sabato 16 gennaio 2010

"Vedere" Avatar


"Vedere" Avatar è come aprire gli occhi per la prima volta. Tornare alla scena primaria. Recuperare la vista e la meraviglia della visione. Se l'esperienza cinematografica è sogno, mai sogno è stato più fisico e reale di questo. Un sogno ad occhi aperti. Sbarrati. Stupefatti. Avatar è il sogno del potere infinito del cinema che diventa realtà e si fa esperienza totale: visiva, percettiva, emotiva. Non vorresti riaprire gli occhi alla fine del fim (alla fine del sogno), ma tuffarti di nuovo nel fantasmagorico mondo creato da James Cameron e tornare su Pandora. Magari per sempre.

"Io ti vedo"

Il cinema di Cameron è l'unico che recuperi la funzione dello spettacolo come rito collettivo richiamando, oggi come dodici anni fa per Titanic, folle oceaniche a riempire le sale. E ridà allo spettacolo (e all'esperienza spettatoriale) quel valore catartico e liberatorio che aveva il teatro (e l'arte in generale) per gli antichi greci.


Assistere ad una proiezione di Avatar è anche questo: fare esperienza di una visione collettiva, una comunità che insieme esperisce una rappresentazione in cui vede riflessi i propri sogni, le proprie paure e le proprie emozioni. I propri miti. Nello specifico, una collettività eterogenea per lo più composta da ragazzini scomposti e vocianti, che fruisce la visione lasciandosi andare a commenti ad alta voce e ripetuti applausi a scena aperta (o spudorati singhiozzi, come il sottoscritto). Tutto ciò è bello quanto il film sullo schermo. E' così che Avatar fa rivivere il cinema.

Una simile partecipazione non sarebbe possibile solo grazie agli effetti speciali. Sulla magnificenza spettacolare di Avatar è stato già detto tutto: a livello tecnico e visivo il film è una pietra miliare che spinge in avanti ed ancora oltre i confini di ciò che è possibile fare (e vedere) al cinema. Da un punto di vista iconografico e narrativo, pur rimescolando suggestioni da decine di vecchie pellicole (da Balla coi lupi ad Apocalypto, da Apocalipse Now a Il Signore degli Anelli, da Jurassic Park a Pocahontas), il film dà vita ad un universo assolutamente originale e convincente. Ma se tocca così tanto lo spirito della collettività è anche perché nella elementarità della narrazione Avatar affonda le sue radici nel mito e nella tradizione, rievocando archetipi popolari che risuonano in tutti noi con forza primordiale. E la suggestione più potente che ho sentito è nientemeno che una postmoderna rilettura (indigena lei, alieno lui) del mito di Adamo ed Eva in un incontaminato (ancora per poco) paradiso ultraterreno.


Il racconto è quindi molto più denso di quello che appare, proprio in virtù di una storia classica che fa chiaramente leva su sentimenti ed emozioni elementari, su una struttura primaria e contrapposizioni schematiche. Proprio come era Titanic. Soprattutto Cameron sa come condurre il racconto, come far volare gli spettatori nel suo universo, come farli commuovere senza vergogna.

E le sequenze memorabili non si contano. Al fortissimo messaggio ecologico di amore e rispetto per la natura e per l'equilibrio della vita si unisce un'inaudita e feroce critica antiamericana che vede nel glaciale, spietato, monolitico colonnello Quaritch (Stephen Lang) il suo principale bersaglio. Raramente si è vista in un prodotto mainstream tanta acredine verso le strutture militaresche e l'imperialismo guerrafondaio americano. Onore a Cameron.


Ma The King of the World stupisce ancora di più su un altro fronte, la delineazione di indimenticabili figure di donne combattenti. In Avatar ce ne sono addirittura tre: la scienziata Grace Augustin interpretata da Sigourney Weaver, la cui mitica presenza vale più di qualsiasi effetto speciale, la marine di Michelle Rodriguez e la splendida guerriera Na'vi Neytiri (Zoe Saldana), la vera protagonista del film. Le scene d'amore tra Neytiri e l'avatar del soldato in missione Jack Sully (Sam Worthington) sono quanto di più intenso, casto ed appassionato si sia mai visto di recente sullo schermo.

Nulla da obiettare se Avatar vincesse l'Oscar anche per il miglior film, oltre ai premi per le categorie tecniche (che praticamente ha già in tasca). L'epica di Cameron pulsa e rimbalza dallo schermo con una passione travolgente che fa impallidire la pulizia perfettina di Tra le nuvole di Reitman. Con Bastardi senza gloria e The Hurt Locker sarà un bel match.
voto: 9

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