domenica 15 novembre 2009

Gli Abbracci Spezzati e la magia di Pedro


In barba ai critici snob che hanno accusato Pedro Almodovar non solo di arida autoreferenzialità, ma addirittura di aver smarrito il magico equilibrio tra tragedia e commedia raggiunto in Tutto su mia madre. Si è parlato di involuzione, di battuta d'arresto, vuoto d'ispirazione e quant'altro, anche se le stesse perplessità, magari in maniera meno veemente, erano emerse all'indomani dell'uscita de La Mala Educacion. Non dimentichiamo che il film del 2004 seguiva Parla con lei, autentico capolavoro di compattezza narrativa e magia dell'affabulazione, così come oggi Gli Abbracci Spezzati segue il meraviglioso Volver: come se un autore dovesse sempre e per forza di cose superare sé stesso ogni volta.

Gli Abbracci Spezzati non è certamente un capolavoro, ma nelle sue imperfezioni, nei suoi labirintici livelli narrativi, nei suoi continui rimandi alla storia del cinema, nella sua commistione spudorata di noir, melo' e commedia, c'è più passione, intelligenza e furore che nella maggior parte dei film attualmente in circolazione. Almodovar torna a parlare di cinema nel cinema attraverso la figura del regista-sceneggiatore Mateo Blanco/Harry Caine divenuto cieco in seguito ad un drammatico incidente. Al piano narrativo del presente si sovrappone il racconto in flashback della gestazione del film Ragazze e valigie e del drammatico triangolo noir tra Mateo, Magdalena (l'attrice del film) ed Hernesto Martel (suo marito e produttore).

Come autentico atto d'amore per il cinema non solo del passato (innumerevoli le citazioni) ma anche come meccanismo attraverso cui raccontare storie, proiettare e rivivere sogni, Gli Abbracci Spezzati è tanti film messi insieme, tutti bellissimi. Tuttavia, come già accaduto in precedenza, quando Almodovar si affida esplicitamente al cinema per giustificare o dare una forma all'universo che mette in scena, rischia sempre di essere troppo personale, senza filtri, e si aggroviglia un po' su sé stesso. Ma è soltanto eccesso di passione e generosità. Anche se la stratificazione dei piani (passato, presente e finzione cinematografica) non ha lo stesso effetto vertiginoso e complesso de La Mala Educacion ed alcune soluzioni narrative possono apparire ingenue, la potenza e la fluidità del racconto sono straordinarie come sempre. E quando nella seconda parte il melo' si tinge di abissale disperazione e il calore dell'amore (per il cinema e per la vita) invade lo schermo, il film termina lasciando nello spettatore il desiderio che quella magia possa durare ancora. In eterno. Ci sarebbe materiale narrativo per continuare a creare sogni per almeno altre due ore, ed Almodovar questo lo sa benissimo: ma "anche alla cieca i film bisogna finirli". Un genio.


Penelope Cruz attraversa il film come un misterioso corpo liquido che si plasma in base alle necessità. Figlia addolorata, moglie adultera, attrice ambiziosa, donna fatale, amante appassionata: tante sono le identità e le forme cui presta il suo bellissimo volto a seconda degli spostamenti narrativi e stilistici orchestrati da Almodovar. La frammentarietà della caratterizzazione è voluta: Magdalena è fatta di pasta di cinema e l'approccio del regista e dell'attrice è giustamente iconico e divistico. Dopotutto Magdalena occupa il piano narrativo del racconto (il passato) e della finzione (il film nel film). Il piano temporale presente è dominato da Blanca Portillo, cui Almodovar affida il ruolo ben più complesso di Judith, l'amica ed ex-amante di Mateo. Piena di rimorsi e sensi di colpa, Judith è la grande figura melodrammatica del film. Attraverso di lei Almodovar sviluppa il tema del sentimento negato, trattenuto ed inespresso e la Portillo lo incarna con straordinaria intensità emotiva.
Voto: 8

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