martedì 29 dicembre 2009

Il bel poster di Brothers


La cosa più riuscita di questo remake americano del film danese Brodre di Susanna Bier è probabilmente il poster. Minimalista, intimo e raffinato nel suo bianco e nero, con i profili dei giovani interpreti e una composizione dell'immagine di rara efficacia. Tobey Mcguire è nudo, smagrito e con lo sguardo basso, Nathalie Portman poggia delicatamente il viso sulla sua schiena (in un atto di affetto che è anche disperato tentativo di contatto) ma una linea verticale scinde la sua figura, Jake Gyllenhaal è un passo indietro, leggermente in disparte, e guarda la coppia davanti a sé.

Sam (McGuire) è il figlio perfetto, il fratello onesto su cui puoi contare, l'amorevole e premuroso padre di famiglia, l'uomo dai saldi principi che serve la patria in guerra. Tommy (Gyllenhaal) è l'altro per eccellenza, il secondo in tutto: il figlio sbandato, il fratello inquieto che bisogna tirare fuori dai guai, l'uomo perduto che non sa dare un senso alla propria vita. Quando Sam parte in missione in Afghanistan e viene dato per morto, Tommy si avvicina a Grace (Portiman) e alle sue nipoti, e nel dar loro coraggio, nell'occuparsi di loro, nel far sorridere quella famiglia si sente per la prima volta a casa e trova finalmente una serenità interiore, uno scopo. Ma Sam non è morto: in Afghanistan conosce l'inferno della prigionia e si trova faccia a faccia con l'orrore della violenza e della morte. Per salvare la pelle si macchia di un crimine atroce. Tornato a casa, non è più la stessa persona. Nulla è più come prima. Con chi condividere la mostruosità della guerra e il peso della colpa? Il malessere diventa ossessione quando vede suo fratello Tommy e sua moglie Grace così vicini...

E' straordinariamente complesso il materiale narrativo che Brothers mette in scena ma l'altrove ispirato Jim Sheridan (Il mio piede sinistro, Nel nome del padre) non va oltre l'illustrazione piatta e didascalica. Il duplice binario narrativo che mostra parallelamente gli eventi in America (l'elaborazione del lutto di Grace e il progressivo avvicinamento di Tommy) e l'inferno afghano vissuto da Sam è la via drammaturgica più semplice e meno misteriosa che la sceneggiatura potesse imboccare. Vedendo tutto da fuori, gli spettatori anticipano qualsiasi sviluppo della storia e non fanno propria la prospettiva di nessun personaggio. La contrapposizione dei caratteri è schematica ed anche i dialoghi sono tagliati con l'accetta. Per un film così intimista, maggiore sottigliezza e gusto per le sfumature avrebbe di certo giovato.

Ma, sceneggiatura rigida e regia fiacca a parte, il problema maggiore risiede nel cast. Sia McGuire che la Portman hanno un'immagine filmica che non li rende credibili come genitori di famiglia. Inoltre il ruolo di Sam richiede una capacità di trasformazione che vada oltre il dimagrimento fisico: quello che McGuire fa per sottolineare il cambiamento tra un prima e un dopo è sorridere nella prima parte e strabuzzare gli occhi come un pazzo nella seconda, ma è così preoccupato della serietà del ruolo che, lavorando di sottrazione, rischia fissità e catatonia. L'esplosione finale è così telefonata che ti chiedi solo come mai non sia avvenuta prima. Un attore più sottile e dotato avrebbe fatto scintille con una parte così. La Portman è sempre intensa ed ha un primo piano incantevole, ma in definitiva non ha nessun carattere da interpretare se non il cliché della moglie in lutto, divisa fra l'amore per un marito che non riconosce più e l'interesse per un altro. Ed è Tommy la vera luce del film, perlomeno l'unico personaggio che ha a che fare con un passato (da dimenticare, da riscattare) e che compie un percorso all'interno del film. Jake Gyllenhaal è il più vero dei tre interpreti, il più sincero e in parte. E' lui che àncora il film.
Le scelte musicali da serial televisivo tradiscono il valore commerciale mainstream di questo finto film d'autore, svelandone la natura di (poco riuscito) star-vehicle.

Voto: 5

1 commento:

  1. E' vero, il materiale narrativo che il film mette in scena e' ricco ed estrememente affascinante. Peccato che interpreti e sceneggiatura non si dimostrino affatto all'altezza di ricreare siffatta complessità.
    Due fratelli sono alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza.
    Sam, apparentemente realizzato, in realtà sta inseguendo un ideale: lascia due figlie e una moglie in lacrime e, giunto in missione, si sente finalmente "a casa": la guerra dà alla sua vita un senso che la vita "normale", l'amore per le figlie e la moglie e un fratello e un padre non sanno dargli (il suo cuore ama troppo o troppo poco?); dopo essere scampato alla morte, ma aver perso l'occasione di morire da eroe macchiandosi allo stesso tempo di un atroce delitto, chiederà al suo superiore di poter ritornare nuovamente sul fronte (una nuova fuga dal mondo normale, in cui sei uno come tanti, alla disperata ricerca di un eroismo ideale già dimostratosi inarrivabile).
    Tommy esce di prigione e non sappiamo nemmeno se e dove abbia casa, ma piano piano comincia a trovare un senso alla sua vita proprio riempiendo d'amore (sorprendentemente puro e disinteressato) lo spazio lasciato vuoto dal fratello scomparso inseguendo l'ideale del sacrificio per la Patria.
    Di Grace il film non ci dice niente a parte il fatto che ama il marito da quando aveva 14 anni e sembra intenzionata a continuare ad amarlo, aspettando pazientemente che lui guarisca.
    Insomma il film si guarda, ma non sembra affatto sentito dal regista. Viceversa non ci spieghiamo come sia stato possibile rendere una storia così profonda in modo così piatto e convenzionale.

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