venerdì 8 gennaio 2010

Duplicity & Ricatto d'amore


Giorni di glamour-immersion. Nel giro di 48 ore ho recuperato Duplicity, la romantic-comedy-spy-story di Tony Gilroy uscita la scorsa primavera con Julia Roberts e il clamoroso successo dell'estate americana Ricatto d'amore (The Proposal) con Sandra Bullock. Entrambe le dive sono fresche di candidatura ai Golden Globes nella categoria best actress comedy, anche se, visti i film, mi chiedo come sia possibile che siano state preferite alla malinconia autunnale di Michelle Pfeiffer in Cherì. Certo, il fascino della Roberts è immutato, così come la simpatia della Bullock, ma il monologo finale della Pfeiffer nel film di Frears è più incisivo dei sorrisi smaglianti di Julia o del finto impaccio di Sandra. Evidentemente la Roberts conta ancora su una schiera infinita di sostenitori e la Bullock è diventata un infernale garanzia di trionfo al box office. Ma l'arte è altrove.

Duplicity (6/6+) è un sofisticato giallo-rosa che non mantiene tutte le premesse ma si lascia guardare con gusto. Costato 60 milioni di dollari, ne ha incassati in America solo 40, ma ha recuperato terreno oltreoceano arrivando alla non esaltante cifra di 78 milioni. Il mix di generi (spionaggio industriale in salsa rosa) non ha quindi convinto: la struttura a scatole cinesi, con il consueto meccanismo dei doppi e tripli giochi, e la costruzione temporale con frequenti andirivieni, se non confondono lo spettatore di certo lo distanziano dal cuore della trama e dei personaggi. Girato con classe indiscussa, il film resta freddo e come congelato nel suo brillante cinismo e nella programmatica sagacia dei suoi dialoghi. Gli interpreti sono quindi la ragione di maggior interesse e Julia Roberts e Clive Owen, già insieme in Closer, sono una coppia che funziona a meraviglia. Nei ruoli di due spie very cool, sexy e sbrigativa lei, stropicciato e irresistibile lui, si amano selvaggiamente e, pur non fidandosi l'uno dell'altro (deformazione professionale del mestiere di spia), diventano soci in un affare che potrebbe fruttare milioni di dollari. Le loro schermaglie da screwball-comedy sono indubbiamente la cosa migliore del film.



Se Duplicity riesce tutto sommato gradevole, la stessa cosa non si può dire di Ricatto d'amore (4), nonostante la bella faccia di Ryan Reynolds e la verve di Sandra Bullock. Saranno pure 184 i milioni incassati in America, ma il film di Ann Fletcher è uno sconfortante accumulo di stereotipi e di situazioni già viste un migliaio di volte quasi sempre con risultati migliori. Fosse solo leggero, il film evaporerebbe senza lasciar traccia, ma si segnala per due scene a dir poco imbarazzanti (lo striptease nel bar e la danza propiziatoria nella foresta) e per una visione della dinamica fra i sessi che definire retriva, fallocentrica e desolante è dir poco. L'inizio cita/copia Il diavolo veste Prada con l'editrice in tailleur stronza-ma-frigida che semina il terrore fra i dipendenti. Al posto delle assistenti Andrea ed Emily, abbiamo il belloccio di turno Ryan Reynolds che subisce ogni capriccio del capo in gonnella, ma accetta i colpi senza fiatare per realizzare i suoi sogni nel cassetto. Così come furbamente accetta di sposarla per evitare che venga rimpatriata in Canada, mettendo su una farsa da finti innamorati che coinvolgerà con prevedibili risultati la "normalissima" famiglia di lui. La progressione narrativa gli darà ampiamente modo di vendicarsi del capo e di dimostrare quanto lui sia un ragazzo meraviglioso. Parallelamente, innumerevoli saranno le situazioni in cui la protagonista sarà messa in ridicolo, fino a rivelare (ma va'?) un animo tutto sommato nobile, ferito e deluso dalla vita. Alla fine, ma guarda un po', si scopriranno innamorati per davvero. Amen.

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