Williams incarna un'insinuante, sottile variante della dark lady del noir classico. Non c'è un'inquadratura superflua o fuori posto, la sceneggiatura scorre matematica tra sequenze memorabili e luoghi topici (il traghetto, l'inseguimento) in una spirale kafkiana di sospetti, cospirazioni e pericoli sempre più angosciante. Grandissimo finale.

Voto: 9

domenica 18 aprile 2010

"Oltre le regole - The Messanger": la recensione


Da eroe di guerra a messaggero di morte per conto del governo, il viaggio interiore del sergente Will Montgomery alla ricerca di un barlume di umanità nell'incontro con i parenti dei caduti in Iraq. La mia recensione di Oltre le regole - The Messanger è su Loudvision al link:
http://www.loudvision.it/cinema-film-oltre-le-regole-the-messenger--1020.html

voto: 7

sabato 17 aprile 2010

Best Confidential Awards: aggiornamento nominations attori


Appena visto Oltre le regole - The Messanger, tra le nuove uscite di questo week-end. Ogni commento sull'inappropriato titolo italiano sarebbe superfluo e fin troppo facile. A parte questo dettaglio, il film è davvero notevole e rischia di passare ingiustamente inosservato. Candidato a due premi Oscar (attore non protagonista e sceneggiatura originale) e Orso d'argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2009, The Messanger è un' opera prima compatta e rigorosa, e si avvale di un formidabile tris d'attori che impone un immediato aggiornamento delle candidature ai Best Confidential Awards 2009-2010.

Credevo che la cinquina best actor fosse ormai inespugnabile, ed invece la performance di Ben Foster è troppo potente ed intensa per essere ignorata. Nel ruolo del sergente Will Montgomery, eroe di guerra in attesa di congedo assegnato al reparto notificazione vittime, Foster è in grado di sfumare il dolore trattenuto e la rabbia del protagonista in modo eccellente, dando vita ad una performance in sottotono di altissimo livello anche grazie ad uno script di invidiabile asciuttezza e precisione nella definizione dei caratteri. Foster entra così nella cinquina dei migliori attori della stagione 2009 -2010 al posto di... Jeff Bridges in Crazy Heart!

No, non sono impazzito, ho apprezzato la prova premio Oscar del grande Jeff (molto meno il film ...) ma ho amato molto di più il sottovalutato Michael Stuhlbarg, geniale, buffo e quasi chapliniano in A Serious Man. Gli altri tre nominati (Firth, Phoenix e Rahim) restano inamovibili. La categoria best actor risulta così composta:
Colin Firth - A Single Man; Ben Foster - The Messanger; Joaquin Phoenix - Two Lovers; Tahar Rahim - Un Prophet; Michael Stulbarg - A Serious Man.
Jeff Bridges resta così fuori ma è in buona compagnia: tra le grandi interpretazioni dell'anno ci sono anche Jeremy Renner per The Hurt Locker, Johnny Depp per Nemico pubblico, George Clooney per Tra le nuvole e James McAvoy per The Last Station. Se i posti fossero dieci ci sarebbe spazio per tutti...


A differenza di Ben Foster, Woody Harrelson ha ricevuto una candidatura all'Oscar come non protagonista e pareva l'unico in grado di soffiare il premio a Christoph Waltz. Così non è stato, ma il suo Capitano Stone è una grande prova d'attore, un concentrato di tensione, frustrazione e fragilità dietro una maschera di freddezza e cinismo che Harrelson costruisce con grande perizia, ironia e consumato tempismo drammatico.

Le due postazioni in bilico nella categoria best supporting actor sono Anthony Mackie per The Hurt Locker e Alec Baldwin per E' complicato. Vorrei mantenere almeno una performance comica in ogni categoria e Baldwin è smagliante comprimario della Streep nella commedia di Nancy Meyers. E' quindi Anthony Mackie a dover cedere il posto ad Harrelson: dopotutto The Messanger è un film d'attori e sceneggiatura, mentre The Hurt Locker è un film di regia e montaggio. I cinque nominati come attori non protagonisti sono:
Alec Baldwin - E' complicato; Woody Harrelson - The Messanger; Christopher Plummer - The Last Station; Stanley Tucci - Amabili resti; Christoph Waltz - Bastardi senza gloria.


A completare questo terremoto nella candidature ai best confidential awards arriva anche Samantha Morton nella categoria miglior attrice non protagonista. La sua vedova di guerra Olivia Pitterson scalza la spassosa ed oltraggiosa nonna Lynn di Susan Sarandon in Amabili resti (molto a malincuore, devo ammettere, ma lo screentime della Sarandon è davvero troppo limitato) e si conquista un posto nella cinquina. Probabilmente è la performance migliore del film: asciutta e dolente, autentica e carica di profonda dignità. Non sembra nemmeno che reciti ed invece il genio è tutto lì, nell'abbandono, nella semplicità, nella naturalezza. Stupendi i primi piani silenziosi, la reazione alla notizia della morte del marito, il monologo in cucina.

Nella speranza di vedere prima o poi anche Precious e l'interpretazione premio Oscar di Mo'nique, la cinquina best supporting actress è così costituita:
Kathy Bates - Chéri; Marion Cotillard - Nine & Nemico pubblico; Vera Farmiga - Tra le nuvole; Julianne Moore - A Single Man; SamaCorsivontha Morton - The Messanger.

Oltre a Precious, restano da vedere/recuperare Bright Star (in uscita a giugno) e The Blind Side (giusto per dare una chance alla Bullock) prima di annunciare le candidature definitive e i vincitori dell'edizione 2009-2010 dei Best Confidential Awards.

giovedì 15 aprile 2010

Robin Hood a Cannes


E' ufficiale: Robin Hood di Ridley Scott aprirà il prossimo Festivale di Cannes. Il mio entusiasmo non è tanto per l'ennesima trasposizione cinematografica della leggenda del ladro gentiluomo (o per l'ennesima collaborazione tra il regista inglese e la sua scontrosa musa, Russell Crowe) ma per il ritorno sullo schermo di Cate Blanchett a due anni di distanza da Benjamin Button e dopo i trionfi teatrali di Un tram che si chiama desiderio. Subito dopo la presentazione a Cannes il film uscirà in tutto il mondo, quindi l'attesa è ormai agli sgoccioli.



E' stato annunciato anche il programma semi-ufficiale del festival. Mancano tre o quattro posizioni da riempire e chissà che la selezione non ci riservi ancora qualche sorpresa. Per il momento pare che l'attesissimo The Tree of Life di Terrence Malick (con Brad Pitt, Sean Penn e Fiona Shaw) non sia ancora pronto, ma anche Inception di Christopher Nolan (con Leo DiCaprio, Joseph Gordon-Levitt e Marion Cotillard) e Miral di Julian Schnabel (con Willem Dafoe e Freida Pinto) non figurano nel programma.

Tra i titoli in concorso c'è grande fermento per Another Year, nuovo film di Mike Leigh, Biutiful di Alejandro Gonzàles Inarritu (con Javier Bardem), Burnt by the sun 2 di Nikita Mikhalkov, Fair Game di Doug Liman con Naomi Watts e Sean Penn, Outrage di Takeshi Kitano e The Princess of Montpensier di Tavernier. Unico titolo italiano in concorso La nostra vita di Daniele Luchetti.

Nella sezione Un Certain Regard spazio, tra gli altri, all'immarcescibile Manoel de Oliveira con Angelica e a Blue Valentine di Derek Cianfrance con la coppia Michelle Williams e Ryan Gosling, già applauditissimi al Sundance. Fuori concorso, oltre al blockbuster di Ridley Scott, anche il nuovo Woody Allen You Will Meet a Tall Dark Stranger (con Naomi Watts, Anthony Hopkins e Josh Brolin), Wall Street 2 di Oliver Stone e Tamara Drewe di Stephen Frears con Gemma Arterton.

Altre news ed info su Cannes nei prossimi giorni.
La giuria del concorso è composta da Tim Burton (presidente), Giovanna Mezzogiorno, Kate Beckinsale, Emmanuel Carrere, Benicio del Toro, Victor Erice e Shekar Kapur. Presidente della giuria della sezione Un Certain Regard è Claire Denis, mentre Atom Egoyan guida la giuria di Cinefondation.

mercoledì 14 aprile 2010

Intervista a Wes Anderson!


Wes Anderson è a Roma per promuovere l'uscita di Fantastic Mr Fox. Lo abbiamo incontrato alla conferenza stampa del film.

Fantastic Mr Fox rappresenta il suo primo approccio all’animazione. Ha trovato molte differenze rispetto al cinema in live action?
L’obiettivo finale è sempre lo stesso, cercare di dare una forma compiuta a tutto quello che apparirà sullo schermo. Cambia solo il processo e i tempi di lavorazione sono molto più lunghi. Ho trascorso poco tempo sul set, gli animatori hanno lavorato per lo più da soli, ma avevo un grande controllo su tutto quello che accadeva. Il mio compito era di monitorare tutte le professionalità coinvolte e pianificare il lavoro di ognuno.

Ci parli in modo più dettagliato del lavoro di animazione.
E’ stato tutto molto lento e meticoloso, non siamo partiti da una visione unitaria predefinita. All’inizio avevamo solo i disegni dei pupazzi e per realizzarli ci sono voluti sei mesi. Subito dopo abbiamo iniziato ad immaginare gli ambienti in cui questi pupazzi si sarebbero mossi ed abbiamo inventato il design del film e costruito le scenografie. Devo dire che gli animatori sono stati davvero fantastici, in pratica sono dei mezzi attori: non si trattava solo di dar voce o far muovere i pupazzi, ma di farli vivere, farli sembrare veri. Per far questo non si sono limitati a seguire le indicazioni ma hanno messo nel lavoro tutta la loro personalità e spontaneità.


Ci sono molte differenze rispetto al libro originale di Roald Dahl?
Trattandosi di un racconto breve, abbiamo utilizzato tutta la storia originale arricchendo il materiale narrativo con l'inserimento di dettagli e personaggi nuovi. Abbiamo anche aggiunto un prologo ed un epilogo che non sono presenti nel racconto.

A cosa si è ispirato nel corso della lavorazione?
In genere quando inizio a lavorare ad un progetto prendo spunto da diversi libri, dipinti e film che ho annotato in fase di sceneggiatura, ma per Mr Fox, avendo già a disposizione un racconto, non ho pensato a molte altre cose cui potermi collegare. Se ci sono dei film di animazione che mi hanno ispirato, sono senza dubbio quelli di Hayao Miyazachi e di Isao Takahata. Ma la maggior parte delle idee sono venute dalla vita. Mentre scrivevo lo script ho trascorso molto tempo in Inghilterra a casa dello scrittore e mi sono lasciato ispirare dal paesaggio anglosassone: il centro storico di Bath è stato così d’ispirazione per il design della cittadina che vedete nel film.


Ci sono molti riferimenti anche al cinema western.
Quando devi girare scene come quella dello scontro finale per le strade della cittadina tra i fattori e gli animali è impossibile non riallacciarsi al western. John Ford è il maestro del genere, ma ho pensato anche ai western di Sergio Leone ed Akira Kurosawa, cercando di trarre ispirazione da tutti.

“Credo che abbiamo peggiorato le cose, era meglio restarne fuori”, dice uno dei personaggi. In questa battuta si può leggere una presa di posizione contro la politica del suo paese sotto la presidenza Bush?
L’idea che possa esserci una lettura di questo tipo mi piace molto, ma ogni riferimento resta a livello subconscio. Quando ho fatto vedere il film agli attori che hanno prestato le loro voci ai personaggi (tra cui Geroge Clooney, Meryl Streep, Bill Murray e Willem Dafoe, ndr), uno di loro ha detto che avevamo realizzato un film segretamente politico. Credo che nel libro ci sia qualcosa di anarchico, la storia si presta benissimo ad un’interpretazione comunista. Non abbiamo fatto altro che tradurre il pensiero di Dahl.


Mr Fox richiama gli altri animali al lato selvatico della vita: potrebbe essere un invito affinché l’uomo recuperi il suo lato istintivo?
Questo tema non è presente in modo esplicito nel libro ma, mentre scrivevo la sceneggiatura, mi sono reso conto che era il nucleo del film. Mr Fox vive un conflitto tra il desiderio di addomesticamento borghese e la sua natura selvaggia. E’ il timore di aver smarrito la sua animalità che fa da motore alla storia.

Cosa ci dice della bellissima scena del saluto tra la volpe e il lupo?
Quella scena rappresenta il culmine del film. C’è un simbolismo legato al saluto ma non voglio spiegarlo, preferisco che la scena parli da sé. Ogni volta che realizzo un film sono sempre alla ricerca di un significato personale, ma cerco sempre di non imporre delle interpretazioni univoche. Se ricorro a dei simboli, li lascio indefiniti, in modo che ognuno possa dare la propria interpretazione.


Mr Fox è vestito con abiti umani ma mira a recuperare la sua natura selvaggia. Come mai quando entra in azione come ladro di pollame indossa un passamontagna?
Gli animali che indossano abiti umani rientrano nelle convenzioni delle storie per i bambini. Il passamontagna è una maschera, ma non credo che in questo caso serva a nascondere l’identità dei personaggi, tutt’al più è indossata per rendere il colpo più emozionante. Nel finale anche il figlio Ash riceve finalmente la sua maschera: è un passamontagna con le stelline, ma se ci avessi pensato prima, al posto delle stelline avrei fatto scrivere il suo nome. Annullando in questo modo lo scopo del passamontagna sarebbe stato chiaro che la maschera, più che nascondere, rivela l’identità.

In Mr Fox c’è qualcosa di lei?
Il personaggio di Mr Fox non è stato scritto su di me, ma pensando all’autore Roald Dahl. Mr Fox è completamente forgiato su di lui, sulla sua personalità e sulla sua vita.


In un momento di autoanalisi Mr Fox confessa che ha bisogno sempre di stupire la gente e di dimostrare di essere il più bravo. Neanche questo è un riferimento personale?
E’ una scena che rivela il carattere di Mr Fox, la sua vanità e la sua insicurezza. Chiunque faccia un mestiere come quello del cineasta si espone al giudizio e alle critiche del pubblico. Lo fai solo se ne hai una necessità particolare. È naturale che io mi sia rapportato molto a questa scena, ma credo che Mr Fox abbia una personalità molto più grandiosa della mia. Questo aspetto del personaggio non ha nulla a che fare con Roald Dahl che, a mio avviso, non soffriva di simili insicurezze.

Come i suoi film precedenti anche Fantastic Mr Fox ruota intorno ad una famiglia molto particolare.
Non lo faccio intenzionalmente, ma ogni volta che realizzo un film mi capita di riallacciarmi a quelli che ho fatto in precedenza. Così il tema della famiglia risulta centrale anche nella storia di Mr Fox. In questo caso io e il co-sceneggiatore Noah Baumbach (regista di film apprezzati come Il Calamaro E La Balena, Il Matrimonio Di Mia Sorella e dell’imminente Greenberg con Ben Stiller) abbiamo fatto specifico riferimento alle nostre rispettive famiglie e alla nostra infanzia.


Sin da “Rushmore” nei suoi film ricorre il personaggio di un figlio disadattato quasi sempre interpretato da Jason Schwartzman (in Fantastic Mr Fox presta la voce al piccolo Ash). Possiamo considerarlo una sorta di suo alter ego?
Ho conosciuto Jason ad un provino e mi è piaciuto subito moltissimo. E’ uno dei miei collaboratori chiave, abbiamo scritto insieme la sceneggiatura di Un Treno Per Il Darjeeling e lavorerei con lui all’infinito. In genere mi piace l’idea che ci sia continuità da un film all’altro. Ecco perché uso spesso gli stessi attori, come Bill Murray o Anjelica Huston, che ammiro da sempre. In questo modo lavoro con le persone con cui mi trovo bene e fare un film diventa come una rimpatriata tra amici.


Nell’anno del trionfo del 3D si presenta con un film d’animazione a passo uno tutto realizzato a mano.
Quando faccio un film non parto dall’idea di cosa vuole vedere il pubblico ma cosa interessa a me personalmente. Anche se Mr Fox è un piccolo film ed abbiamo usato tecniche old fashioned, abbiamo trascorso lo stesso tempo impiegato da Cameron per Avatar. Non so se l’impiego del 3D rappresenterà una rivoluzione paragonabile a quella del colore, non so se tutti i film verranno realizzati in 3D. Non credo sia necessario. Certo, l’impatto visivo di Avatar è stupefacente, ma a livello di tecnica il 3D non mi affascina affatto. Al contrario è stato proprio il mio interesse per la stop motion che mi ha spinto a realizzare Fantastic Mr Fox.