martedì 29 dicembre 2009
Il bel poster di Brothers
Esplode il box office americano
Al primo posto Avatar arriva a quota 212 milioni in appena dieci giorni di programmazione: perde solo il 2% rispetto alla settimana precedente e segna il miglior incasso di tutti i tempi per un secondo week end. L'obiettivo dei 400 milioni di dollari dovrebbe essere facilmente raggiunto. Al secondo posto la miscela di action movie, comedy e thriller di Sherlock Holmes fa il botto e incassa 65 milioni di dollari, mentre Alvin Superstar 2 raggranella altri 50 milioni ed arriva a 77. L'altra attesa nuova uscita natalizia, la commedia It's Complicated parte bene con 22 milioni, ed è il terzo miglior esordio in assoluto per un film con Meryl Streep (dopo Mamma mia! e Il diavolo veste Prada). Al quinto posto Tra le nuvole con George Clooney veleggia verso i 25 milioni, ma crescerà notevolmente con il passaparola e le candidature agli Oscar. The Blind Side, con Sandra Bullock benedetta dagli dei, sta per toccare i 200 milioni e non accenna ad abbandonare la top ten (è al sesto week end!), mentre il bellissimo La principessa e il ranocchio deve accontentarsi del settimo posto e di un incasso piuttosto modesto, appena 63 milioni.
Fanalini di coda sono Nine, con appena 5 milioni (dato deludente, visto che il film ne è costato 80), Che fine hanno fatto i Morgan? con Sarah Jessica Parker e Hugh Grant (15 milioni) e Invictus, che col suo attuale incasso di 23 milioni difficilmente replicherà il successo al botteghini del precedente film di Clint Eastwood Gran Torino.
lunedì 28 dicembre 2009
Intatta magia Disney
Pur non eguagliando i modelli, l'ultima fatica Disney è un bellissimo film, denso da un punto di vista narrativo e visivamente caleidoscopico. L'ambientazione nella New Orleans inizio secolo scorso, tracimante di vita, animata da jazz e riti voodoo, e circondata da melmose paludi, è originale e graficamente eccellente. Così come azzeccate e coerenti sono le scelte musicali che evitano melodie pop in favore di un jazz trascinante e sincopato. Ma è l'affidare l'immancabile storia d'amore ad una coppia di neri, la cameriera Tiana e il principe Naveen, il vero elemento a passo coi tempi. Anche se a ben guardare la storia è sempre la stessa: lei, emancipata, volitiva ed indipendente, sogna di aprire un ristorante e pensa a tutto meno che all'amore; lui, un principe fannullone e donnaiolo, pensa solo a fare strage di cuori, ma non si è mai veramente innamorato di nessuna. "Devi scavare a fondo per trovare quello di cui hai veramente bisogno", dice mamma Odie, veggente voodoo che vive in mezzo alla palude. E così accadrà: tra trasformazioni e riti magici, inseguimenti rocamboleschi e riconoscimenti, i due giovani si avvicineranno e si scopriranno innamorati. E alla fine, come ogni fiaba che si rispetti, coroneranno il loso sogno d'amore.
Intorno a Tiana e Naveen, la classica, stupefacente galleria di personaggi: il mago Facilier è allampanato e viscido come Jafar e le ombre striscianti dell'aldilà omaggiano gli spiriti de "La notte sul Monte Calvo" in Fantasia; l'alligatore Louis sembra uscire direttamente da Il Libro della Giungla; l'amica Lottie, buffa e viziata, regala più di una sorpresa al di là dello stereotipo della bionda stupida e capricciosa, ma è la lucciola Ray il personaggio geniale, romantico e straziante nel suo amore per la stella Evangeline.
Se c'è qualcosa della vecchia formula Disney che ormai non convince più è la struttura da musical che prevede una canzone per ogni personaggio. Non potendo contare sulla penna ispiratissima di autori come Howard Ashman ed Alan Menken, nessuna canzone resta davvero impressa nella mente e la colonna sonora, pur vitale e trascinante, scorre anonima e senza picchi. Molto bella, comunque, "All that I needed" cantata da Ne-Yo sui titoli di coda.
Voto: 7
domenica 27 dicembre 2009
Sherlock Holmes blockbuster elementare
"Quando un mostro incontra un altro mostro...
"Un assegno firmato è un pagamento per consegna di merce ed io ho solo un mezzo per scordare le cose che non voglio rammentare. E quel mezzo è fare l'amore. E' la sola positiva distrazione. Io ne sento la necessità, adesso. Vieni qui accanto a me e prova a farmi credere che siamo una coppia di giovani amanti senza alcuna vergogna".
Alexandra Del Lago (Geraldine Page) a Chance Wayne (Paul Newman) in La dolce ala della giovinezza di Richard Brooks
mercoledì 23 dicembre 2009
Big Julia smile as Christmas gift
martedì 22 dicembre 2009
Marion il cuore di Nine
Blanchett nuova Lady Marian
lunedì 21 dicembre 2009
I miei Oscar: 1994
Jessica Lange, dodici anni dopo la vittoria come non protagonista per Tootsie, vinse finalmente come miglior attrice per Blue Sky, un film irrisolto il cui unico motivo di interesse è la performance della diva: nel ruolo della sensuale Carly, instabile e fragile moglie dell’ufficiale Hank Marshall (Tommy Lee-Jones) in piena guerra fredda, la Lange torna in zona Frances (nevrosi e scene madri a raffica, ma gestite con grande carisma) e gioca al meglio tutte le sue carte. Winona Ryder, adorabile Jo March in Piccole Donne di Gillian Armstrong, fu candidata non tanto per l’effettivo valore della performance, quanto perché l’anno precedente non aveva vinto per L’età dell’innocenza. La stessa cosa si può dire, con i dovuti distinguo, per Susan Sarandon, alla quarta nomination per Il Cliente. Il 1994 fu un grande anno per la Sarandon: il film tratto dal bestseller di John Grisham fu un successo al box office e l’attrice era eccezionale nei panni dell’avvocatessa Reggie Love, matura, sexy, avventurosa ed ironica come solo la Sarandon sa essere. Ancora una volta un discreto film di genere sollevato dalla qualità dell’interprete. L’attrice era sugli schermi anche nel dramma Safe Passage e in Piccole Donne: tra le cinque candidate, senza dubbio la migliore. Gli altri due nomi in lizza erano la sempre brava Miranda Richardson per Tom e Viv e Jodie Foster, ragazza selvaggia nel discreto Nell.
Una cinquina piuttosto debole che avrebbe potuto facilmente essere composta da altri nomi, tutti ugualmente meritevoli. Meryl Streep cercava di uscire dall’impasse dei primi anni ’90 e si dimostrò potente e credibile nell’action thriller Il fiume della paura. Sia la deliziosa Andie McDowell di Quattro matrimoni e un funerale che la strepitosa Jamie Lee Curtis di True Lies dovettero accontentarsi solo di una nomination ai Golden Globes. Andò peggio a Juliette Lewis, completamente ignorata per la feroce performance in Natural Born Killers e a Kate Winslet, al debutto in Creature del cielo di Peter Jackson e già bravissima. Sigourney Weaver fu impressionante nel dramma La morte e la fanciulla di Roman Polanski (interpretato a teatro da Glenn Close) ma l’ attrice che nel 1994 avrebbe dovuto vincere l’Oscar era Jennifer Jason Leigh, straordinaria sia in Mrs Parker e il circolo vizioso di Alan Rudolph che nella commedia capriana dei Coen Mr Hula Hoop.
Tra le attrici non protagoniste stupisce l’assenza nella cinquina di Kirsten Dunst, diabolica ed insaziabile bambina vampiro nel film di Neil Jordan, e di Robin Wright Penn per il bel ruolo di Jenny, il grande amore di Forrest Gump. E furono snobbate anche Sally Field (Forrest Gump) e la già citata Susan Sarandon, molto intensa in Piccole Donne. Le cinque candidate furono Dianne Wiest (la vincitrice), esilarante come capricciosa diva in declino (ispirata alla Gloria Swanson di Viale del tramonto) e la perfetta svampita pupa del boss Jennifer Tilly, entrambe interpreti di Pallottole su Broadway di Woody Allen; Rosemary Harris per Tom e Viv; Helen Mirren alla sua prima nomination per La pazzia di Re Giorgio e Uma Thurman, esplosiva Mia Wallace in Pulp Fiction. Ancora una volta l’Academy confermava la propria miopia non riconoscendo il valore iconico di una performance in cui carisma dell’attore, fisicità del personaggio e visione del regista si fondono perfettamente in un mix esaltante.
Tra gli uomini Tom Hanks trionfò per il secondo anno consecutivo come miglior attore per Forrest Gump. Gli altri candidati erano il redivivo e travolgente John Travolta, memorabile Vincent Vega in Pulp Fiction, Paul Newman in La vita a modo mio di Robert Benton, Nigel Hawthorne per La pazzia di Re Giorgio e Morgan Freeman, interprete di una delle sorprese dell’anno, Le ali della libertà, dramma carcerario tratto da Stephen King e diretto da Frank Darabont. Per lo stesso film il coprotagonista Tim Robbins (perfetto come moderno Jimmy Stewart anche in Mr Hula Hoop) non venne degnato di alcun riconoscimento (come era avvenuto nel 1992, quando fu snobbato sia per I protagonisti che per Bob Roberts), ma l’Academy ignorò anche Ralph Fiennes (Quiz Show), Woody Harrelson (Natural Born Killers) e Johnny Depp (Ed Wood). Per non parlare di Terence Stamp, divino in Priscilla, Jim Carrey in The Mask, ruolo della consacrazione dopo l’exploit di Ace Ventura e Hugh Grant, di colpo star con Quattro matrimoni e un funerale. A chi avrei dato l’Oscar? John Travolta. Per quel twist con Uma.
Per quanto riguarda i non protagonisti tutti lamentano il fatto che la performance di John Turturro in Quiz Show non abbia ricevuto alcuna candidatura. Quanto ai nominati, notevolissimi erano Samuel L. Jackson (Pulp Fiction), Chazz Palminteri (Pallottole su Broadway), Gary Sinise (Forrest Gump) e Paul Scofield (Quiz Show). L’Oscar andò a Martin Landau, stupefacente incarnazione di Bela Lugosi in Ed Wood.
Addio Jennifer e Brittany
Avatar conquista il box office US
"Non lo sai cosa farei, non ne hai idea...
"Bobo non cerca te, Bobo cerca me!
Lui ci sa fare, ma ci so fare anch'io...
Io sopravvivo sempre Roy e sopravviverò anche stavolta!
E per sopravvivere a modo mio ho bisogno di soldi,
ed io me li prendo."
Lilly Dillon (Anjelica Huston) a Roy Dillon (John Cusack) nel film Rischiose Abitudini (The Grifters) di Stephen Frears
domenica 20 dicembre 2009
Dorian Gray e l'orrido riflesso del sé
Dopo una settimana di visioni pressocché sconfortanti, in cui fra Amelia e Arthur e la vendetta di Maltazard di Luc Besson (in uscita il 30 dicembre) persino l'ultimo Pieraccioni sembrava pregevole, mi sono concesso un tuffo nel cinema di genere ed ho recuperato un film uscito il mese scorso. Terzo adattamento di Oliver Parker da un lavoro di Oscar Wilde dopo le commedie L'importanza di chiamarsi Ernesto e Un marito ideale, Dorian Gray non delude le aspettative (probabilmente perché nel mio caso erano piuttosto basse) e regala due ore di goticissimo, efferato intrattenimento.
Nell'accostarsi ad uno dei capolavori della letteratura inglese, Parker compie da un punto di vista visivo e di editing un'operazione simile a quella dei fratelli Hughes per La vera storia di Jack lo Squartatore con Johnny Depp: affresca una Londra nebbiosa e degradata, spinge il pedale sulla violenza e sul lato orrorifico, accompagna il racconto con un tetrissimo commento musicale e sottopone il materiale narrativo ad una modernizzazione inevitabile, fatta di accelerazioni, frenetici tagli di montaggio e una costante ricerca di effetti sonori e visivi.
Tuttavia riesce a non snaturare lo spirito dell'opera, che rivive sullo schermo in tutta la sua forza simbolica ed immaginifica. Il risvolto demoniaco, la fascinazione omosessuale della figura di Dorian, la riflessione filosofica sulla bellezza, il decadimento fisico come metafora della malattia e della corruzione dell'anima, il perturbante motivo del doppio magistralmente simbolizzato dal ritratto: tutto torna e risuona con efficacia nell'adattamento di Parker.
Ma il film funziona soprattutto nel racconto della progressiva corruzione del giovane Dorian. Guidato da Henry Wotton (un sopraffino Colin Firth), mellifluo Virgilio che lo accompagna in un'autentica discesa agli inferi insegnandogli il piacere della dissolutezza, Dorian si concede con puro, totale abbandono ai vizi della carne e alle depravazioni più efferate. Parallelamente il suo ritratto inizia ad invecchiare e come uno specchio si macchia dei segni tangibili di tutto il male che Dorian commette. Ed intanto il giovane continua a mantenere un aspetto di intaccabile, sempiterna beltà.
Con grande intuito, Parker non mostra (almeno fino all'epilogo) i mutamenti del ritratto se non attraverso piccoli dettagli (i sussurri rantolanti, il fondo che goggiola materiale organico in putrefazione), e tanto più numerose sono le cattive azioni di Dorian tanto più immaginiamo che il suo ritratto diventi orrido e mostruoso. La scelta di non mostrare l'accumularsi dei segni del male sul ritratto è così efficace che crea un vuoto spaziale spaventoso che ogni spettatore colma con la propria immaginazione. Di conseguenza, il finale facilmente delude perché mostra in un delirio di effetti speciali quello che prima era giustamente inguardabile e, per sua natura, perturbante: la propria anima marcia e malata.
Se avesse avuto più coraggio, Parker non avrebbe mai dovuto mostrare il ritratto nemmeno nel finale, o perlomeno avrebbe dovuto andarci meno pesante con gli effetti visivi. Gratuite anche un paio di inquadrature "soggettive" dalla prospettiva del ritratto: che sia vivo è chiaro, ma che abbia una specie di videocamera nascosta con cui guarda i personaggi (è quello l'effetto!) sembra davvero una forzatura.
Grande Colin Firth, ma è Ben Barnes, già principe Caspian, a dominare lo schermo, bellissimo soggetto del proprio desiderio ed enigmatico oggetto sessuale per l'obiettivo desiderante della macchina da presa. Assolutamente perfetto quando si abbandona al male con innocenza e lascivia.
Voto: 7
giovedì 17 dicembre 2009
Screen Actors Guild candidature
It's Meryl again
Vagonate di retorica sul biopic della Earhart
martedì 15 dicembre 2009
Golden Globes nominations!
Miglior attore in una commedia/ musical
lunedì 14 dicembre 2009
Inside my heart is breaking...
"The show must go on / The show must go on/
I'll top the bill / I' ll learn the kill /
I have to find the will
to carry on with the
on with the
on with the show"
Satine (Nicole Kidman) in Moulin Rouge di Baz Luhrmann
domenica 13 dicembre 2009
I miei Oscar: 1993
Il 1993 è l'anno del film che più di ogni altro ha sconvolto il mio mondo adolescente e posto le radici del mio amore per il melodramma, rimanendo da solo al vertice della mia classifica per quasi un decennio. Si tratta de L'età dell'innocenza di Martin Scorsese, raffinatissima e crudele storia d'amore tratta dal romanzo di Edith Wharton, un film talmente perfetto in ogni suo elemento (forma e contenuto, visione e narrazione, attori e colonna sonora di Elmer Bernstein, malinconica e struggente) da toccare le vette del sublime cinematografico (il tramonto infuocato sul molo, il bacio in carrozza, il finale a Parigi, solo per citare alcuni momenti memorabili). Ma il 1993 fu un anno ricco di gemme rare: la tempestosa fantasia femminile di Lezioni di piano, diretto da Jane Campion e saldamente al secondo posto tra i film dell'anno (magnifica la partitura di Michael Nyman, diventata un classico); l'epica nazista di Schindler's List di Steven Spielberg, trionfatore agli Oscar; l'opera in assoluto più bella di James Ivory, Quel che resta del giorno, l'emozionante Nel nome del padre di Jim Sheridan e l'importante Philadelphia di Jonathan Demme, prima ricognizione hollywoodiana sul dramma dell'aids. E come dimenticare Nightmare Before Christmas di Henry Selick e Tim Burton autentico cult movie in stop-motion?
Tra le attrici l'Oscar non poteva non andare alla meravigliosa Holly Hunter di Lezioni di piano: la sua Ada, fiera, ostinata, scontrosa e fragile al tempo stesso, è una delle performance del decennio e il modo in cui la Hunter si esprime solo attraverso lo sguardo, il linguaggio del corpo e la musica del pianoforte è stupefacente. Scandaloso, tuttavia ,che le altre due grandi interpretazioni dell'anno siano state ignorate dagli Oscar: Juliette Binoche in Film Blu e la divina Michelle Pfeiffer de L'età dell'innocenza. Nel difficile ruolo di Madame Olenska la Pfeiffer va ancora più a fondo nella sua ricerca (dimostrando ancora una volta la sua incredibile versatilità), emergendo con una prova di grande naturalezza ed (apparente) semplicità, trattenuta, sfumata, intensa e contemporaneamente sfolgorante (nelle pose e nelle stupende inquadrature che Scorsese le regala). Ancora una volta troppo (bella, brava ed autentica) per essere riconosciuta.
Le altre candidate erano la bravissima Emma Thompson (sebbene Quel che resta del giorno sia dominato soprattutto da un monumentale Anthony Hopkins) e Stockard Channing nella sorprendente commedia drammatica Sei gradi di separazione. Sopravvalutate invece Angela Bassett nella biografia di Tina Turner What's love got to do with it? e Debra Winger nel dramma Shadowland. La Winger era anche l'acclamata interprete di Una donna pericolosa e, con due titoli in competizione, era inevitabile che ottenesse una nomination.
sabato 12 dicembre 2009
Un tram che si chiama capolavoro
L'eco del trionfo sulle scene newyorkesi della nuova produzione australiana di Un tram che si chiama desiderio mi ha sottilmente persuaso a rivedere la trasposizione cinematografica dell'opera di Tennessee Williams. Avevo visto il film di Elia Kazan (regista anche dell'allestimento originale) negli anni dell'Università e ricordo che mi aveva commosso, emozionato e turbato per la torbida sensualità delle atmosfere, per il linguaggio al tempo stesso lirico e realistico e, ovviamente, per la potenza delle performance. Sarà che sono passati circa una decina d'anni (sono così invecchiato?) e che all'epoca non potevo cogliere tutte le sfumature di un dramma tanto stratificato, complesso ed allusivo, ma la visione del film ieri sera mi ha letteralmente devastato.
Nel passare dallo stage allo schermo, tuttavia, la piece dovette subire alcuni cambiamenti, soprattutto nei riferimenti omosessuali. Nell'allestimento originale, il marito di Blanche si uccide perché incapace di superare la vergogna di essere stato scoperto con un altro uomo. Nella sceneggiatura del film, l'allusione è più sottile ed avviene attraverso il riferimento al carattere tenero, gentile e debole dell'uomo: è Blanche con i suoi insulti ed il suo disprezzo a spingere il marito al suicidio. Una serie di scene e battute vennero eliminate nella versione definitiva del montaggio, ma sono state reinserite in una recente edizione del film in dvd. Tra queste, la battuta di Stanley a Blanche "Forse non sarebbe male interferire con te" nel loro confronto finale, rende più esplicite le intenzioni dell'uomo, appena prima della violenza carnale (bellissima l'inquadratura dello specchio in frantumi) che segna il momento di non ritorno per la stabilità mentale della protagonista. E anche il finale fu modificato: nel film, Stella è sconvolta dalla partenza della sorella (che viene ricoverata in un ospedale psichiatrico) e decide di non tornare più dal selvaggio marito. Con la bambina stretta tra le braccia, sale le scale e si rifugia nell'appartamento della vicina di casa, mentre Stanley urla disperato il suo nome. Questo finale fu scelto per motivi di censura: Stanley viene così punito per la sua "crudeltà intenzionale" con l'abbandono da parte di Stella. Ma è evidente che la decisione di Stella di lasciarlo sembra non venire da nessun posto, tanto è affrettata e non in linea con il personaggio, totalmente (e credibilmente) affascinato e soggiogato dal potere fisico di Stanley (si veda la magnifica scena in cui Stella scende le scale verso Stanley come se fosse in trance: lui, maglietta strappata, volto supplichevole, implora il suo perdono per averla maltrattata. Come due magneti che si attraggono Stella non può stare lontana da lui e il momento dell'abbraccio, violento, appassionato ed animalesco, è una della scene più forti e sexy di tutto il cinema americano). A teatro il finale era molto più ambiguo: Stella rientrava in casa e riprendeva la sua vita, come era sempre stato e come avrebbe sempre dovuto essere.
Attori magnifici, si diceva. Vivien Leigh è civetta, fragile, ironica, intelligente, nevrotica e disperata, e ci accompagna passo dopo passo attraverso il progressivo scivolare nell'oblio di quest'anima confusa e sola con una passione per l'arte e un'adesione al carattere stupenda. Kim Hunter (Stella) e Karl Malden (Mitch) sono perfetti, ma la performance esplosiva (e l'unica che non solo non ottenne l'Oscar, ma non fu nemmeno candidata) è quella di Marlon Brando, in uno di quegli star-turn epocali che lasciano un segno indelebile. Pare che Elia Kazan avesse accettato di girare la trasposizione cinematografica della piece proprio per riequilibrare i rapporti fra i personaggi: a teatro Brando era talmente forte da oscurare gli altri attori col rischio che l'opera sembrasse incentrata su di sé piuttosto che su Blanche. Kazan sapeva che poteva ricorrere al cinema per rifocalizzare tutto sulla protagonista (anche per rispetto e fedeltà a Williams, che comunque era pazzo di Brando) attraverso l'uso del montaggio e delle inquadrature. Tuttavia se molte altre attrici hanno potuto calarsi nella parte di Blanche con risultati eccellenti (vedi post precedente), nessuno attore è mai riuscito a far dimenticare nè tantomeno ad avvicinarsi allo spessore e alla potenza della performance di Marlon Brando.
Voto: 9