Visualizzazione post con etichetta Kate Winslet. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Kate Winslet. Mostra tutti i post

martedì 19 marzo 2013

Dove eravamo rimasti



          Some things we lost in the middle (a brief walk through the last three years)

Dal 2010 al 2012 gli Oscar hanno visto trionfare i gradevoli ma normativi The King's Speech, The Artist e Argo, ma scelte decisamente migliori sarebbero state The Social Network, The Tree of Life e Zero Dark Thirty
Annette Bening è rimasta per la quarta volta a bocca asciutta ma almeno la prova di Nathalie Portman  nel turbinoso Black Swan era davvero eccezionale (anche per merito del buon Darren).


L'immarcescibile Meryl Streep si è finalmente portata a casa il tanto sospirato terzo Oscar per una grande performance, certo, ma imprigionata in un film tremendo. E, la povera Glenn Close col suo dolente Albert Nobbs è arrivata ad eguagliare il record di Deborah Kerr e Thelma Ritter: sei nomination e zero statuette.
Ancor peggio è andata a Julianne Moore, adorabile troublemaker in The Kids Are All Right, alla metafisica Tilda Swinton di We Need To Talk About Kevin, a Charlize Theron, affilata e geniale in Young Adult, all'aspra, fiera Marion Cotillard di Rust and Bone e alla sublime Rachel Weisz di The Deep Blue Sea: tutte performance eccezionali, ignobilmente snobbate.
Nel frattempo la divina Cate Blanchett si è rinchiusa nel teatro di Sidney ed ha diradato le sue apparizioni sullo schermo. Ma presto la vedremo nei nuovi film di Woody Allen e George Clooney.


Nicole Kidman, dopo aver inanellato una serie sterminata di flop, è tornata a rifulgere prima in Rabbit Hole e poi nello sfrontato, oltraggioso e dannatamente divertente The Paperboy.
Carey Mulligan ha confermato il suo talento drammatico in Shame e Drive e quest'anno l'attendiamo al varco de Il Grande Gatsby e del nuovo film dei Coen.
Jennifer Lawrence è deflagrata, prima al box office con The Hunger Games e poi agli Oscar col sopravvalutatissimo Silver Linings Playbook, scippando la statuetta alle ben più meritevoli Emmanuelle Riva e Jessica Chastain.


La Chastain è infatti la vera rivelazione degli ultimi due anni ma la più brava tra le nuove leve resta ancora Michelle Williams: da Blue Valentine a Meek's Cutoff, da My Week with Marylin a Take This Waltz, nessuna riesce ad essere così intensa e naturale, senza affettazioni o manierismi.
Blue Valentine è uno dei cult movie del decennio ed ha definitivamente lanciato Ryan Gosling nella stratosfera. Posto che condivide con Michael Fassbender, immenso in Shame e Jane Eyre e unica vera ragione per addentrarsi in Prometheus.


E i film? Bellissime sorprese sono state il delicato Beginners col terzetto McGregor-Laurent-Plummer, l'irriverente Bridesmaids (sorprendente, malinconico film sulla depressione abilmente mascherato da commedia) e, da poco uscito anche in Italia, il bellissimo The Perks Of Being A Wallflower (Noi siamo infinito). E i capolavori assoluti The Tree of Life, A Separation, Amour, Moonrise Kingdom e la prima metà di The Master. Ma il mio cuore ha battuto soprattutto per il crudele ritratto di Young Adult, la discesa agli inferi di Shame e il romanticismo tempestoso di Jane Eyre, il lancinante melo' Rust and Bone con la memorabile coppia Cotillard-Schonaerts e i cromatismi psicologici di Take This Waltz.

Quanto alla tv, la ferale Patty Hewes di Glenn Close ci ha definitivamente lasciati con la chiusura di Damages, le crinoline british di Downton Abbey hanno fatto il pieno di ascolti e gli intrecci psico-fanta-spio-politici di Homeland hanno conquistato tutti i premi possibili. E meritatamente, perché si tratta di una delle serie migliori dello schermo anche grazie alle prove di Claire Danes e Damian Lewis.


Kate Winslet si è tenuta in disparte dopo l'Oscar per The Reader ma non prima di aver fatto i fuochi d'artificio con Mildred Pierce, miniserie capolavoro diretto dal genio di Todd Haynes, in cui dà  ulteriormente prova della sua generosità senza limiti. E Julianne Moore ha finalmente agganciato il ruolo giusto, Sarah Palin in Game Change, per raggranellare i primi premi importanti (Emmy, SAG e Golden Globe) dopo  20 anni di carriera. L'Oscar non dovrebbe essere tanto lontano.


Best Actress Confidential is back.

martedì 18 maggio 2010

It's not the cheating, it's the hunger


"I think I understand your feelings about this book. I used to have some problems with it myself. When I read it in grad school Madame Bovary just seemed like a fool. She marries the wrong man, makes one foolish mistake after another. But when I read it this time I just fell in love with her. She's trapped. But she has a choice: she can even accept a life of misery or she can struggle against it. And she chooses to struggle".

"Some struggle... up in the bed with every guy who says - Hallo?"

"Oh, she fails in the end but there's something beautiful and even heroic in her rebellion. My professor would kill me for even thinking this but... in her own strange way Emma Bovary is a feminist".

"Oh that's nice. So now cheating on your husband makes you a feminist?"

"No, no, no... It's not the cheating, it's the hunger. The hunger for an alternative. And the refusal to accept a life of unhappiness".

Sarah Pierce (Kate Winslet) e la vicina di casa Mary Ann all'incontro letterario su Madame Bovary in Little Children di Todd Field.

sabato 15 maggio 2010

Giorno di riposo con Kate e Patrick


Giorno di riposo. Domani in arrivo news dal Festival di Cannes sui film di Oliver Stone, Woody Allen e Mike Leigh. La rassegna su Cate Blanchett prosegue con gli ultimi post sul ruolo che l'ha resa famosa e consacrata star, Elizabeth, e sulla miriade di altri film che non ho finora affrontato: Little Fish, Mr Ripley, The Gift, Oscar & Lucinda, Babel...
In programma nei prossimi giorni anche Correndo con le forbici in mano, rivisto di recente, con una favolosa Annette Bening (nelle prossime settimane salirà la febbre per The Kids Are All Right) e Il mondo secondo Garp, esordio al cinema della mia amata Glenn Close.
Finalmente oggi ho visto Little Children, con l'altra grande Kate (Winslet, nella foto con Patrick Wilson). Bel film, grandi interpretazioni, regia eccellente. Devo solo decidere se dedicare un post al film di Todd Field o inaugurare al più presto una rassegna dedicata alla Winslet, non appena quella della Blanchett sarà terminata. Voi cosa ne pensate?

lunedì 29 marzo 2010

Titanica Kate


Rose DeWitt Bukater è ad oggi la performance più emozionante di Kate Winslet. Certo, tecnicamente è inferiore alle prove fornite in Revolutionary Road e The Reader, e la Clementine Kruczynski di Eternal Sunshine resta un capolavoro di autenticità in brillante equilibrio tra commedia surreale e dramma. Ma il modo in cui la Winslet riesce a rendere credibile il percorso del suo personaggio nel kolossal di Cameron, dal desiderio di ribellione contro le costrizioni imposte dalla casta all'amore improvviso per il vagabondo di terza classe Jack Dawson, fino all'incredibile, impossibile destino di sopravvivenza, ha un che di prodigioso.

L'altra sera, a parecchi anni di distanza dall'ultima visione, mi sono rituffato nelle acque del Titanic e ne ho potuto godere ancora una volta l'immenso, vorticoso spettacolo. Cameron è un maestro nel gestire le fila di un racconto popolare che non può non arrivare al cuore di chiunque, proprio perché facile ed immediato (proprio come in Avatar). Ma al di là dell'impianto spettacolare ancora oggi stupefacente, il film non avrebbe funzionato senza l'alchimia tra DiCaprio e la Winslet. DiCaprio è ebbro di gioventù, tutto febbrile temperamento e disarmante naiveté, ma il cuore del film restano il personaggio di Rose e la performance dell'attrice, fulcro della focalizzazione narrativa e tramite principale per l'immedesimazione degli spettatori. Da incatenata signora dell'alta società a travolgente eroina melodrammatica che sceglie il proprio destino: una performance fisica imponente, che cavalca romance, drama e disaster movie con estrema disinvoltura e commovente naturalezza. L'Oscar andò ad Helen Hunt per Qualcosa è cambiato. A voi ogni ulteriore commento .

sabato 13 febbraio 2010

Rivisitando i classici


E' finalmente ufficiale: Todd Haynes dirigirà Kate Winslet in una miniserie televisiva di 4 ore prodotta dalla HBO e tratta dal romanzo di James M. Caine Mildred Pierce. L'opera di Caine aveva già ispirato un adattamento cinematografico diretto da Michael Curtiz nel 1945, Il romanzo di Mildred (Mildred Pierce), mix esplosivo di noir e melo' a tinte fosche con Joan Crawford vincitrice dell'Oscar. Riuscirà la Winslet a confrontarsi col fantasma della grande Joan? Non ne dubito affatto. Haynes è sulla carta l'autore perfetto per questo progetto: in Lontano dal paradiso ha già dimostrato un tocco eccezionale nella rivisitazione del cinema classico. Sono già aperte le scommesse per un probabile Emmy alla Winslet nel 2011. Le riprese iniziano in aprile a New York.


Dopo innumerevoli, gustose partecipazioni in tanti film, sembra che Susan Sarandon abbia afferrato il suo ruolo migliore da molti anni a questa parte: l'adattamento per il grande schermo de La grande vallata, serie televisiva western con la gigantesca Barbara Stanwick andata in onda dal 1965 al 1969. Devo ammettere che sono elettrizzato. L'inizio delle riprese è previsto in maggio. La Sarandon ha in uscita Solitary Man con Michael Douglas, Leaves of grass con Edward Norton , Wall Street 2 e l'attesissimo You don't know Jack, tv movie con Al Pacino diretto da Barry Levinson. La grande vallata potrebbe essere il veicolo giusto per ritornare alla notte degli Oscar.

Rimanendo in ambito western avrete già sentito che i fratelli Coen rifanno Il Grinta con Jeff Bridges nel ruolo di John Wayne? Registi e star de Il grande Lebowski di nuovo insieme: bingo! Un altro progetto che lascia ben sperare.

mercoledì 10 febbraio 2010

Il Quarto Mondo delle Creature del cielo


Venerdì 12 esce finalmente Amabili resti. La mia recensione è già nell'elenco degli screenings 2009-2010. Con Amabili resti Peter Jackson torna a percorrere un territorio a lui familiare e molto affine: la storia di un atroce delitto immersa in una narrazione che fonde realtà e fantasia. Il regista neozelandese aveva già trattato una storia simile in Creature del cielo: negli anni '50 a Christchurch in Nuova Zelanda, l'intensa amicizia tra Pauline e Juliet si trasforma in un legame morboso che sfocia in febbrile delirio matricida. Da due settimane fremevo per rivedere questo film del 1994, passato alla storia anche per il folgorante debutto di Kate Winslet. Il film è davvero una perla oscura , un autentico tuffo nell'incubo, ed ho trovato la visione ancora più disturbante di 15 anni fa. Considerata la filmografia successiva di Jackson, Creature del cielo è probabilmente il suo capolavoro.

"Oggi abbiamo scoperto la chiave del Quarto Mondo (...) Abbiamo visto un cancello tra le nuvole. Tutto era carico di pace e di beatitudine".

Partendo dai diari tenuti da Pauline tra il 1953 e il 1954, Jackson ricostruisce l'universo biografico/realistico e quello visionario/fantastico in cui si muovono le due protagoniste. Costrette ad un'educazione repressiva e vittime di una cieca autorità familiare (troppo rigida la famiglia proletaria di Pauline, troppo assente quella borghese di Juliet) le due brillanti studentesse (l'una introversa e razionale, l'altra espansiva ed emotiva) si incontrano fra i banchi dell'austero istituto femminile e mettono insieme il loro fervido potere immaginativo al servizio della creazione di un mondo fantastico in cui trovare rifugio dal grigiore della realtà. E' il Quarto Mondo, il Regno di Borovnia, che dalle pagine del romanzo scritto a quattro mani prende magicamente vita sotto forma di visioni e nuove identità (Juliet diventa la principessa Debora, Pauline è prima Charles, suo amante, poi Gina, la bella gitana).


E' un paradiso di musica, arte e godimento puro, consacrato al culto del tenore Mario Lanza e di James Mason, e popolato dalle statue di plastilina che incarnano i personaggi del romanzo medievale frutto del loro genio. La dimensione fantastica è ansia di libertà e desiderio di fuga, ma anche droga pericolosa: in questo nuovo spazio dalle possibilità illimitate Pauline e Juliet si muovono spensierate ed incontrastate. Più le rispettive famiglie cercano di restaurare una parvenza di autorità e si sforzano di separare le due ragazze (la loro amicizia diventa ogni giorno più "malsana" e va incontro all'inevitabile diagnosi di "disordine mentale" ed "omosessualità" pronunciata dal dottore, altro grottesco esponente di un'istituzione vuota ed inerte), più il loro mondo fantastico prende piede e si sovrappone alla realtà fino a sostituirsi ad essa. I confini vacillano, il contatto con la realtà inizia ad annebbiarsi, la separazione si fa totale. Con conseguenze devastanti.

"Abbiamo concluso che per la gente è molto triste non poter apprezzare il nostro genio".

La regia vorticosa ed allucinata di Jackson traduce magistralmente il delirio di onnipotenza delle protagoniste, registrando lo scivolamento senza più ritorno dalla dimensione reale a quella fantastica (fino all'omicidio, il momento "della fine di tutto", come presagisce consapevolemente Pauline nel suo diario). Il racconto procede inarrestabile ed esala un senso di malata inquietudine che è difficile scrollarsi di dosso: a differenza di Pauline e Juliet, la narrazione non perde mai il contatto con la realtà e l'orrore del delitto è restituito in tutto il suo crudo, sconvolgente realismo.
Voto: 9

lunedì 4 gennaio 2010

Le dive del decennio: Streep, Kidman, Blanchett, Winslet. E Julianne


Un decennio strepitoso per Meryl Streep, tornata a dominare alla grande non solo le cerimonie degli Oscar (quattro candidature, compresa quella in arrivo) ma anche il box office: Mamma mia! ha incassato in tutto il mondo la cifra astronomica di 602 milioni di dollari, ma anche Il diavolo veste Prada non se l'è passata male con il suo bottino di oltre 300 milioni. Questa nuova Streep, solare e divertita, piace a tutti: Julie & Julia ha sfiorato i 100 milioni nei soli Usa e It's complicated, uscito a Natale, veleggia già verso i 60 milioni. Se poi vogliamo parlare delle performance, bisogna solo levarsi il cappello e, muti, ammirare: Il ladro di orchidee (Adaptation, 2002) e soprattutto la meravigliosa Clarissa di The Hours (2002); l'incredibile tour de force di Angels in America (2003); la perfida Eleonor Shaw di The Manchurian Candidate (2004); l'esilarante zia Josephine di Lemony Snicket (2004); la calda Yolanda di Radio America (2006), dove torna a cantare 16 anni dopo Cartoline dall'inferno e prima di intonare i ritornelli degli Abba. Cosa importa se Prime (2005), Evening, Rendition e Leoni per agnelli (2007) non hanno convinto del tutto? Meryl Streep tutto può. E merita tutti i riconoscimenti di questo mondo. Persino l'eccellente prova drammatica de Il dubbio (2008) impallidisce di fronte alla nuova incarnazione della Streep, diva brillante e sofisticata. La sua Miranda Priestley de Il diavolo veste Prada è entrata nella storia del cinema. Qualcuno ha ancora qualche dubbio su chi occupi il trono di migliore del decennio?


Povera Nicole Kidman! Nine si sta rivelando un fiasco e per vedere risollevate le sorti della sua carriera bisognerà attendere l'uscita di Rabbit Hole e The Danish Girl. Non ne ha più azzeccata una la Kidman: con l'eccezione dell'amaro e sorprendente Margot at the wedding (2007), dove era bravissima come sempre, Nicole ha inanellato una serie interminabile di flop, da Bewitched (2005) a Fur (2006), da The Invasion (2007) a The Golden Compass (2007), fino al disastro clamoroso dello strombazzatissimo Australia (2008), tanto da diventare quello che negli anni 30 si diceva di Katharine Hepburn: veleno per il box office. Ma la Kidman resta una diva dal talento sopraffino, un'attrice coraggiosa capace di passare in pochi anni attraverso i generi più disparati, affidandosi ad autori estremi e regalando performance sensazionali. Ancor prima della precisione tecnica, del magnetismo e dell'intensità, è la versatilità il fulcro del suo carisma, la sua capacità di stupire. Un'eclettismo che le ha permesso di passare dalle atmosfere gotiche di The Others (2001) al turbinio vorticoso della fantasia in musica Moulin Rouge (2001), dai toni intimi e dolenti di The Hours (2002) al western-melo' Ritorno a Cold Mountain (2003). Fino alle sue performance più ardite e rischiose: Grace nell'angosciante Dogville (2003) di Lars Von Trier e Anna in Birth (2004), inquietante e sottovalutato thriller psicologico di Jonathan Glazer. Ma la Virginia Woolf del film di Daldry e Satine in Moulin Rouge restano i suoi ruoli più celebri. Soprattutto nel film di Baz Luhrmann la Kidman arriva a toccare uno stato di grazia assoluto: incantevole e drammatica, brillante e commovente. In una parola: strepitosa.


Regale. Magnetica. Potente. Mimetica. E straordinariamente bella. Una bellezza ed un volto unici, capaci di trasformarsi in base al ruolo ed una padronanza tecnica che sfiora la freddezza, tanto è perfetta. Questa è Cate Blanchett. Basterebbero le interpretazioni di Bob Dylan in Io non sono qui (2007) e di Katharine Hepburn in The Aviator (2004) per dare la portata della grandezza di questa donna stupenda. Elettrizzante. E geniale. Ma queste due performance sono solo le punte dell'iceberg di una carriera strepitosa. Con il suo carisma Cate eleva qualsiasi film. Charlotte Grey (2001), Veronica Guerin (2003) e il western The Missing (2003) poggiano unicamente sulla sua presenza. E nel fallimentare The Shipping News (2001) è l'unica a vibrare veramente, tra Kevin Spacey, Julianne Moore e Judi Dench. Nel bel horror sudista The Gift (2000) è convincente nel ruolo di una sensitiva coinvolta nelle indagini di un omicidio; in Bandits (2001) rivela un talento smagliante per la commedia; in Coffee & Cigarettes (2003), dà prova di straordinario mimetismo calandosi contemporaneamente nel ruolo di due cugine, Cate e Shelley; nell'interessante Heaven (2002) irradia luce in ogni inquadratura. Indimenticabile Galadriel nella saga de Il Signore degli Anelli (2001, 2002, 2003), è a partire dalla metà del decennio, dopo l'Oscar per il film di Scorsese, che Cate Blanchett si afferma definitivamente come nuova Meryl Streep. L'intensa prova in Babel (2006), la dark lady con accento tedesco Lena Brandt (modellata su Marlene Dietrich) in The Good German (Intrigo a Berlino, 2006), dove Soderbergh la circonda di un'aura quasi divina, la concretissima, sensuale e disperata Sheba Hart in Diario di uno scandalo (2006), professoressa invaghita di uno studente e presa nella rete dell'"amica" Judi Dench. Nel 2007 torna a vestire i panni della Regina Elisabetta I in Elizabeth The Golden Age, ed è l'unico motivo di interesse di un film bolso ed imparruccato. In Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008) sfoggia un divertente accento russo nel ruolo della spia Irina Spalko, ed è magica ne Il curioso caso di Benjamin Button (2008). In attesa di Lady Marian.


Assieme alla Streep e alla Blanchett è l'attrice più nominata del decennio, e la più giovane ad aver raggiunto quota 6 candidature all'Oscar all'età di 34 anni. Kate Winslet sullo schermo incarna il senso di libertà, uno spirito libero, ribelle ed anticonformista. Come attrice è una forza della natura ed infonde vita, onestà, sincerità e calore ad ogni ruolo. Le crediamo, sempre e comunque. Entriamo in empatia con i suoi personaggi, li sentiamo vicini. E dalla sala, palpitiamo con lei. Questo decennio ha visto la definitiva consacrazione del suo dono e della sua arte. Dalla giovane Iris Murdoch in Iris (2001) alla giornalista Bitsey Bloom nel controverso The life of David Gale (2003), dalla scandalosa Madeleine in Quills (2000) alla Sylvia Davies, musa di James Barrie, in Finding Neverland (2004), la Winslet si è concessa anche incursioni nella commedia con il divertente L'amore non va in vacanza (2006) e soprattutto con il musical proletario di John Turturro Romance & Cigarettes (2005), in cui è Tula, volgarissima e sexy prostituta impossibile da dimenticare. Col multistratificato, cerebrale ed incandescente ruolo di Clementine Kruczynski in Eternal sunshine of the spotless mind (2004), manca l'Oscar per un soffio, ma entra nella storia e nelle liste delle migliori performance di tutti i tempi. In coppia con uno strepitoso Jim Carrey, Kate è talmente dentro la parte che non ti accorgi nemmeno un istante che stia recitando. Cult movie. Dal 2004 in poi è tutta una corsa in discesa verso L'Oscar: in Little Children (2006) è Sarah Pierce, un'insoddisfatta ed adultera casalinga dei sobborghi americani e la Winslet dà ancora una volta prova della sua eccellente capacità di immersione totale nel ruolo. Ma il 2008 è l'anno del trionfo, con due performance memorabili ed agli antipodi: April Wheeler in Revolutionary Road, attrice mancata e moglie frustrata in veloce caduta libera negli abissi della follia (una discesa vertiginosa, che l'attrice indaga e registra con manicale perfezione e devastante partecipazione, riuscendo a rendere percettibili e concrete qualsiasi emozione, in una tavolozza infinita) e Hanna Schmidtz in The Reader, ex ufficiale delle SS, freddo e vuoto corpo senza cuore, votato al lavoro e all'esecuzione degli ordini. Tanto appassionata ed accalorata in Revolutionary Road, quanto ottusa e glaciale in The Reader. L'Oscar vale per entrambi i film.

Il decennio è stato anche segnato da una miriade di corpi e volti degni di altre magnifiche ossessioni. Dal 2000 al 2009 abbiamo visto:

- la sorprendente ascesa artistica di Penelope Cruz, magica in Volver (2006) ed esplosiva in Vicky Christina Barcelona (2008) e di Amy Adams capace di passare con massima disinvoltura da Enchanted (2007) a Il dubbio (2008);
- la conferma del talento di Helen Mirren in The Queen (2006) e The Last Station (2009) e di Judi Dench in Iris (2001), Lady Henderson presenta (2005) e Diario di uno scandalo (2006);
- la bravura quieta e trattenuta di Laura Linney in You can count on me (2000) e The Savages (2007);
- l'apparizione fulminante di Scarlett Johansson, magmatica in Lost in translation (2003) e ferale in Match Point (2005) e The Black Dahlia (2006);
- la maturità raggiunta dall'ex bambina prodigio Kirsten Dunst ne Il giardino delle vergini suicide (2000) e Marie Antoinette (2006);
- la verve inesauribile di Julia Roberts, travolgente in Erin brockovich (2000) e splendida anche quando spegne il suo sorriso in Closer (2004);
- la verità dolente che Marisa Tomei trasmette in The Wrestler (2008) e In the Bedroom (2001);
- il successo dell'altra australiana di Hollywood, Naomi Watts, impressionante in Mullholand drive (2001), e perfetta in The Ring (2002), 21 Grammi (2003) e King Kong (2005);
- l'ironia adorabile (anche se adesso dimenticata da tutti) di Renee Zellweger, che ha dominato i primi anni del decennio con la sua Bridget Jones (2001 e 2004) e con Chicago (2002);
- il fascino intramontabile di Michelle Pfeiffer, diabolica in White Oleander (2002) e ritornata a splendere in Hairspray, Stardust (2007) e Cheri (2009);
- il mistero di attrici intense e devastanti come Samantha Morton e Tilda Swinton, capaci di far vibrare un ruolo anche in poche linee di dialogo.

Ogni lista è personale e potrei aver dimenticato qualche nome importante. Non me ne vogliate. Vero è che ho lasciato per ultima la performance del decennio. Dal 2002 in poi, con le sole eccezioni de I figli degli uomini (2006) e Savage Grace (2007), Julianne Moore ha sprecato il suo talento siderale in tanti film inutili (per usare un eufemismo) o si è concessa soltanto piccole apparizioni (Io non sono qui, 2007; The private lives of Pippa Lee, 2009). Una di queste, il bel ritratto di Charley, la "fradicia" (nel senso di ubriaca) amica di vecchia data di George-Colin Firth in A single man, potrebbe questo febbraio portarle la quinta candidatura all'Oscar.



Quanto lontano sembra però quel 2002 in cui nel giro di pochi mesi uscirono The Hours e Lontano dal paradiso: la sua Laura Brown nel film di Daldry è quanto di più triste e disperato si possa immaginare, un ritratto tutto giocato sul non detto e sui mezzi toni, sugli sguardi e su una recitazione finissima di rara efficacia. Quando nella scena in bagno John C. Reilly la invita ad andare a letto e lei risponde senza lasciar trasparire dalla voce alcuna emozione o turbamento (ma in realtà sta piangendo), sono arte e genio assoluti quelli che vediamo scorrere davanti anoi.

Ma è la sublime performance di Cathy Withaker in Lontano dal paradiso il vero capolavoro, l'interpretazione della sua carriera e del decennio. Stile e contenuto toccano qui vette altissime, perché il film, un postmoderno, nostalgico ed ispiratissimo omaggio ai melodrammi sirkiani degli anni '50 usa il corpo ed il volto della Moore come una funzione di uno spazio cinematografico connotato ed immediatamente riconoscibile. Ecco allora che la Moore incarna la perfetta casalinga anni '50 e non solo modella il proprio look su attrici dell'epoca come Jane Wyman e Doris Day, ma anche lo stile recitativo. A questo livello (memoria cinefila, recupero dei modelli classici) si aggiunge quello narrativo, che fa di Cathy Withaker un'eroina melodrammatica, inconsapevole femminista ante-litteram, destinata a scontrarsi con le convenzioni sociali e a restare indietro rispetto ad un mondo (maschile) che comunque riesce ad andare avanti. Ed infine c'è la fiamma dell'attrice, che infonde al ruolo una delicatezza, un'umanità ed un'intensità che non ha eguali. A mano a mano che il mondo crolla intorno a lei, il suo sorriso di porcellana si muta in una maschera di infinita tristezza. Sublime tristezza. Bellissima tristezza. Ecco perché amo Julianne Moore.

giovedì 17 dicembre 2009

It's Meryl again


Meryl Streep ed Alec Baldwin campeggiano maturi e sorridenti dalla copertina di Entertainment Weekly pronti a conquistare il box office americano: sono i protagonisti, assieme a Steve Martin, di It's Complicated, il nuovo film di Nancy Meyers in uscita a Natale negli States e già candidato ai Golden Globe come miglior commedia dell'anno e miglior sceneggiatura. Baldwin sta vivendo una nuova giovinezza professionale con la serie televisiva di successo 30 Rocks, mentre per la Streep si conferma un finale di decennio trionfale. Sarà pure Nicole Kidman l'attrice più importante d'inizio millennio (anche se, a parte Il matrimonio di mia sorella del 2007, le sue ultime grandi prove risalgono al 2003 con Birth e Dogville, mentre sia Cate Blanchett che Kate Winslet hanno avuto un output creativo eccezionale fino al 2008), ma la Streep, sulla cresta dell'onda dal 1977 (!) si è definitivamente ripresa il trono di regina di Hollywood ed ormai gareggia con le leggendarie Katherine Hepburn e Bette Davis per il titolo di attrice più grande di tutti i tempi.
Fresca di una doppia candidatura ai Golden Globes (per il film della Meyers e Julie & Julia di Nora Ephron), la Streep bissa lo strepitoso successo di critica e pubblico dello scorso anno (Mamma mia! e Doubt) e si prepara il discorso per la notte degli Oscar.

lunedì 19 ottobre 2009

Beati gli smemorati...


"I'm not a concept Joel, I'm just a fuck'd up girl
who's looking for her own peace of mind, I'm not perfect".

Clementine Kruczynski (Kate Winslet) in Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Gondry, 2004)

venerdì 16 ottobre 2009

Glamour victim


Ieri sera ero su Google alla ricerca di immagini di Anjelica Huston in Rischiose abitudini (The Grifters), tragico e spietato noir di Stephen Frears, per inaugurare la galleria The Great Performances of All Time inserita nel sidebar di Best Actress Confidential appena sotto le previsioni dei prossimi Oscar. Mi imbatto così quasi per caso in un magnifico servizio fotografico realizzato da quel genio di Annie Leibovitz nel marzo 2007 per Vanity Fair.

Trentanove attori di Hollywood (da Amy Adams a Evan Rachel Wood elencati in ordine alfabetico nei credits) per 14 quadri (definirli scatti è improprio, anche perchè si tratta di autentiche "composizioni") attraverso cui la Leibovitz racconta (con annesse didascalie) una storia noir losangelina seguendo tutti gli stilemi fotografici, iconografici e narrativi del genere. Ecco allora le splendide "signore di Los Angeles" Anjelica Huston, Sharon Stone e Diane Lane (in alto) in lussuosi abiti anni '40, mentre commentano la notizia dell'ultimo omicidio nella toilette dello Snyder's Restaurant. O Judi Dench ed Helen Mirren in una rocambolesca fuga in auto (in alto a destra).

Infine Ed Norton, Kate Winslet, Robert de Niro, Jennifer Connelly, la Mirren e Julianne Moore (a sinistra) nella hall dell'Hotel LaBrea nei panni di altri misteriosi ed ambigui personaggi, in un'atmosfera torbida e patinata, carica di inganni e segreti, pulsioni nascoste e tradimenti. I quadri sono uno più bello dell'altro e meritano tutti di essere ammirati.
Mi piace moltissimo quando le star si prestano a giochi del genere, soprattutto se lo sguardo dietro l'obiettivo è sofisticato e brillante come quello di Annie Leibovitz. Penso di avere una personalità abbastanza sfaccettata e aperta da accettare di indulgere ogni tanto e senza riserve al richiamo del glamour hollywoodiano. Con dei modelli così poi, resistere è assolutamente impossibile.

martedì 29 settembre 2009

Oscar 2010, Best Actress: Meryl Streep Moment?


Con l'arrivo dell'autunno in America inizia the award season. Chi saranno le attrici che potrebbero avere la candidatura al premio Oscar quest'anno?
Meryl Streep, Julie & Julia
Carey Mulligan, An education
Gabourey Sidibe, Precious
Saoirse Ronan, The lovely bones
Hilary Swank, Amelia
Abbie Cornish, Bright star
Michelle Pfeiffer, Cheri
Robin Wright Penn, The private lives of Pippa Lee
Penelope Cruz, Broken Embraces
Nathalie Portman, Brothers
Audrey Tatou, Coco Before Chanel
Cominciamo da colei che dal 1978 è presente nella cinquina delle attrici nominate con una media invidiabile e insuperabile. E' infatti praticamente quasi sicuro che Meryl Streep afferri la sua sedicesima candidatura per il ruolo di Julia Child nel film di Nora Ephron Julie & Julia. Uscito in America all'inizio di agosto, il film è stato un successo (quasi 90 milioni di dollari di incasso) e ci regala una Streep strepitosa e divertita come in Mamma Mia! e ne Il diavolo veste Prada.
Sembra incredibile come questa star, considerata la più grande attrice contemporanea, sia riuscita a riconquistare il mondo a 60 anni, confermando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la sua strabiliante versatilità e longevità.


L'anno che ha segnato una decisiva sterzata alla sua carriera è stato proprio il 2006, con lo straordinario successo de Il diavolo veste Prada. Ma già nel 2002, con l'eccentrico ruolo in Adaptation e soprattutto con il bellissimo The Hours (in cui era il suo personaggio, Clarissa Vaughan, a fungere da collante fra le varie storie ed era la Streep, nonostante l'oscar a Nicole Kidman, l'unica vera vincitrice in termini di sfida attoriale fra le tre grandi), aveva dimostrato di essere sempre e ancora la numero uno, capace di passare dal dramma alla commedia come nessuna altra.

Sarebbe un crimine non vederla vincere nemmeno quest'anno (non vince dal 1982), anche se agli oscar molto raramente si vince per un ruolo leggero. Ma Meryl potrebbe sbancare i botteghini americani anche a Natale nella commedia di Nancy Meyers It's complicated, e il successo commerciale, si sa, è sempre un ottimo traino per i premi dell'industria. Se l'Academy si sentirà coGrassettolpevole di non averla onorata in cosi tanto tempo come è successo quest'anno con Kate Winslet (perfetta nel ruolo against the type di Hanna Schmidt in The Reader, ma Anne Hathaway in Rachel sta per sposarsi era davvero heartbreaking), l'oscar potrebbe finalmente tornare nelle sue mani. Dopo l'oscar come non protagonista per Kramer vs Kramer (1979) e quello da protagonista per La scelta di Sophie (1982), considerata ancora oggi una delle migliori performance mai fornite da un'attrice, Meryl avrebbe almeno dovuto vincere altre due volte:


per lo straziante ritratto di Francesca Johnson nel crepuscolare I ponti di Madison County di Eastwood (ma nel 1995 bisognava finalmente premiare Susan Sarandon, alla quinta candidatura per Dead man walking) e per la sottile perfidia e i 100 modi diversi di dare una singola battuta ("that's all", è tutto) di Miranda Priestley ne Il diavolo veste Prada (ma la Helen Mirren di The queen, da Venezia alle associazioni di critici americani, aveva fatto incetta di tutti i premi possibili).
Quest'anno, almeno finora, le uniche concorrenti della Streep sembrano essere due giovani attrici protagoniste di due film-rivelazione: Carey Mulligan per An education e Gabourey Sidibe per Precious. Dal Sundance a Toronto, questi due film hanno conquistato la critica e potrebbero concorrere agli oscar in molte categorie (film, regia, sceneggiatura, attori). Soprattutto Precious, vincitore del premio del pubblico a Toronto, potrebbe essere il The Millionaire di questa stagione (piccolo film indipendente che sconfigge i prodotti delle major).
Tornando alle attrici c'è grande trepidazione per Saoirse Ronan in The Lovely Bones l'attesissimo film di Peter Jackson: se venisse candidata sarebbe l'attrice più giovane della storia ad aver ottenuto due nominations (dopo Espiazione). Tutto dipenderà dal successo del film, ma è probabile anche che i votanti dell'Academy per la giovane età della Ronan spostino le proprie preferenze sui ruoli e sugli interpreti di supporto (Tucci e Sarandon). Abbie Cornish nel nuovo lavoro di Jane Campion Bright Star ha ricevuto critiche favorevolissime a Cannes e tutti sappiamo quanto la Campion sia magistrale nel dirigere le attrici (Hunter, Kidman, Winslet). Infine c'è l'Amelia di Hilary Swank, un film strombazzatissimo da mesi e un ruolo in cui si dovrebbe fare disastri per non essere nominati. Se il film dovesse piacere, la candidatura alla Swank è praticamente scritta sulla pietra. Ma se dovesse vincere il suo terzo oscar, ci sarebbe da radere Hollywood al suolo.
Altri nomi possibili: Penelope Cruz pare abbia molte piu chances quest'anno come non protagonista per Nine, piuttosto che come leading lady nel nuovo Almodovar (che ha ricevuto critiche contrastanti). Ma anche come non protagonista la Cruz ha appena vinto in Vicky Christina Barcelona, quindi potrebbe lasciare il posto alle altre star di Nine (Dench e Cotillard). The private lives of Pippa Lee, di Rebecca Miller, uscito in Gran Bretagna quest'estate, è stato accolto da critiche molto positive per tutto il cast e soprattutto per la prova di Robin Wright Penn: sulla scena ormai da 20 anni e mai nominata, potrebbe finalmente vedersi riconosciuta la sua bravura.

Infine Michelle Pfeiffer in Cheri. Apprezzato in Europa (soprattutto in Francia), ma snobbato in America (dove non hanno capito i toni apparentemente frivoli, la malinconia sotterranea e la perfetta adesione allo spirito del romanzo) Cheri di Stephen Frears non è stato il successo che ci si aspettava. Ma la Pfeiffer nel film non solo è perfetta nella parte, ma è assolutamente divina. Sostenuta da un'adeguata campagna promozionale, la Pfeiffer potrebbe portarsi a casa la sua quarta candidatura all'oscar. E non perchè avrebbe già dovuto vincerlo nel 1989 per I favolosi Baker, ma perchè in Cheri è semplicemente bravissima. Il film è ancora in una decina di sale sul territorio nazionale. Correte a vederla.