Visualizzazione post con etichetta Glenn Close. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Glenn Close. Mostra tutti i post

martedì 19 marzo 2013

Dove eravamo rimasti



          Some things we lost in the middle (a brief walk through the last three years)

Dal 2010 al 2012 gli Oscar hanno visto trionfare i gradevoli ma normativi The King's Speech, The Artist e Argo, ma scelte decisamente migliori sarebbero state The Social Network, The Tree of Life e Zero Dark Thirty
Annette Bening è rimasta per la quarta volta a bocca asciutta ma almeno la prova di Nathalie Portman  nel turbinoso Black Swan era davvero eccezionale (anche per merito del buon Darren).


L'immarcescibile Meryl Streep si è finalmente portata a casa il tanto sospirato terzo Oscar per una grande performance, certo, ma imprigionata in un film tremendo. E, la povera Glenn Close col suo dolente Albert Nobbs è arrivata ad eguagliare il record di Deborah Kerr e Thelma Ritter: sei nomination e zero statuette.
Ancor peggio è andata a Julianne Moore, adorabile troublemaker in The Kids Are All Right, alla metafisica Tilda Swinton di We Need To Talk About Kevin, a Charlize Theron, affilata e geniale in Young Adult, all'aspra, fiera Marion Cotillard di Rust and Bone e alla sublime Rachel Weisz di The Deep Blue Sea: tutte performance eccezionali, ignobilmente snobbate.
Nel frattempo la divina Cate Blanchett si è rinchiusa nel teatro di Sidney ed ha diradato le sue apparizioni sullo schermo. Ma presto la vedremo nei nuovi film di Woody Allen e George Clooney.


Nicole Kidman, dopo aver inanellato una serie sterminata di flop, è tornata a rifulgere prima in Rabbit Hole e poi nello sfrontato, oltraggioso e dannatamente divertente The Paperboy.
Carey Mulligan ha confermato il suo talento drammatico in Shame e Drive e quest'anno l'attendiamo al varco de Il Grande Gatsby e del nuovo film dei Coen.
Jennifer Lawrence è deflagrata, prima al box office con The Hunger Games e poi agli Oscar col sopravvalutatissimo Silver Linings Playbook, scippando la statuetta alle ben più meritevoli Emmanuelle Riva e Jessica Chastain.


La Chastain è infatti la vera rivelazione degli ultimi due anni ma la più brava tra le nuove leve resta ancora Michelle Williams: da Blue Valentine a Meek's Cutoff, da My Week with Marylin a Take This Waltz, nessuna riesce ad essere così intensa e naturale, senza affettazioni o manierismi.
Blue Valentine è uno dei cult movie del decennio ed ha definitivamente lanciato Ryan Gosling nella stratosfera. Posto che condivide con Michael Fassbender, immenso in Shame e Jane Eyre e unica vera ragione per addentrarsi in Prometheus.


E i film? Bellissime sorprese sono state il delicato Beginners col terzetto McGregor-Laurent-Plummer, l'irriverente Bridesmaids (sorprendente, malinconico film sulla depressione abilmente mascherato da commedia) e, da poco uscito anche in Italia, il bellissimo The Perks Of Being A Wallflower (Noi siamo infinito). E i capolavori assoluti The Tree of Life, A Separation, Amour, Moonrise Kingdom e la prima metà di The Master. Ma il mio cuore ha battuto soprattutto per il crudele ritratto di Young Adult, la discesa agli inferi di Shame e il romanticismo tempestoso di Jane Eyre, il lancinante melo' Rust and Bone con la memorabile coppia Cotillard-Schonaerts e i cromatismi psicologici di Take This Waltz.

Quanto alla tv, la ferale Patty Hewes di Glenn Close ci ha definitivamente lasciati con la chiusura di Damages, le crinoline british di Downton Abbey hanno fatto il pieno di ascolti e gli intrecci psico-fanta-spio-politici di Homeland hanno conquistato tutti i premi possibili. E meritatamente, perché si tratta di una delle serie migliori dello schermo anche grazie alle prove di Claire Danes e Damian Lewis.


Kate Winslet si è tenuta in disparte dopo l'Oscar per The Reader ma non prima di aver fatto i fuochi d'artificio con Mildred Pierce, miniserie capolavoro diretto dal genio di Todd Haynes, in cui dà  ulteriormente prova della sua generosità senza limiti. E Julianne Moore ha finalmente agganciato il ruolo giusto, Sarah Palin in Game Change, per raggranellare i primi premi importanti (Emmy, SAG e Golden Globe) dopo  20 anni di carriera. L'Oscar non dovrebbe essere tanto lontano.


Best Actress Confidential is back.

To Albert Nobbs, with love


Happy 66° birthday, Mrs Close. Still waiting for you to win your first fucking Academy Award.

sabato 15 maggio 2010

Giorno di riposo con Kate e Patrick


Giorno di riposo. Domani in arrivo news dal Festival di Cannes sui film di Oliver Stone, Woody Allen e Mike Leigh. La rassegna su Cate Blanchett prosegue con gli ultimi post sul ruolo che l'ha resa famosa e consacrata star, Elizabeth, e sulla miriade di altri film che non ho finora affrontato: Little Fish, Mr Ripley, The Gift, Oscar & Lucinda, Babel...
In programma nei prossimi giorni anche Correndo con le forbici in mano, rivisto di recente, con una favolosa Annette Bening (nelle prossime settimane salirà la febbre per The Kids Are All Right) e Il mondo secondo Garp, esordio al cinema della mia amata Glenn Close.
Finalmente oggi ho visto Little Children, con l'altra grande Kate (Winslet, nella foto con Patrick Wilson). Bel film, grandi interpretazioni, regia eccellente. Devo solo decidere se dedicare un post al film di Todd Field o inaugurare al più presto una rassegna dedicata alla Winslet, non appena quella della Blanchett sarà terminata. Voi cosa ne pensate?

mercoledì 21 aprile 2010

Modern Divas: addicted to Glenn Close (and Damages)


In occasione venerdì 23 della messa in onda su AXN del primo episodio della terza stagione di Damages, Loudvision pubblica un mio zoom sul serial già ampiamente sviscerato - e venerato - su queste pagine. L'ultima puntata è stata trasmessa in America il 10 aprile e subito dopo si è diffusa la notizia che la serie potrebbe essere cancellata, visto gli ascolti tutt'altro che esaltanti. Critica, invece, universalmente unanime come (troppo) spesso accade per i prodotti di alta qualità.


Sempre su Loudvision un profilo di Glenn Close apre la mia nuova rubrica Modern Divas, una galleria di ritratti dedicata alle più grandi attrici degli ultimi anni. Prossimi appuntamenti con Cate Blanchett (in vista dell'uscita di Robin Hood) e Meryl Streep.

http://www.loudvision.it/rubriche-damages-legal-thriller-dalla-geniale-costruzione-temporale--746.html

http://www.loudvision.it/rubriche-modern-divas-glenn-close-carisma-ferale--750.html

giovedì 25 marzo 2010

Glenn Close torna al cinema


Mentre la terza serie di Damages riscuote un successo (di critica) strepitoso in America (confermo: la prima puntata è davvero mozzafiato) arriva la notizia che Glenn Close tornerà al cinema in un ruolo che profuma di Oscar. Si tratta dell'adattamento cinematografico del dramma The Singular Life of Albert Nobbs, storia di una donna che nella Dublino del XIX secolo si finge uomo per sopravvivere e lavorare come maggiordomo in un hotel di lusso. La Close, che ha già interpretato questo ruolo a teatro vincendo un Obie Award nel 1982, sarà anche sceneggiatrice e produttrice. Dietro la macchina da presa Rodrigo Garcia, che ha diretto l'attrice in Le cose che so di lei e 9 vite di donna. L'inizio delle riprese è previsto per luglio.


Ha vinto tutto Glenn Close: tre Tony Awards (The Real Thing, La morte e la fanciulla, Sunset Boulevard), un Obie (Albert Nobbs), tre Emmys (Serving in Silence, Damages 1 e 2) due Golden Globes (The Lion in Winter, Damages 1) e un Screen Actor Guild (The Lion in Winter). Tutto tranne l'Oscar. Qualche anno fa si era parlato di un'adattamento per il grande schermo del musical Sunset Boulevard: per il ruolo di Norma Desmond si era fatto il nome di Glenn Close e Barbra Streisand. Ma il progetto è stato abbandonato. Dopo i trionfi di Damages, Albert Nobbs potrebbe essere finalmente l'occasione giusta per tornare in gara agli Oscar: se la Close riesce a strappare la sua sesta candidatura è fatta. Patty Hewes non perde mai.

venerdì 22 gennaio 2010

Al via Damages terza stagione




Riparte lunedì 25 gennaio la sensazionale serie drammatica Damages, per la gioia (e il cervello e il sistema nervoso costantemente messo a dura prova) dei fan americani. Giunta alla terza stagione, nonostante il calo degli ascolti della seconda (ma il favore della critica resta incondizionato) Damages è un legal thriller di raffinatissima fattura che poggia su una costruzione temporale pazzesca. La sceneggiatura a puzzle spezza la linearità narrativa in un continuo andirivieni tra flashback e flashforward, centellinando rivelazioni e colpi di scena con una precisione matematica e tenendo letteralmente incollati alla poltrona i telespettatori. Riconfermato il cast principale, l'elettrizzante, incomparabile Glenn Close assieme a Rose Byrne e Tate Donovan, ed assolutamente succulenti i nomi delle guest star: Lili Tomlin, Campbell Scott e Martin Short.


Dopo essere letteralmente impazzito per la prima serie che, da troglodita delle magie del web quale ero fino all'estate scorsa, ho seguito in chiaro su canale5 (nonostante una collocazione a notte fonda assolutamente ridicola), sto recuperando tutti i 13 episodi della seconda stagione, già trasmessa da AXN. Assieme a Ted Danson e Anastasia Griffith, fra gli interpreti della prima stagione, due grandissimi attori americani entrano a far parte del cast, garantendo un inimmaginabile livello di ambiguità: William Hurt, magnificamente infido nel ruolo chiave di Daniel Purcell e la formidabile Marcia Gay Harden in quello dell'avvocatessa Claire Maddox. Sono ancora alla puntata numero 6, i nodi irrisolti della prima stagione stanno lentamente venendo al pettine (Patti Hewes ha davvero cercato dif ar uccidere Ellen? Chi ha assassinato David?) ma vanno pericolosamente ad intrecciarsi con i nuovi intrighi orditi dai perfidi, geniali sceneggiatori. Riuscirà Ellen a vendicare la morte del fidanzato David e ad incastrare Patty? Credetemi, la serie mozza il fiato.


Su tutto e tutti sovrasta, predomina, incombe Glenn Close, vincitrice di due Emmy e un Golden Globe per il ruolo di Patty Hewes. Da Alex Forrest (Attrazione fatale) alla Marchesa de Merteuil (Le relazioni pericolose), da Norma Desmond (il musical Sunset Boulevard) a Cruella de Vil (La carica dei 101), da Camille Dixon (La fortuna di Cookie) a Damages: una galleria di personaggi memorabili, donne perfide e potenti (ma anche sole, disperate e miserabili) che le hanno garantito il titolo di unica, degna erede di Bette Davis.


Nella dimensione del foro, in cui tutto è lecito e tutti tradiscono tutti per ottenere ciò che vogliono, il carisma ferale di Glenn Close trova una nuova perfetta possibilità di espressione. Con quello sguardo obliquo, quel sorriso spesso gelido, quell'energia che emana anche quando è immobile, Glenn Close è una belva in un ring che circuisce la sua preda ed aspetta il momento giusto per azzannarla. Il fatto che l'attacco e l'esplosione tanto attesa siano costantemente rinviati non fa che aumentare la tensione emotiva. Sfibrati ed elettrizzati, gli spettatori di Damages restano lì, con gli occhi sbarrati e un'insaziabile fame di nuovi episodi.

lunedì 30 novembre 2009

You play fair with me...

... and I'll play fair with you.

"I just want to be part of your life. What am I supposed to do? You won't answer my calls. You changed your number. I'm not gonna be ignored, Dan."

Alex Forrest (Glenn Close) to Dan Gallagher (Michael Douglas) in Fatal Attraction di Adrian Lyne

mercoledì 11 novembre 2009

I miei Oscar: 1990



Film dell'anno: Rischiose Abitudini (The Grifters) di Stephen Frears,
starring Anjelica Huston, John Cusack e Annette Bening

L'inizio degli anni '90 rappresentò per gli Oscar un felicissimo momento di apertura verso pellicole non convenzionali e tematiche quantomeno controverse: basti pensare alle pluricandidature assegnate a film come Il Silenzio degli Innocenti nel 1991, Philadelphia nel 1993 e Pulp Fiction nel 1994. Il western tornò prepotentemente di moda con Balla coi lupi, tendenza confermata due anni dopo con Gli Spietati di Clint Eastwood. Regista ed interprete dell'epopea filo-indiana che commosse le platee di mezzo mondo, il bel Kevin Costner era già famoso per Gli Intoccabili e Bull Durham, ma con Balla coi lupi divenne una star assoluta e avrebbe dominato tabloid e box office per circa un lustro. Se gli attori del decennio furono probabilmente Tom Hanks e Tom Cruise, sul versante femminile le dive degli anni '80 iniziarono ad accusare segni di appannamento, lasciando il posto a nuovi ingressi: Julia Roberts nella commedia romantica, Susan Sarandon nel dramma, Michelle Pfeiffer in tutti i generi possibili ed immaginabili, Meg Ryan, Jodie Foster, in misura minore Winona Ryder, infine Sharon Stone e Demi Moore come star da copertina. La ventata di rinnovamento investiva anche i ruoli assegnati alle donne: ruoli finalmente forti, a tutto tondo, senza sconti per nessuno.

Il 1990 dava già un'idea di questa tendenza, che sarebbe esplosa con impeto deflagrante l'anno successivo in film come Thelma & Louise e Il Silenzio degli Innocenti. Le candidature furono:

Best Actress
Kathy Bates: Misery
Anjelica Huston: Rischiose Abitudini
Meryl Streep: Cartoline dall'inferno
Julia Roberts: Pretty Woman
Joanne Woodward: Mr e Mrs Bridge

Meryl Streep era già alla sua nona candidatura, ma il momento d'oro sembrava volgere al termine: il tiepido successo della dark comedy She-Devil (irresistibile a mio avviso) fu letto come un segnale di affaticamento e un tentativo di ricerca di nuove strade. In Cartoline dall'inferno, agrodolce commedia di Mike Nichols, la Streep è notevole come sempre, soprattutto negli scontri con Shirley Maclaine e ci regala le prime esibizioni canore della sua carriera, ma rispetto ai precedenti ruoli drammatici si avverte il rischio della maniera e del mestiere.

Il grande quanto inaspettato successo dell'anno fu Pretty Woman: il film di Marshall catapultò la Roberts appena ventiduenne nell'olimpo delle star, ma questa ragazzona di Atlanta aveva già dimostrato di avere classe e talento l'anno precedente con Fiori d'acciaio.

L'Oscar andò a sorpresa a Kathy Bates, all'epoca poco conosciuta al grande pubblico, ma attiva in teatro da molti anni: la sua performance nel thriller di Rob Reiner è semplicemente straordinaria, agghiacciante per come alterna devozione, calcolo e follia.


Una serie di performance eccellenti non entrarono nella rosa dei candidati: Andie mcDowell, dopo Sesso bugie e videotape si riconfermava sofisticata interprete di commedie in Green Card, ma evidentemente le fu preferita Julia Roberts; Demi Moore ebbe una nominations ai Golden Globe trainata dall'enorme successo del suo film, Ghost; seguendo le orme di Meryl Streep, Michelle Pfeiffer dimostrava di saperci fare (anche) con gli accenti stranieri interpretando il ruolo della bella Katja nella spy story La casa Russia; Glenn Close riempiva di dolore ed umanità il ruolo antipatico della matrona Sunny Von Bulow nel dramma Il Mistero Von Bulow.



Per la seconda volta in tre anni veniva inspiegabilmente snobbata Susan Sarandon: dopo la strepitosa Anne Savoy in Bull Durham, l'attrice disegna con Nora Baker in Calda Emozione (White Palace) un altro bellissimo ritratto, una donna di bassa estrazione sociale che lavora come cassiera in un fast food a Sant Louis: fondamentalmente incolta ma di grande intelligenza, Nora è una donna ironica, affascinante, spiritosa e straordinariamente sexy, ma nasconde dentro di sé il dolore insanabile della perdita del figlio. La scena in cui abborda il giovane Max (James Spader) nel night di periferia è da antologia per come riesce a passare con assoluta verità attraverso molteplici stati d'animo. E' uno di quei casi in cui attrice e ruolo sembrano combaciare perfettamente. A 44 anni la Sarandon stava per diventare una star e si prenotava per futuri successi. Non solo attrice di razza ma anche sex symbol, caso più unico che raro in una Hollywood maschilista che sembra non avere ruoli per le attrici sopra i quaranta.

Tuttavia l'Oscar alla migliore attrice lo avrei assegnato ad Anjelica Huston per Rischiose Abitudini, il tragico e asciutto noir di Stephen Frears: nel ruolo di Lilly la Huston è devastante, minacciosa, affannata, disperata. Non ci sono aggettivi.


Lilly non si ferma di fronte a nulla e la Huston non ha paura di apparire mostruosa anche perché infonde il carattere di un'umanità dolente che progressivamente ed inesorabilmente si prosciuga lasciando il posto ad un automa privo di ogni sentimento. L'azzeramento dell'umanità è elettrizzante e nel finale ghiaccia il sangue nelle vene: per fuggire col denaro, Lilly gioca al figlio un brutto tiro ed inscena l'ultimo inganno possibile. Ma gli dei non stanno a guardare. Roy muore in quello che è forse uno dei finali più paralizzanti degli ultimi trenta anni. Impressionante l'urlo muto di Lilly: accovacciata sul corpo del figlio, raccoglie tra i singhiozzi i soldi sporchi di sangue e fugge via "con la maschera deformata e rabbiosa di chi sta andando all'inferno". Una delle performance più grandi della storia del cinema.

Le candidate come best supporting actress furono:
Whoopi Goldberg: Ghost
Annette Bening: Rischiose Abitudini
Lorraine Bracco: Quei Bravi Ragazzi
Diane Ladd: Cuore selvaggio
Mary Mcdonnell: Balla coi lupi

Ancora non mi capacito del fatto che Shirley Maclaine non fu candidata per Cartoline dall'inferno. La Goldberg passò alla storia come la prima attrice afroamericana a ricevere l'Oscar, ma è difficile dimenticare sia la performance di Mary Mcdonnell, sia quella di Annette Bening nel suo primo ruolo importante: la sexy-gattina Myra con il cuore di ghiaccio, l'altra punta del perverso triangolo messo in scena da Frears in Rischiose Abitudini. Glamorous, sofisticata e sottilmente insinuante la Bening sfodera artigli da primadonna e avrebbe meritato di vincere.

Per gli uomini non c'era storia: Jeremy Irons vinse per Il Mistero Von Bulow, performance eccellente, ma nulla a che vedere col tour de force fornito l'anno precedente nell'incredibile Inseparabili di David Cronenberg, film per il quale non era nemmeno stato candidato. Nel ruolo dei due gemelli ginecologi Irons fu memorabile e l'Academy non poteva non sentirsi in colpa.



Gli altri candidati erano Kevin Costner, Robert de Niro (Risvegli), Gerard Depardieu (Cyrano) e Richard Harris (The Field). Personalmente avrei inserito fra i candidati anche Johnny Depp (Edward mani di forbice).
Quanto ai non protagonisti, onore a Joe Pesci per Quei Bravi Ragazzi. Il capolavoro di Martin Scorsese avrebbe meritato maggiori riconoscimenti ma il regista italoamericano avrebbe dovuto aspettare altri sedici anni per vincere. Altri candidati furono Al Pacino per Dick Tracy e Andy Garcia per Il Padrino Parte III.

lunedì 9 novembre 2009

I miei Oscar: gli anni '80


Se la memoria non mi inganna mi sono innamorato del cinema il 26 dicembre del 1988, giorno in cui i miei genitori mi portarono a vedere "Chi ha incastrato Roger Rabbit?". Non era la mia prima volta: avevo già visto al cinema una riedizione del classico Disney La carica dei 101 e un altro film di animazione, Brisby e il segreto di Nimh. Il film di Robert Zemeckis fu tuttavia una folgorazione: non certo per la trama, che faticavo a seguire, né per gli effetti speciali o per la commistione di animazione e live action. Ciò che mi colpì fu l'ambientazione losangelina anni '40, le atmosfere torbide e "noir" e, naturalmente, la figura mozzafiato di Jessica Rabbit. Non ci avevo mai pensato prima d'ora ma credo di dover far risalire la mia passione per le attrici proprio all'ironia e alla sensualità di un... disegno animato! Jessica Rabbit era in buona compagnia: Crudelia de Mon, Grimilde, Malefica, Medusa e le altre cattive Disney componevano già il mio personale immaginario divistico. Lascio al mio psicanalista il compito di indagare sulle profonde ragioni di una simile quanto prematura venerazione verso immagini femminili così potenti ed espressive.

Il secondo atto del mio amore per il cinema è indissolubilmente legato allo scoppio di una febbre dalla quale non sono più guarito: la febbre da oscar (o oscaromania) mi ha contagiato nella primavera del 1992, anno dell'incredibile quanto inaspettato trionfo de Il silenzio degli innocenti, un film che ancora oggi occupa un posto di assoluto riguardo nella classifica dei miei titoli intoccabili.


Il trionfo del film di Jonathan Demme combaciava con l'ascesa nel mio cuore di Jodie Foster, per qualche anno al primo posto tra le mie attrici preferite. L'Oscar come migliore attrice la rendeva ai miei occhi maggiormente degna di amore rispetto a Julia Roberts, che dovette scendere al secondo posto. E quando seppi che aveva già vinto un altro Oscar nel 1988, non avevo più alcun dubbio: era la migliore e la sua immagine alternativa e antidivistica me la rendeva ancora più simpatica e "vicina". Da Julia Roberts a Jodie Foster alla Catwoman di Michelle Pfeiffer il passo fu brevissimo. Ma andiamo con ordine.

Parliamo di Oscar e di anni '80. Non ho visto molte delle performance che hanno segnato la storia del cinema e degli Oscar in quegli anni, tuttavia il decennio fu dominato da un'unica vera regina, Meryl Streep. In misura leggermente minore, gli altri nomi che ricorrevano con notevole frequenza agli Oscar erano quelli di Jessica Lange, Sissy Spacek e Glenn Close. E due vere star da botteghino erano Kathleen Turner e Sigourney Weaver.

Un anno incredibile fu il 1982: vinse meritatamente Meryl Streep per La scelta di Sophie, ma erano candidate anche Julie Andrews per il pazzesco e vertiginoso tour de force di Victor Victoria e soprattutto Jessica Lange per Frances. Ho visto il film di recente e la Lange è davvero straziante, talmente dentro la parte da risultare insostenibile. Senza dubbio l'interpretazione della sua vita. Il premio come non protagonista per Tootsie lo stesso anno, valeva anche per Frances.

Se l'Oscar nel 1983 a Shirley Mclaine per Voglia di tenerezza fu quasi un atto dovuto ad una leggenda che da quasi 30 anni illuminava gli schermi con autoironia e straordinaria versatilità, non posso commentare le vittorie successive di Sally Field (Le stagioni del cuore, 1984), Geraldine Page (In viaggio verso Bountiful, 1985) e Marlee Matlin (Figli di un dio minore, 1986) per il semplice fatto che non ho visto i film né quelli delle altre attrici candidate.

Un discorso a parte meritano gli anni successivi, il 1987 e il 1988. Le vincitrici furono rispettivamente Cher per Stregata dalla luna e Jodie Foster per Sotto Accusa.
1987 Best Actress nominees
Cher: Stregata dalla luna
Glenn Close: Attrazione fatale
Holly Hunter: Dentro la notizia
Sally Kirkland: Anna
Meryl Streep: Ironweed

Al posto della Kirkland avrei candidato Barbra Streisand per Pazza. E quell'anno ebbe un grande successo anche Diane Keaton con Baby Boom.

1988 Best Actress nominees
Glenn Close: Le relazioni pericolose
Jodie Foster: Sotto accusa
Melanie Griffith: Una donna in carriera
Meryl Streep: Un grido nella notte
Sigourney Weaver: Gorilla nella nebbia
Come ho già discusso in un post precedente, un anno davvero meraviglioso. Melanie Griffith è l'unica leggermente fuori posto, ma il film di Mike Nichols fu un enorme successo commerciale e fu evidentemente preferito all'indipendente Bull Durham. Susan Sarandon fu la grande snobbata dell'anno, ma altre celebri assenze furono Jamie Lee Curtis (Un pesce di nome Wanda), Shirley McLaine (Madame Sousatzka) e Michelle Pfeiffer (Una vedova allegra ma non troppo), tutte nominate ai golden globes.


Ebbene, senza nulla togliere a Cher e soprattutto a Jodie Foster (davvero toccante nel film di Kaplan) ritengo che Glenn Close avrebbe dovuto vincere consecutivamente nel 1987 e nel 1988 per i ruoli di Alex Forrest e della Marchesa de Merteuil. Potente come una lama in entrambi i film e in modi diametralmente opposti. Probabilmente nessuno poteva immaginare che sarebbero state le sue ultime candidature e che di lì a poco la Close, a parte le eccellenti prove ne La carica dei 101 (1996) e La fortuna di Cookie (1999), avrebbe avuto maggior fortuna proseguendo la sua carriera in teatro e in televisione.

Nel 1988 l'Oscar come migliore non protagonista andò a Geena Davis per Turista per caso. Le altre candidate erano:
Joan Cusack: Una donna in carriera
Frances McDormand: Mississipi Burning
Michelle Pfeiffer: Le relazioni pericolose
Sigourney Weaver: Una donna in carriera
La mia scelta sarebbe caduta sulla perfida Weaver nel film di Mike Nichols.

Anche il 1989 fu un anno spinoso. Vinse Jessica Tandy per A spasso con Daisy, ma tutti i premi delle associazioni di critici americani erano andati a Michelle Pfeiffer, sublime, sboccata, malinconica Susie Diamond ne I Favolosi Baker. Chissà perché l'Academy é quasi sempre cieca di fronte alle performance migliori. Il tempo ha avuto ragione: la Pfeiffer che canta Makin' Whoopee distesa sul pianoforte è entrata nella storia del cinema, accanto alle grandi torch singer del passato, Rita Hayworth e Marilyn Monroe.

1989 Best Actress nominees
Isabelle Adjani: Camille Claudel
Pauline Collins: Shirley Valentine
Jessica Lange: Music Box
Michelle Pfeiffer: I Favolosi Baker
Jessica Tandy: A spasso con Daisy

Nominate ai golden globes e snobbate dalle candidature agli Oscar furono Sally Field (Fiori d'acciaio), Andie Mcdowell (Sesso, bugie e videotape), Meryl Streep (She-Devil), Kathleen Turner (La guerra dei Roses), e Meg Ryan (Harry ti presento Sally). Personalmente avrei tolto l'Adjani e la Collins in favore di Kathleen Turner e Sally Field. Nessun dubbio sulla vincitrice: Michelle Pfeiffer.


Come Best Supporting Actress nel 1989 vinse Brenda Fricker, madre coraggio ne Il mio piede sinistro, ma Julia Roberts si rivelava già un'attrice di razza ancor prima che una diva di prima grandezza in Fiori d'acciaio ed avrebbe meritato un riconoscimento.

Per quanto riguarda i maschietti, un discorso relativo agli anni '80 è ancora più difficile e mi propongo di approfondire con gli anni la questione andando a recuperare i film che non ho ancora visto. Scorrendo la lista degli sconfitti, che è quasi sempre più interessante di quella dei vincitori, i casi più eclatanti mi sembrano i seguenti:
1981: Burt Lancaster per Atlantic City (vinse Henry Fonda per Sul lago dorato)
1982: Dustin Hoffman per Tootsie (vinse Ben Kingsley per Gandhi)

Dal prossimo post si passa al 1990, anno per anno. Buon divertimento!

domenica 4 ottobre 2009

La maschera doppia di Glenn Close



Il 20 settembre scorso sono stati assegnati al Nokia Theatre di Los Angeles i premi della televisione americana, gli Emmy. Assieme agli Academy Awards per il cinema e ai Tony Awards per ilt eatro, gli Emmy rappresentano l'altra grande cerimonia con cui lo show-biz a stelle e striscie premia e celebra sé stesso e le proprie star. Per il secondo anno consecutivo Glenn Close ha trionfato come migliore attrice drammatica per la serie tv Damages. Nel ritirare il premio l'attrice ha affermato che Patty Hewes è probabilmente il ruolo della sua vita. Forse Glenn non si è rivista di recente né in Attrazione fatale né nelle Relazioni pericolose.

Ora, Damages è sicuramente un ottimo prodotto e Glenn Close tratteggia con finezza e acume un altro dei suoi personaggi femminili perfidi e ambigui. Ma la cosa migliore di Damages è Damages stesso, con la sua pazzesca costruzione a puzzle e i suoi andirivieni temporali che confondono il telespettatore e lo tengono incollato alla poltrona. Quanto alla star protagonista, c'è qualcosa di risaputo ormai nella maschera "doppia" di Glenn Close, di puramente professionale e consumato. Non ci stupisce che il suo personaggio possa compiere azioni inique, anzi, vorremmo quasi che il ritratto si capovolgesse all'improvviso e Patty Hewes si rivelasse di colpo una "brava persona". Ovviamente gli autori sono abbastanza furbi e smaliziati da non dare certezze e lasciare i telespettatori nel dubbio: Patty Hewes è solo un'ottima avvocatessa, la migliore sulla piazza, disposta a tutto pur di vincere o è un vero e proprio squalo? Con quello sguardo acuto ed intelligente e quell'aura aristocratica a distante, Glenn Close è perfetta ed inietta nella parte scosse di elettricità ad alto voltaggio, unite ad una solidissima presenza scenica. Tutto però già visto e con risultati molto più sorprendenti in altre caratterizzazioni della grande attrice, prime fra tutte quelle di Attrazione fatale e de Le relazioni pericolose.


Alex Forrest, la stalker che dopo un week end di sesso sfrenato trasformava la vita tranquilla di Micheal Douglas in un incubo in Attrazione fatale, era uno studio sconvolgente e disperato di una personalità disturbata e malata. La genialità, l'esito eccellente della performance consiste nel fatto che Glenn Close non interpreta Alex come un mostro psicopatico (a questo ci pensa la regia, soprattutto nella parte conclusiva del film, in un corto circuito contraddittorio di grande interesse per la critica post-femminista), ma come una donna sola e triste, disperatamente in cerca di affetto e calore umano. Con un impatto deflagrante la Close capovolgeva il cliché femminile rassicurante che aveva incarnato nei film precedenti (Il mondo secondo Garp, Il grande freddo e Il migliore tra gli altri) e divenne una star, avvicinandosi alla parte con un'adesione e una compassione viscerali e fornendo una performance così potente e terrificante da rimanere impressa in modo indelebile nella memoria cinematografica collettiva. Era il 1987 e il film di Adrian Lyne catapultò Glenn Close nell'olimpo delle attrici più famose e apprezzate, al fianco di Meryl Streep e Jessica Lange.

L'anno successivo Glenn fece il bis con quella che, probabilmente, resta ad oggi la sua performance migliore, la Marchesa de Merteuil ne Le relazioni pericolose di Stephen Frears. Un capolavoro di sottile perversione, un monumentale e millimetrico lavoro sulla maschera e sulla dissimulazione, sull'immobilità del corpo e sul conflitto interiore. Bastino due scene per spiegare la levatura della prova attoriale. Quando la marchesa apprende la notizia della morte di Valmont, il corpo dell'attrice, fino ad allora congelato nella forma e nel trattenere (conservare) l'energia (i sentimenti), si sfalda in preda all'angoscia e alla disperazione. L'urlo è indimenticabile, così come i movimenti convulsi del corpo che si accascia a terra con la voce rotta dal pianto. E quando riconosce la sconfitta ed è costretta a gettare la maschera, Frears inquadra giustamente il volto della Marchesa mentre si strucca difronte allo specchio, come se fosse un'attrice al termine di una piece teatrale. Il primo piano conclusivo sul volto della marchesa è, forse, uno dei finali più belli del cinema contemporaneo. Sapienza e crudeltà registica da una parte e adesione dell'attrice dall'altra producono un effetto devastante e raggelante.
La forza di Glenn Close, la sua peculiarità, il suo carisma è tutto qui: nell'energia e nella precisione con cui scolpisce ed edifica personaggi che sembrano incrollabili come cattedrali e nella profonda verità che riesce ad afferrare e ad esprimere nel momento in cui questi personaggi cadono miseramente. Sono questi i ruoli "definitivi" della carriera di Glenn Close. Una carriera che dagli anni '80 ad oggi è passata dal cinema (sarebbe un crimine non ricordare almeno la strepitosa, stilizzatissima caratterizzazione di Cruella de Vil ne La carica dei 101 in cui in modo geniale Glenn Close modella il suo corpo come se fosse davvero un cartone animato con risultati esilaranti) alla televisione al teatro. E che ha toccato il suo punto più alto nel 1994, proprio a teatro (dove l'attrice aveva mosso i primi passi negli anni '70) con il ruolo di Norma Desmond nel musical Sunset Boulevard di Andrew Lloyd Webber. Un trionfo personale senza precedenti, pare che Glenn mandasse il pubblico in visibilio. Peccato non esserci stato. Detto questo... Patty Hewes chi?