domenica 14 marzo 2010

Le torbide pulsioni femminili di Chloe


Ammetto che mi è davvero arduo essere obiettivo quando c'è in scena Julianne Moore. Per fortuna Chloe è tutt'altro che disprezzabile anche se è l'interpretazione della Moore (e quella di Amanda Seyfried) a valere il prezzo del biglietto molto più della storia (ispirata al film Nathalie di Anne Fontayne) e della macchinosità dello script.

Abilmente diretto da Atom Egoyan, Chloe rischia di essere scambiato per un pruriginoso e sensazionalistico thriller erotico dall'aria vagamente retro' (di quelli che andavano di moda all'inizio degli anni '90) e con un risvolto che rovescia al femminile il turning point di Attrazione fatale. Rispetto al film di Lyne, Chloe non scivola inverosimilmente nell'horror e resta sospeso in un'atmosfera rarefatta, tesa ed ipnotica di un certo effetto. Sembrerebbe un film commerciale (davvero pessimo il poster italiano), invece è l'esercizio di stile (forse un po' algido e cerebrale ma di sicuro intrigante) di un autore complesso che, attraverso il genere, lavora sui meccanismi del desiderio e sull'analisi del comportamento umano nei suoi aspetti pulsionali più morbosi, torbidi e nascosti.


Dietro al plot (Catherine, ginecologa di successo e moglie frustrata in crisi di mezza età, crede che il marito la tradisca e per mettere alla prova tale supposta infedeltà decide di pagare una escort col compito di sedurlo: le coseguenze saranno pericolose per tutti) Egoyan suggerisce una complessa trama di rapporti e sentimenti raggelati, chiusi in interni freddi e lussuosi e schiacciati da imponenti architetture metropolitane (il film è stato girato a Toronto). A questi scenari si contrappone il giardino esotico che fa da sfondo all'atto sessuale raccontato da Chloe ed immaginato da Catherine. Col suo groviglio inestricabile di piante, la serra diventa luogo simbolo del desiderio, lussureggiante, tortuoso ed inconfessabile della protagonista. E non a caso ritorna nel bellissimo finale, a suggellare una chiave di lettura meno scontata di quanto ci si aspetti e a dir poco inquietante.

Al di là del livello superficiale della trama, Egoyan è, quindi, abbastanza bravo da insinuare la pulsione omosessuale di Catherine come sottotraccia narrativa sin dall'inizio: Catherine osserva/spia Chloe dalla finestra del suo studio ancor prima di trovare le prove del tradimento del marito e di coinvolgere la ragazza nel suo piano. Il vetro/finestra è uno dei leit motif del film (assieme al fermaglio hitchcockiano): i protagonisti si guardano, si desiderano e si rivelano attraverso vetrate o specchi, a suggerire una distanza, una separazione e, in termini più ambigui, una deviazione rispetto alla (percezione della) realtà. Quindi una difficoltà di fondo ad esprimere i sentimenti senza strategie, manipolazioni o mercificazione.


La fascinazione di Catherine verso la giovane Chloe, anche grazie alla stratificatissima performance della Moore, si afferma così come l'elemento più interessante del film almeno fino al colpo di scena che scioglie ogni ambiguità, normalizza l'atmosfera disturbante e riporta il racconto sui prevedibili binari del thriller. Ma anche nella parte finale l'eleganza sottile di Egoyan regala momenti difficili da dimenticare. La scena dello scontro risolutivo tra Chloe e Catherine è al tempo stesso morbosa, autentica e disperata.

Naturalmente gran parte del merito va agli attori, cui è richiesto uno sforzo di credibilità ben oltre le motivazioni dello script. Julianne Moore, spettacolare, è capace di passare al microscopio tutte le pulsioni del suo personaggio, restituendo un viaggio emotivo elettrizzante. Ed anche Amanda Seyfried è miracolosa, e vena di mistero e vulnerabilità un personaggio che nella seconda parte rischia di scivolare nel ritratto sopra le righe di una ragazza disturbata (non si sa per quale motivo).

Voto: 7

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