mercoledì 24 marzo 2010

"Shame on you!" - Julianne Moore in Magnolia


"Figlio di puttana...! Maledetto stronzo brutto pezzo di merda... ma chi cazzo sei? Ma chi cazzo ti credi di essere? Io vengo nel tuo negozio, tu che ne sai di me? Non sai chi cazzo sono, come sia la mia vita ed hai la faccia di culo di ficcare il tuo naso sporco di merda nel mio inferno privato? E levati dal cazzo anche tu e non chiamarmi signora! Io arrivo qui, vi dò le mie ricette, voi controllate, fate... fate le vostre telefonate, mi guardate con sospetto, mi chiedete... senza sapere che io sono malata! Tutto ciò che ho di più caro al mondo è malato! E voi mi fate domande sulla mia vita... Stronzi, che cos'ho che non va? Avete mai avuto la morte nel letto? Nella vostra casa? Ma non ce l'avete un po' di decenza? Voi e le vostre domande del cazzo! Che cosa c'è... che non vaaaaaa!!! Stronzo succhiami il cazzo! Ecco che cosa c'è che non va! E tu hai l'ipocrisia di chiamarmi signora? Dovreste vergognarvi! Dovreste vergognarvi! Dovreste vergognarvi tutti e due!"

Linda Partridge (Julianne Moore) in Magnolia di Paul Thomas Anderson

La scena della farmacia è il cuore del torrenziale affresco di dolori, miserie e solitudini losangeline tratteggiato da Anderson in Magnolia e uno dei momenti più alti della carriera di Julianne Moore. L'attrice modella la sua performance sullo stile vigoroso, eccessivo e debordante che il regista imprime al materiale narrativo e si abbandona al dolore (e al turpiloquio) del suo personaggio come non ha mai fatto prima. E' come se la sofferenza trattenuta, la rabbia inespressa e la frustrazione latente di tutti gli altri suoi personaggi rompessero gli argini e trovassero finalmente una via d'uscita in questa performance.

Sublime quando lavora sulle sfumature, sulla negazione del sé e sui conflitti interiori, in Magnolia la Moore cambia registro ed abbraccia il dramma nel senso più totale/teatrale del termine, rischiando patetismo ed over-acting. Mantenere una tensione ed un livello emotivo esterno così alto per due ore di pellicola è impossibile (ci proverà in Freedomland-Il colore del crimine, nel quale senza alcuna direzione registica sbanda come un cavallo di razza lasciato allo sbaraglio). Ed infatti il ritratto di Linda funziona proprio perché schizzato in poche scene che vanno ad incastrarsi in quel mosaico musicale di vite distrutte orchestrato da Anderson con tanta generosità e acume drammaturgico.

Se il personaggio è una scheggia impazzita, l'attrice non perde mai (davvero) il controllo. Con quello sguardo obliquo e quella tensione nervosa che esplode in modo deflagrante e definitivo, Julianne Moore vampirizza l'obiettivo della macchina da presa. E conquista gli spettatori. Il risultato è memorabile: una performance irripetibile e straziante.

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