Il 2002 è l'anno della consacrazione, con la credibile interpretazione della fragile Claire nel dramma White Oleander e soprattutto con Chicago, trionfale musical in cui, neo Marylin Monroe, bamboleggia divinamente e vince su tutti (tranne che agli Oscar). L'anno successivo ritorna perfettamente consapevole dei propri mezzi in Down With Love (Abbasso l'amore) delizioso e sofisticato calco delle commedie anni '60, ma è con Cold Mountain nel ruolo della rustica Ruby che afferra finalmente l'Oscar andato l'anno prima alla rivale Zeta-Jones.
venerdì 30 ottobre 2009
Che fine ha fatto Renee Zellweger?
Il 2002 è l'anno della consacrazione, con la credibile interpretazione della fragile Claire nel dramma White Oleander e soprattutto con Chicago, trionfale musical in cui, neo Marylin Monroe, bamboleggia divinamente e vince su tutti (tranne che agli Oscar). L'anno successivo ritorna perfettamente consapevole dei propri mezzi in Down With Love (Abbasso l'amore) delizioso e sofisticato calco delle commedie anni '60, ma è con Cold Mountain nel ruolo della rustica Ruby che afferra finalmente l'Oscar andato l'anno prima alla rivale Zeta-Jones.
giovedì 29 ottobre 2009
Winona Forever
Dietro quel primo piano incantevole, dolce ed ombroso al tempo stesso, dietro quegli occhi limpidi e tristi, c'era un fondo di vulnerabilità e fragilità insondabile, un legame con l'oscuro e con il male interiore, una magia fatta di remissività e abbandono che solo Burton e Coppola avevano intuito. Ma in fondo anche Scorsese, regalandole la crudele doppiezza di May Welland, l'Oscar che la Ryder avrebbe dovuto vincere ma che andò ad Anna Paquin per Lezioni di piano. Winona Ryder aveva un talento naturale ed istintivo, non era una grande attrice ma il suo volto era fatto per il cinema, perché irradiava luce e contemporaneamente suggeriva segreti. La sua ultima interpretazione importante risale al 1999 con Ragazze interrotte, film di James Mangold che, già dal titolo, sembrava ironicamente preannunciare gli sviluppi della sua carriera. Winona interpretava il ruolo di Susanna Kaysen, una ragazza degli anni '60 con la sindrome da personalità borderline. Fortemente voluto dalla stessa Ryder, il film doveva essere la sua consacrazione e fu invece il trampolino di lancio per Angelina Jolie. Di lì a poco, Winona finì nel vortice mediatico di scandali e tristi avvenimenti privati che tutti sappiamo.
Ma Winona è una tosta: tutti l'avevavo data per sepolta e lei, come la fenice, rinasce dalle sue ceneri e tra il 2007 e il 2008 torna a lavorare come una matta in piccoli progetti e pellicole indipendenti. La grande occasione le viene offerta nel 2009 da Rebecca Miller che le affida una parte importante in The Private Lives of Pippa Lee. I critici inglesi elogiano la sua performance come brillante e sorprendente, e le copertine dei magazine di moda tornano a farsi impressionare dalla sua bellezza senza tempo e senza età.
mercoledì 28 ottobre 2009
Step by step
Vincere a Chicago
Hilary Swank, protagonista di Amelia, film di Mira Nair sulla tragica vita dell'aviatrice americana Amelia Earhart, è fuori gioco: il film, stroncato dalla critica americana come inutile, noioso, convenzionale e retorico, ha fatto un vero e proprio buco nell'acqua. Ad oggi Amelia registra una percentuale di recensioni positive del 16%, un autentico disastro. Raramente avviene che i critici americani siano così velenosi per progetti sulla carta così importanti. Ammetto di provare un certo compiacimento.
La situazione potrebbe complicarsi se Marion Cotillard (Nine) e Vera Farmiga (Up in the Air) venissero sostenute dai rispettivi studios come lead actress e fatte gareggiare nella categoria miglior attrice pur ricoprendo ruoli di supporto rispetto al personaggio principale maschile.
martedì 27 ottobre 2009
Julie & Julia, antidepressivo Streep
In Julie & Julia, Meryl Streep interpreta Julia Child, autrice del best-seller “Mastering the Art of French Cooking” e celebre conduttrice televisiva di show culinari nell’America degli anni ’60. Il film segue la vita di Julia dagli anni parigini in cui iniziò ad interessarsi alla cucina francese fino alla pubblicazione del suo libro. Parallelamente il film racconta la vita di Julie Powell (Amy Adams), scrittrice frustrata nella Manhattan post 9/11 che apre un blog impegnandosi a cucinare le 524 ricette del libro della Child in 365 giorni. Il plot è tutto qui, con le crisi e le ansie della Powell alle prese con blog e ricette da una parte, e con le avventure parigine della Child e di suo marito (un adorabile Stanley Tucci) dall’altra.
Tutta la prima mezz’ora del film, con le peripezie della Child al corso di cucina francese è davvero esilarante: la Streep recita con una fisicità e una gestualità da attrice comica sopraffina, alla Buster Keaton, come se fosse un direttore d’orchestra o un compositore che usa tutte le possibilità del proprio linguaggio corporeo e vocale per esprimere un’idea di contagiosa vitalità. Ma anche la storia contemporanea funziona grazie a Amy Adams, molto brava nel tracciare la parabola del suo personaggio e nel rendere credibile la simbiosi con la figura della Child.
lunedì 26 ottobre 2009
"Non posso amarti se non rinuncio a te"
sabato 24 ottobre 2009
Nuovo incubo targato Coen
Strutturato come una successione di aneddoti quotidiani apparentemente banali (alcuni molto divertenti) raccontati con gelido, straniante distacco ma al tempo stesso con tono e sguardo benevoli, il film ha una geometrica costruzione circolare che toglie il fiato. Il profilo narrativo è solo in apparenza basso o in sottotono rispetto al meccanismo ad orologeria di No Country For Old Men. I Coen proseguono infatti lo stesso discorso filosofico sul male e sul caos del film precedente scegliendo di raccontare una storia piccola, forse autobiografica, profondamente immersa nella cultura e nello spirito ebraico (qui descritti con humour ad un tempo dissacrante e nostalgico) e lo fanno sfoderando il loro consueto formalismo e la loro straordinaria potenza espressiva. In questo modo riescono ad essere ancora più sottili, insinuanti e devastanti nel loro pessimismo cosmico: l’accumulo di aneddoti sempre più insensati non lascia scampo a niente e nessuno.
I Coen si divertono così a spiazzare lo spettatore, facendolo viaggiare su atmosfere sospese e tempi dilatati improvvisamente rotti da bruschi interventi del “caso”, ed inseriscono apologhi geniali (come quello del dentista, raccontato dal secondo rabbino) che hanno l’effetto di produrre ulteriore frustrazione e domande irrisolte. E il finale è emblematico: è inutile cercare di capire il senso delle cose e delle persone, per quanto bizzarre e strampalate esse siano. Qualcosa di inaspettato (un incidente, una malattia, un tornado all’orizzonte) può sempre accadere, qualcosa di peggiore ed ancora più assurdo. Né la religione, con tutto il suo apparato rituale e la sua tradizione secolare può dirci più di quanto già non sappiamo.
Siamo nelle mani del caso e del relativismo, in balia dell’insanabile scontro tra razionalità e spiritualità, certezza della matematica da una parte e incertezza assoluta del destino dall’altra. Persino la fisica non dà più risposte certe, la prospettiva e il punto di vista da cui si guarda modifica la realtà stessa delle cose. In questo senso non sapremo mai se il vecchio del prologo è uno spirito oppure è un uomo in carne ed ossa. Lo vediamo uscire dalla porta e le probabilità che muoia dietro l’angolo o si allontani nella neve sono le stesse. Una cosa è certa: marito e moglie resteranno fermi nelle loro credenze. E quel tornado nero che si avvicina minaccioso all’orizzonte, potrebbe spazzare via la bandiera americana e travolgere tutti. O forse no.
Voto: 8
venerdì 23 ottobre 2009
Posseduto da Joan
Con l'inizio del racconto in flashback la credibilità si fa labile e il film diventa contraddittorio nella costruzione del personaggio femminile, rivelando la propria anima di star-vehicle per la teatralità e la recitazione ad effetto della diva. Dopo una prima scena in cui l'idillio sul lago tra Louise e David si trasforma nel teatro della fine della loro storia (lei è gelosa e possessiva e vorrebbe il matrimonio, lui si sente soffocare e decide di lasciarla), ritroviamo Louise che lavora come infermiera in una casa sulla riva opposta della baia. Accudisce la signora Pauline, moglie malata e depressa del ricco industriale Dean Graham ed è disponibile, mansueta, quasi sottomessa. Sembra un'altra persona rispetto all'amante appassionata e aggressiva della scena precedente. L'effetto è straniante anche perché la Crawford non è affatto credibile come docile infermiera, il suo carisma attoriale va in tutt'altra direzione né la star sembra sforzarsi di dare alla propria maschera aspetto e movenze più dimessi. In camice bianco è così ridicola e fuori parte da risultare una bizzarra figura in bilico tra camp e horror.
Nelle scene in cui si materializza la follia della protagonista, Possessed è assolutamente angosciante. Bernardht rende benissimo i percorsi labirintici della mente di Louise alternando primi piani sul suo volto sconvolto a dettagli visivi e sonori (la pioggia che batte alla finestra, il ticchettio dell'orologio) che accentuano lo stato allucinatorio e il grado di falsata percezione del reale in cui la donna precipita. Un'altra scena incredibile è quella in cui Louise ha una violenta lite con la figliastra e la uccide spingendola dalle scale. La dissolvenza sul corpo della giovane Carol in fondo alle scale è seguita dall'inquadratura della porta che si apre e mostra la figliastra rientrare in casa. La macchina da presa inquadra le scale e percorre la ringhiera fino al volto sudato e febbrile di Louise che, evidentemente, ha di nuovo immaginato tutto.
Le stelle di Roma
giovedì 22 ottobre 2009
Meryl, il campo magnetico della perfezione
Alla fine Meryl è arrivata, ha sfilato sul red carpet sotto i flash di fotografi e fan, ha firmato autografi, si è lasciata felicemente travolgere dall'ovazione che ha accolto il suo ingresso nella Sala Sinopoli. Ave Meryl, la più grande attrice vivente, un monumento di storia del cinema.
Ci si aspetta sempre da queste interviste che l'attore si metta a nudo e riveli i segreti della propria arte, ma così non è. Ripercorrendo i primi anni della sua carriera, un po' per modestia, un po' per sfatare il mito della perfezionista e della prima della classe, Meryl non ha accennato nemmeno una volta a quanto abbia studiato per interpretare un personaggio. E così Manhattan e Kramer vs Kramer furono girati quasi contemporaneamente e lei era tutt'altro che preparata (anche perchè contemporaneamente recitava Shakespeare a teatro ogni sera). Alla domanda sulla sua strabiliante abilità nell'imitare accenti e cadenze straniere, Meryl si lancia in una gag strepitosa: approfittando di una interferenza con il suo microfono, rivela di essere un campo magnetico che non solo manda in tilt i microfoni, ma attira a sé gli accenti, i tic, i gesti delle persone e li raccoglie. Più volte risponde con un laconico I don't know. E forse la risposta è proprio questa. Lei non lo sa. E' ovvio che un attore si prepari e studi, ma la preparazione non serve a niente se sulla scena, sul set, non si accende la scintilla, se non succede nulla. E quello che può succedere, non lo sa nemmeno l'attore. O almeno il grande attore. Ecco la lezione di Meryl Streep: gli attori hanno la possibilità di cogliere il senso profondo della vita. Non c'è nulla in realtà di cui possiamo essere certi. Non sappiamo in anticipo cosa accadrà, non possiamo mai sapere come andranno a finire le cose. Un attore deve riuscire a stupirsi ogni volta, deve lasciarsi cogliere di sorpresa al primo come al trentesimo ciak. Sì, ma come? La scintilla, il genio, un dono. Ave Meryl.
mercoledì 21 ottobre 2009
Avenue Q, il trionfo dell'irriverenza
martedì 20 ottobre 2009
The Last Station
lunedì 19 ottobre 2009
Up in the air
Al terzo film dopo Thank you for smoking e Juno, Jason Reitman non è più una sorpresa ma una conferma. Up in the air è sicuramente il suo lavoro più maturo e complesso, una commedia che alterna sapientemente risate intelligenti e commozione non gratuita, diretta con gran classe, scritta benissimo ed interpretata da un cast in stato di grazia. George Clooney è sempre stato un bravo attore, oltre ad essere una star di prima grandezza dotata di innegabile fascino e di un'eccellente capacità comunicativa. Ma nel ruolo di Bingham supera sé stesso aggiungendo alla tavolozza dei suoi colori sorprendenti note di tristezza, sconforto e fragilità che finora non aveva mai toccato con tanta credibilità e sensibilità. Al personaggio di Nathalie è assegnata la funzione di comic relief e sono legati i momenti più divertenti del film, ma Anna Kendrick è talmente abile da tracciare un ritratto a tutto tondo molto efficace. Ma è Vera Farmiga, bellissima e sexy, a bucare lo schermo nel ruolo di Alex con una recitazione sottile e obliqua. E’ suo il colpo di scena più imprevisto del film: la sceneggiatura sembra per un attimo aver barato con lo spettatore ma in realtà articola il climax in modo perfettamente coerente al punto di vista assunto sin dall’inizio, quello del protagonista maschile.
Il film esce negli States il 4 dicembre e in Italia all’inizio del prossimo anno. George Clooney ha buone probabilità quest’anno non solo di essere nominato all’oscar, ma di portarsi a casa la statuetta come attore protagonista (dovrebbe essere un testa a testa tra lui e Colin Firth). Quanto alle due donne, meriterebbero entrambe di essere candidate come attrici non protagoniste, ma la concorrenza quest’anno è spietata (ci sono le attrici di Nine, Susan Sarandon per The lovely bones, Julianne Moore per A single man e quella che sembra già essere la vincitrice annunciata, Mo’nique per Precious) e pare che lo studio voglia promuovere e sostenere Vera Farmiga come protagonista. Candidatura assicurata anche per film, regia e script.
Voto: 8 -
Seconda visione del film in data 9 dicembre:
http://best-actress-confidential.blogspot.com/2009/12/re-viewing-tra-le-nuvole-up-in-air.html
Voto: 7-
Beati gli smemorati...
domenica 18 ottobre 2009
Il blog di cinema che fa per voi
Se per voi il cinema è una ragione di vita, una filosofia, il vostro personale credo religioso, insomma il mantra attraverso cui innalzate lo stato vitale quotidiano;
se vi divertite a stilare periodicamente liste dei vostri film e dei vostri attori preferiti ;
se adorate le attrici americane e almeno una volta nella vita vi siete follemente innamorati di una star e avete tappezzato la vostra camera con le sue fotografie e i poster di tutti i suoi film;
se nonostante la vostra intelligenza non sapete resistere al glamour hollywoodiano e al fascino del red carpet;
se sin da piccoli guardavate Tg1 e Tg5 dall'inizio alla fine solo per vedere i servizi di Vincenzo Mollica e Anna Praderio da Venezia e da Cannes;
se non vi fermate al semplice piacere - fascinazione della visione e ritenete interessante l'analisi critica dei film alla ricerca di nuovi/altri significati rispetto a quelli direttamente veicolati dal discorso filmico;
se ritenete che il cinema americano (indipendente e non) sia nonostante tutto il cinema più bello del mondo (e ho detto il più bello, non il migliore);
se i vostri generi preferiti sono il melò, il noir, il musical e in generale il film drammatico d'autore ma siete inclini a non disprezzare nulla a priori, a parte i cinepanettoni e le saghe che superano il terzo episodio solo per fare più soldi;
se vi ritrovate a piangere alla scena del semaforo sotto la pioggia ogni volta che rivedete I ponti di Madison County e pensate, a prescindere dalle vostre inclinazioni sessuali, che Michelle Pfeiffer fosse fottutamente sexy come Catwoman e ne I favolosi Baker;
se l'unica cosa per cui fate un tifo da stadio è il vostro divo o il vostro film del cuore che concorrono agli Oscar (o ai Golden Globes, agli Screen Actors Guild, agli Emmy, ai Tony, ai David etc...)
questo è il blog di cinema che fa per voi!
Scorrendo l'archivio dei post già pubblicati potete trovare le recensioni dell'ultimo film di Woody Allen, dei nuovi Tarantino e Ang Lee, de La doppia ora e di Bernard & Doris, bellissimo e misconosciuto film con la coppia Sarandon-Fiennes appena uscito in dvd e trasmesso in Italia solo sul satellite; un'analisi della commedia Frankie&Johnny (Paura d'amare, 1991) focalizzata sull'interpretazione di Michelle Pfeiffer, del toccante Safe di Todd Haynes (1995) e del carisma di Glenn Close; uno sguardo al cinema classico attraverso il melò Femmina folle (1945) con Gene Tierney; un tuffo nella musica pop con Tori Amos e Annie Lennox. Inoltre: previsioni delle prossime candidature ai premi Oscar, anticipazioni sull'attesissimo musical Nine, news e prossimi commenti dei film appena presentati al Festival del Film di Roma, dati del box office, tante foto e altro ancora. Have fun!
venerdì 16 ottobre 2009
"I was lost until you came" (Annie Lennox)
"Please take these lips
Even if I have been kissed
A million times"
(Stay by me)
"For I am just a troubled soul
Who's weighted... weighted to the ground
Give me the strength to carry on
till I can lay this burden down"
(Little Bird)
"It takes strenght to live this way
the same old madness every day
I wanna kick these blues away
I wanna learn to live again"
(Dark road)
Ma fermiamoci alla musica, anche se nel caso della Lennox (in questo pari solo a Madonna) è difficile separarla dall'immagine dei suoi video: un'immagine ipercostruita, teatrale, di grandissima suggestione ed eleganza, che gioca in modo raffinato, provocatorio e geniale con i temi della sessualità e dell'androginia. Un'immagine per la quale occorrerebbe un post a parte, un'analisi accurata, finanche un vero e proprio studio accademico (si vedano ad esempio i video di Little bird e No more I love you's, dei veri gioielli di sofisticato umorismo oltre che figurativamente splendidi). Da Diva (1992) che segna il suo esordio come solista, alla raccolta di greatest hits uscita questa primavera Annie Lennox ha centellinato la propria produzione discografica: solo altri due album di materiale inedito, Bare (2003) e Songs of mass distruction (2007) e un album di cover (Medusa, 1995). Oltre alle splendide partecipazioni alle colonne sonore del film Bram Stoker's Dracula (la struggente Love song for a vampire) e de Il signore degli anelli: Il ritorno del re (Into the west). La rarità delle apparizioni e delle uscite discografiche ha amplificato negli anni il valore intrinseco e la preziosità del prodotto musicale della Lennox, diffondendo la sua figura di un'aura mitologica, reverenziale, quasi sacrale di cui pochi altri cantanti pop contemporanei possono vantarsi (forse solo Bono degli U2 e la signora Ciccone).
A differenza di Madonna però, Annie Lennox ha dalla sua un talento vocale strepitoso. Alla base del fenomeno c'è quindi innanzitutto la voce: un timbro di contralto lirico inconfondibile ugualmente capace di virtuosisimi alla Whitney Houston nel soul (Precious), di graffiare nel rock (Love is blind, Smithereens), di scatenarsi nel pop (Sweat dreams, Little bird), di commuovere fino alle lacrime nelle ballads (Why, Cold, Stay by me, A thousand beautiful things, Dark road), di divertirsi (e far divertire) col musical-cabaret (la sublime Keep young and beautiful che chiude l'album Diva), infine di sorprendere per fedeltà ed introspezione nelle reinterpretazioni dei classici (dal jazz di Ev'ry time we say goodbye del grande Cole Porter al rock di Halleluja di Jeff Buckley). L'abilità tecnica indiscutibile è risultato di studi classici e si vede (anzi, si sente) come il passaggio dal registro di petto al registro alto (di testa) è gestito con una voce mista di grande spessore e potenza, molto difficile da conquistare e assolutamente elettrizzante per chi ascolta. La tecnica, caso oggi più unico che raro, non è mai però mero sfoggio di bravura o gratuita esibizione virtuosistica (Mariah, Christina e tutte le vostre seguaci fatte con lo stampino, parlo a voi) ma è semplicemente lo strumento attraverso cui l'emozione e l'urgenza comunicativa hanno modo di esprimersi al meglio, facendo arrivare il messaggio in modo più diretto e al tempo stesso spettacolare. Il risultato è eccellente. Annie Lennox andrebbe studiata in tutte le scuole di canto. Ci vorrebbe un decreto ministeriale.
Glamour victim
Trentanove attori di Hollywood (da Amy Adams a Evan Rachel Wood elencati in ordine alfabetico nei credits) per 14 quadri (definirli scatti è improprio, anche perchè si tratta di autentiche "composizioni") attraverso cui la Leibovitz racconta (con annesse didascalie) una storia noir losangelina seguendo tutti gli stilemi fotografici, iconografici e narrativi del genere. Ecco allora le splendide "signore di Los Angeles" Anjelica Huston, Sharon Stone e Diane Lane (in alto) in lussuosi abiti anni '40, mentre commentano la notizia dell'ultimo omicidio nella toilette dello Snyder's Restaurant. O Judi Dench ed Helen Mirren in una rocambolesca fuga in auto (in alto a destra).
Che la Festa abbia inizio!
Tra gli italiani occhi puntati soprattutto sull'atteso Viola di mare di Donatella Maiorca con la coppia Valeria Solarino e Isabella Ragonese e L'uomo che verrà di Giorgio Diritti con Maya Sansa e Alba Rohrwacher. Per chi è su Roma un salto al Villaggio del Cinema è d'obbligo.
Quanto a me, in attesa di vedere i film di cui ho già acquistato il biglietto, stamattina mi sono prefisso un nuovo obiettivo: partecipare al prossimo Roma Film Fest e alla prossima Mostra del Cinema di Venezia come accreditato e non come spettatore pagante. Avendo studiato recitazione so benissimo quanto sia importante la definizione dell'obiettivo e del compito nella costruzione del personaggio. Nel corso della storia innumerevoli ostacoli potrebbero frapporsi al raggiungimento dell'obiettivo creando motivi di conflitto (esterno e/o interno), ma se l'obiettivo è saldo, come professano tutti i manuali di recitazione e di sceneggiatura, non c'è ostacolo o conflitto che tenga. E il lieto fine dovrà essere assicurato.
A new look
giovedì 15 ottobre 2009
Basta che funzioni
Boris Yelnikoff (Ed Begley Jr), ex fisico di mezza età reduce da un fallito tentato suicidio, è Woody Allen con tutto il suo amaro sarcasmo, la sua misantropia e la tragica consapevolezza della propria genialità (in un mondo di stupidi vermetti, bambini idioti, fondamentalisti cattolici, reginette di provincia subnormali). Una sera incontra Melody (Evan Rachel Wood, molto brava in un ruolo che ricorda la Mira Sorvino de La dea dell’amore, 1995), una ragazzina di provincia scappata di casa e, pur tra mille resistenze, accetta di ospitarla per qualche giorno. La convivenza si trasformerà in matrimonio fino a quando la madre di Melody, Marietta (una strepitosa Patricia Clarkson), rintraccia la figlia e si presenta a casa della coppia (il fato che bussa alla porta) portando scompiglio e nuovi divertenti, imprevedibili sviluppi.
martedì 13 ottobre 2009
Frankie & Johnny, una Michelle d'annata
Folgorato da Ingloriuos Basterds
lunedì 12 ottobre 2009
Gli incubi di Clarice
Stamattina mi sono svegliato con questa frase nel cervello e i volti di Jodie Foster e Anthony Hopkins fissi davanti agli occhi... che significa? Ne ho parlato col mio analista. Forse è da troppo tempo che non rivedo il capolavoro di Jonathan Demme (imperdonabile da parte mia) ma ho come la sensazione che gli incubi di Clarice siano diventati i miei. Secondo il mio analista dovrei aprire ogni settimana il mio blog proprio con la frase, la scena, il primo piano che mi ronzano nella testa. Non voglio deluderlo. Quid pro quo dottore.
domenica 11 ottobre 2009
La doppia ora
Il motivo ultimo per cui nella corsa italiana ai premi oscar per il miglior film straniero Baaria di Giuseppe Tornatore sia stato preferito al geniale Vincere! di Marco Bellocchio o a La doppia ora, sorprendente esordio di Giuseppe Capotondi, è presto detto: i soldi. Baaria è costato uno sproposito e, sostenuto da una macchina distributiva e mediatica fortissima, deve assolutamente avere un ritorno in termini non solo economici ma anche di riconoscimento artistico. E magari ci riuscirà anche (e, almeno per spirito patriottico, glielo auguriamo). Non voglio dire che Baaria sia un brutto film: piuttosto è un animale mastodontico, (solo) a tratti poetico ed ispirato, ma schiacciato dal suo stesso peso e dalle sue intenzioni autoriali. Nulla a che vedere con la compattezza e la forza dell’ultimo lavoro di Bellocchio o l’irruenza e la precisione narrativa de La doppia ora.
Nel primo atto, ci vengono presentati i due protagonisti: Sonia (Ksenia Rappaport) viene da Lubiana e lavora come cameriera in un hotel; Guido (Filippo Timi) fa il guardiano in una villa e frequenta assiduamente gli speed-date organizzati da una matrona torinese (affascinante incrocio tra una maitresse e la guida di un girone infernale). Le loro rispettive solitudini si incontrano e si riconoscono proprio in uno di questi appuntamenti. Iniziano a frequentarsi e ad innamorarsi, fino a quando durante una passeggiata nel parco della villa, Guido e Sonia vengono assaliti da una banda di rapinatori e Guido resta tragicamente ucciso. E’ il primo turning point/snodo drammatico della sceneggiatura e segna l’inizio della seconda parte del film, quella cinematograficamente più interessante e teorica. Sonia si trova ad elaborare il lutto della perdita di Guido e, mentre a poco a poco vengono rivelate alcune informazioni sul suo oscuro passato, la sua mente inizia a vacillare, a vedere e sentire strane presenze partorite dalla sua inquietudine e (probabilmente) dal senso di colpa. Assieme al personaggio femminile gli spettatori vengono catapultati in un vero e proprio thriller-horror psicologico con tutti i luoghi topici del genere: scena nella vasca da bagno (bellissima citazione da Le verità nascoste di Robert Zemeckis), la scena in cui la protagonista rimane da sola al buio nel suo appartamento, quella agghiacciante del sequestro nel bosco e via discorrendo. Capotondi e i suoi sceneggiatori non si lasciano mancare nulla e ripercorrono tutte le situazioni classiche. La tensione è costruita in modo magistrale in un crescendo narrativo di grandissima efficacia fino al momento in cui il secondo turning point mescola nuovamente le carte e capovolge completamente la situazione. Si può citare a questo punto addirittura La donna che visse due volte di Hitchcock. Per una volta, il colpo di scena non è affatto gratuito e il disvelamento del livello onirico (il binario doppio della narrazione) non solo è condotto in modo assolutamente originale ma ha una forte valenza teorica. Il blocco narrativo centrale è, non a caso, il più spettacolare in termini puramente cinematografici, quasi a suggerire la valenza onirica dell’esperienza cinematografica, e ad esprimere l’equivalenza cinema = sogno. Da questo punto in poi tutti i nodi vengono al pettine: il disvelamento progressivo della realtà avviene in un diminuendo della tensione (bellissimo il climax in “sottotono” nel parcheggio dell’aereoporto) in perfetta sintonia psicologica con la rassegnazione e la sconfitta interiore del personaggio di Sonia che non riesce a dare una svolta alla propria vita ed accetta il suo destino di donna “perduta”.
La regia di Capotondi, stretta sui volti dei personaggi, è sicura e vibrante, abile non solo nel gestire gli shift della sceneggiatura in modo spettacolare, ma anche capace di dare al suo materiale narrativo un’anima noir e un’atmosfera da film d’autore insolita nel cinema di genere. Filippo Timi ammorbidisce efficacemente il suo sguardo fisso e sinistro con un velo di disarmante dolcezza. Ma è Ksenia Rappaport a “tenere” il film dall’inizio alla fine, in uno star turn di grande magnetismo e sensibilità. Nel tracciare il ritratto di questa donna difficile e misteriosa che non riesce a venire a patti con i fantasmi del passato e soprattutto non sa cogliere l’occasione d’amore che le si presenta, la Rappaport è così fisica e intensa da rendere credibile ogni spostamento narrativo e da farci sentire sulla pelle tutta l’angoscia, la debolezza e l’inquietudine del personaggio.
Voto: 8