mercoledì 2 dicembre 2009

L'allarmante domani di Children of Men


Londra 2027. Il mondo è in guerra, da diciotto anni non nascono più bambini, il genere umano è destinato all’estinzione. Atti vandalici e guerriglie scoppiano ad ogni angolo di strada, gli immigrati sono relegati in campi profughi e i ribelli lottano senza speranza per affermare la propria idea di (impossibile) libertà. Degrado, disordine e morte regnano sovrani, insieme alla consapevolezza che non può esserci nessun futuro. In questo universo tetro ed allarmante, l’ex attivista Theo (un sublime e trasandato Clive Owen) riceve dalla sua ex-compagna Julien (Julianne Moore), ora leader di un gruppo terroristico in lotta per i diritti degli immigrati, l’incarico di scortare una giovane di colore, Kee, oltre i posti di blocco della polizia, fino alla nave Domani, dove potrà essere al sicuro all’interno del Progetto Umano. Kee sta per partorire il primo bambino dopo diciotto anni di infertilità collettiva. E’ in gioco il destino dell’umanità e Theo, suo malgrado, dovrà trasformarsi in eroe per proteggere la donna, in un viaggio attraverso i gironi infernali di un futuro mai così prossimo.


Apocalittico e profondamente commovente, uno dei grandi film del decennio. Tratto dal romanzo di P.D. James, I Figli degli uomini (Children of Men) non è tanto un thriller fantascientifico, quanto un autentico film di guerra ambientato in un futuro appena più grigio, sporco e degradato del nostro presente. Il taglio di Alfonso Cuaron è quasi documentaristico, con tanta macchina e mano ed un uso coraggiosissimo del piano sequenza. Le scene girate senza stacchi di montaggio sono infatti innumerevoli e sono tutte dei pezzi di bravura registica impressionanti, da manuale di storia del cinema: l’inizio con l’esplosione nel bar, l’assalto in auto da parte dei ribelli, la fuga dal rifugio, l’ingresso di Theo nell’edificio assediato. Cuaron orchestra alla perfezione un universo in guerra tangibile, vivido e suggestivo, con risultati di straordinario realismo. Tecnicamente il film è ineccepibile anche grazie ai toni cupi e lividi della splendida fotografia di Emmanuel Lubezki, ma anche la tensione morale non molla un attimo, sostenuta dalla magnifiche prove degli attori. Owen regge il film col suo sguardo ferito e dolente e quel corpo appesantito che si trova a dover affrontare prove ben oltre le proprie capacità; Michael Caine è impagabile nel ruolo del vecchio Jasper, mentre Julianne Moore riesce a far passare un’enorme carico di sottotesto pur in poche linee di dialogo.


Impossibile fermare le lacrime quando Theo accompagna Kee fuori dall’edificio assediato. Il pianto della bambina appena nata corre lungo i corridoi e le stanze dell’edificio diroccato e si impone con tutta la sua forza innocente sulla guerra e sul rumore assordante dei mitra. Rifugiati, profughi e soldati si fermano attoniti ed in silenzio di fronte al miracolo di questa Madonna nera che stringe al petto la propria creatura. Chi sfiora i piedini della bimba, chi fa il segno della croce, chi cade in ginocchio: la vita sembra per un attimo trionfare sulla follia e sull’assurdità della guerra. L’immagine è davvero potente, per il suo simbolismo e l’incredibile realismo della messinscena. Ma è un’illusione, gli uomini dimenticano fin troppo in fretta. Appena il tempo di allontanarsi e dopo pochi secondi i mitra riprendono a sparare. Come se nulla fosse successo. Il miracolo si è dissolto e gli uomini tornano a consumarsi e a distruggersi a vicenda nell’oblio di sé stessi. Bellissimo il finale con la barca avvolta nella nebbia e la nave Domani che lentamente si avvicina.

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